Con il termine meditazione definiamo quella disposizione interiore alla consapevolezza, alla presenza, alla disconnessione ripetuta di ogni identificazione.
La pratica meditativa non è dunque, dal nostro punto di vista, un’esperienza più o meno lunga da coltivare in un tempo dato, ma una disposizione che si innerva nell’ordinario della vita e che illumina ogni fatto di consapevolezza e presenza e, affinché questo possa accadere, disconnette ogni contenuto mentale ed emozionale non necessario.
disconnessione
La pratica meditativa, l’ascolto e il silenzio di sé, la comprensione
Ci sono passaggi complessi nella vita, come ci sono stagioni in cui si può stare a mani basse.
Ci sono fatti semplici e fatti complessi, esperienze facilmente accessibili e altre che richiedono un bagaglio di conoscenze e comprensioni più vasto per poter essere afferrate.
Come dicevo nel post Accompagnarvi nel quotidiano, nei due siti che seguiamo, questo e Cerchio Ifior, sviluppiamo accenti differenti di tematiche simili: la funzione di Cerchio Ifior è di fornire le basi della conoscenza e della consapevolezza; quella di questo sito è di entrare nel ventre dell’esperienza meditativa, contemplativa ed unitaria.
Educare l’Io e la mente al pensiero unitario
Continuo la riflessione iniziata nel post: La differenza tra il ringraziare e l’essere quel grazie.
Premessa: non possiamo educare la mente al pensiero unitario se il sentire non ha il gusto grado di comprensioni maturato.
L’educare è primariamente un facilitare l’emersione di ciò che già è contenuto nel sentire e, secondariamente, è un plasmare i veicoli, e l’identità che da essi risulta, affinché quell’emergere non solo non incontri una opposizione, ma sia veicolato da strumenti idonei a condurlo a piena manifestazione.
Se il sentire è maturo, allora l’opera può essere perseguita:
Consapevolezza, analisi, disidentificazione: la via per chi vive nel mondo
Chiede Antonella commentando il post Il sapore del reale, la contemplazione del sentire: Riferendomi a ciò che ha scritto Sandra: “E’ chiaro che il processo del sentire non si ottiene ma accade se e quando ci sono le condizioni.” Sento di dover chiedere: le condizioni e tutto il processo dell’accadere non trovano difficile svolgimento nella nostra quotidianità fatta di orari, corse convulse e quindi stress? E ancora: l’atteggiamento e la disposizione all’ascolto e all’osservazione possono esplicarsi in questa convulsa quotidianità?
La persona immersa nel mondo ha tre pilastri su cui appoggiare:
– la consapevolezza di quel che accade e di cosa produce in sé e nell’altro;
La rivoluzione dell’ordinario
Torno ancora sul come e non sul quanto o sul cosa per approfondire gli argomenti trattati nel post I piccoli fatti e il nostro modo di viverli.
Quali sono le componenti del come stiamo nei fatti?
1- La consapevolezza;
2- l’adesione senza identificazione;
3- l’accoglienza senza condizione.
Considero la consapevolezza come lo sguardo dell’insieme dei corpi sul reale: ciò di cui siamo consapevoli si specchia/riflette/impressiona in ciascuno dei nostri corpi e le immagini, i pensieri, gli stati scorrono nello specchio dei corpi così come negli specchi delle nostre camere scorre l’immagine nostra mentre proviamo un vestito.
Quanto può essere profonda la disponibilità a perdere?
Dice Marco commentando il post Appunti sulla trasmissione della comprensione spirituale: Ma cos’è che deve morire esattamente? L’ideale morale che ci è stato trasmesso e che non tiene conto del mio sentire attuale? Io non posso che partire da lì del resto e l’insegnamento del Cristo diventa vita solo se coniugato con ciò che sono adesso…
Si, certamente, l’ideale morale deve morire ma, con esso, molte altre cose.
L’imprinting di un’esperienza.
La memoria e l’umore del cammino.
L’appreso concettuale e filosofico.
Il limite del sentire.
La neutralità è il frutto del sentire e la radice di ogni realizzazione
Dice Sandra commentando il post Rimanere, senza fine, in ascolto del sentire: C’è un punto in cui non ti fidi più del recitato della mente ma il sentire non fluisce ancora bene, credo sia il deserto o qualcosa di simile, comunque un passaggio che per molti viaggiatori arriva.
Una terra di nessuno. Ma non è una fase, una stagione, è uno stato costitutivo pressoché permanente. Mi spiego.
Quando l’identificazione molla la presa e viene erosa dalla pratica della conoscenza, della consapevolezza, della disidentificazione e della disconnessione, si viene a creare una disposizione interiore nuova e costitutiva di un nuovo equilibrio e di un nuovo ordine.
Questo nuovo equilibrio è caratterizzato da:
– il ridimensionamento della spinta egocentrica;
La disconnessione e la disponibilità a perdere
Dice Nicoletta commentando il post La gratitudine per ogni fatto ed ogni situazione: Quando si capisce di perdere l’identificazione? Cosa si prova esattamente? Quali pensieri e sensazioni attraversano la persona quando è in atto questo processo?
Definiamo innanzitutto cos’è l’identificazione: l’auto-attribuzione di quanto accade. Quel fatto, quel pensiero, quell’emozione che stanno accadendo sono miei e sono sostanza del mio essere persona: senza di essi non sarei più io e questa vita non sarebbe più mia.
L’identificazione è figlia dell’identità e la genera senza sosta.
È evidente che in determinate stagioni della nostra esistenza l’identificazione sia necessaria: ogni sviluppo ulteriore è fondato sulla possibilità basica di dire io, di sentirsi esistente, differenziato dall’altro, capace di muoversi in autonomia.
Identificazione, disconnessione, controllo, fiducia
Dice Roberta G. commentando il post La fede/fiducia, la responsabilità, il cambiamento: Personalmente vivo questa apertura di fede/fiducia quando rimango in una situazione, in ciò che c’è, fermandomi e ascoltando/osservando, anche se la mia mente desidera fortemente andare/essere altrove.
In questi casi mi ricordo che “ciò che c’è” è la cosa più importante che posso vivere e che può insegnarmi…
Penso, cioè, che il cercare di stare in “ciò che c’è” presuppone l’abbandono del controllo e un atteggiamento di fede/fiducia.
1- Osservare ed ascoltare e stare anche se la mente/emozione desidera identificarsi con qualcosa.
Attraversare consapevoli il deserto interiore
Rispondo qui ad una amica e sorella nel cammino: sono temi di una discussione privata ma così universali che ciò che dirò a lei è bene che sia ascoltato anche da altri.
“Mi sono accorta di non riuscire ad immergermi nella lettura. I concetti che prima mi riempivano, condividevo e in cui mi ritrovavo, adesso restano in superficie, non scendono in profondità.”
Viene in momento in cui non si tratta più di indagare e studiare, ma di vivere, di dedicare le risorse interiori all’esperienza che, attimo dopo attimo, viene.
È come se la mente non recepisse più i contenuti, un logoramento glielo impedisce.
Inutile e controproducente insistere: la soluzione è assecondare, alleggerire la mente e semmai coinvolgerla in letture leggere, dedicarsi alle piccole incombenze quotidiane, coltivare lo stare senza appesantirlo dei suoi significati, delle interpretazioni possibili e dei simbolismi verosimili: stare e basta.