La gestione del dolore

Elena L. scrive: “Stare nel dolore aiuta a elaborarlo, ad andare verso l’essere liberi o stare nel dolore è tempo malato in pasto al nostro ego, ti aggancia e ti tira semplicemente giù per rafforzare un personaggino sofferente?”
C’è una fase in cui non scegliamo di stare nel dolore o non starci, semplicemente il dolore c’è.

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Nessuna vita è incompleta

Da un amico ricevo: “E quando ti rendi conto che la tua vita è permeata di una parsimonia esistenziale? Se per via di una incertezza sclerotizzata non riesci ad essere chi potresti/dovresti essere? C’è errore nel non realizzare il proprio dharma? O la mente costruisce quest’esistenza per far questa esperienza di potenzialità arrugginita e reagire nelle prossime vite?
Possiamo stabilire, innanzitutto, due principi:
-nessuna vita è immobile o incompleta, ma porta comunque a compimento quello che è lo scopo dell’incarnazione;
-vivere è manifestare un sentire di coscienza ed acquisirne nuovi gradi.

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La debolezza è la mia forza

Non ciò che conosco ma ciò che mi rimane difficile, ciò su cui cado, ciò che non so discernere.
Dalla mia ignoranza sorge la direzione della mia vita. L’ignoranza mi conduce a cercare, a indagare senza fine; mi impedisce di fermarmi e mi accompagna di errore in errore, di limite in limite, di parzialità in parzialità, di stoltezza in stoltezza, di fatica in fatica.

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L’importanza di non sottrarsi al dolore

Luca: ma il dolore è necessariamente male da cui rifuggire? C’è un vero distinguo tra bene e male? Brutto e bello? Santo e maledetto? L’esistenza non si esprime in tutti i suoi aspetti di vita e di morte?

Temi complessi. Premessa:
il dolore deriva dal conflitto e dall’attrito tra identità e coscienza. Viene generato, di solito, dall’incontro con l’altro da sé; il conflitto conduce incontro a sé, alle proprie dinamiche e a quelle dell’altro.

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