L’esperienza esistenziale dell’estate

Le persone che possono realizzare un maggiore contatto con sé, vivono in modo particolare la stagione dell’estate: spesso essa produce disorientamenti, ansie, apatie, a volte stati di svuotamento profondo che inducono ad abbandonare situazioni e persone. Non di rado un senso di solitudine accentuato si insinua ed enfatizza gli altri stati.
Per alcuni, l’unica difesa è cercare di valicare indenni questa stagione: nel Sentiero contemplativo vediamo le cose un po’ diversamente.
Per potermi addentrare nel tema dell’esperienza esistenziale dell’estate debbo fare un parallelo con quello che accade al seme/frutto delle piante.

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La capacità di risiedere quando tutto perde senso

Risiedere dove? In sé? Nel presente? In entrambi, o meglio nel presente fatto di consapevolezza della sensazione, dell’emozione, del pensiero, del sentire: questo è il presente di sé.
Dunque risiedere in quel flusso che ci attraversa e in quello stato immobile che lo sostiene e lo rende possibile: flusso di minute informazioni che salgono dai sensi e dall’insieme dei corpi; stato di immobilità che precede il flusso e che è come la roccia su cui è edificata la giostra del divenire..
Ci sono giorni e stagioni intere della vita che sono costituite solo di questi minuti e insignificanti flussi e di quelle arie immobili.

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Abitare il deserto interiore come la migliore delle case

Proseguo il ragionare iniziato nel post Un nuovo monachesimo per i senza religione.
Esiste un monaco senza casa, senza appartenenza, senza adesione, senza riti, senza miti, senza santi, senza consolazioni, senza ricerca, senza ascesi.
Esiste un monaco che risiede nella vita come la rena sulla battigia e come questa si fa lavorare dal ritmo del mare, dallo scorrere della vita tra divenire ed eternità.
Esiste un monaco che intenzionalmente non vuole andare da nessuna parte, che non ha alcun regno da realizzare, alcuna illuminazione da conseguire.
Esiste un monaco piegato al quotidiano che è apprendimento ineluttabile e contemplazione scelta, coltivata, facilitata, lasciata accadere, accolta.
Esiste un monaco che abita uno spazio sconfinato, libero dalle cianfrusaglie, che non ha scopo se non il vivere in quella duplice disposizione

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Un nuovo monachesimo per i senza religione

“Per parlare a Dio non c’è altro da fare che leggere, ascoltare, ruminare e poi ridire a Dio tutto ciò che Lui ci ha detto, dopo aver trasfuso in quelle parole tutto il pensiero, tutto l’amore e tutta la vita. La parola di Dio diventa così il luogo e il mezzo dell’incontro con Lui. ” (M. Magrassi, La preghiera a Cluny e a Citeaux, pag. 640, in La preghiera nella bibbia e nella tradizione patristica e monastica, ed. Paoline)
Da Dio a Dio attraverso l’umano che risuona come uno strumento, questo è il percorso interno alla preghiera cristiana.
E in noi che non frequentiamo quella modalità, ma solo la contemplazione del reale?

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Attraversare consapevoli il deserto interiore

Rispondo qui ad una amica e sorella nel cammino: sono temi di una discussione privata ma così universali che ciò che dirò a lei è bene che sia ascoltato anche da altri.

“Mi sono accorta di non riuscire ad immergermi nella lettura. I concetti che prima mi riempivano, condividevo e in cui mi ritrovavo, adesso restano in superficie, non scendono in profondità.”
Viene in momento in cui non si tratta più di indagare e studiare, ma di vivere, di dedicare le risorse interiori all’esperienza che, attimo dopo attimo, viene.
È come se la mente non recepisse più i contenuti, un logoramento glielo impedisce.
Inutile e controproducente insistere: la soluzione è assecondare, alleggerire la mente e semmai coinvolgerla in letture leggere, dedicarsi alle piccole incombenze quotidiane, coltivare lo stare senza appesantirlo dei suoi significati, delle interpretazioni possibili e dei simbolismi verosimili: stare e basta.

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Il lutto della mente nella via spirituale

Mi dice un’amica e sorella in questo cammino, di come le sia cambiato l’umore da quando pratica senza sosta la disconnessione, il ritorno a zero, al presente che accade: la pervade uno stato di neutralità con l’umore mai acceso, ma piuttosto colorato da una lieve malinconia e apatia.
E’ una condizione che ben conoscono le persone che hanno una lunga confidenza con la via interiore e spirituale e che accomuna tutti coloro che coltivano senza sosta la consapevolezza del presente e, con essa, l’incessante disconnessione dal contenuto mentale ed emozionale e dall’identificazione con ciò che accade.

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Ricominciare l’opera senza fine

Non è l’estate la stagione della chiarezza: la forte esposizione solare non è elemento che nell’umano possa portare lucidità di sguardo e di analisi.
Settembre è un mese di transizione: dalla dominanza della luce e del calore, ad un maggiore equilibrio. Settembre annuncia e prepara l’autunno, il gesto introversivo che culmina nel solstizio d’inverno, alle porte del Natale.
Usciamo dall’estate frastornati ed anche smarriti: lontane sembrano le certezze, le chiarezze, le consapevolezze su sé e il cammino.

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