Riflessioni sull’essere

Descrivere i miei processi interiori mi costa fatica perché mi sembra di andare ad infiorare qualcosa di elementare.
Per farmi capire ti descrivo cosa accade durante una seduta di zazen: tu stai seduto davanti ad un muro bianco, gli occhi aperti, il respiro regolare, la mente che è come un casello autostradale: i pensieri vengono, i pensieri vanno; tu non trattieni niente, non ti identifichi con niente.
La mente pensa, ma tu non sei i pensieri che essa pensa, li vedi e sei oltre: tra un pensiero e l’altro si apre uno spazio, vuoto di pensiero, vuoto di osservazione del pensiero.
Semplicemente sei. Puoi comprendere questo stato solo se lo sperimenti: non puoi abbracciarlo con la mente, non con il cuore. Sei il tutto e il niente, sei l’adesso, senza tempo.
Il divenire si manifesta essere: la realtà non scorre più in superfice, manifesta la sua natura profonda, il suo spessore inusitato, vasto, risuonante, fermo, pieno.
Nulla manca, nulla v’è da aggiungere. La Realtà E’ e non ha bisogno di essere definita: la Realtà è Una e questo è inconfutabile.
Questo accade, fuori dal tempo, ed è vita in atto: l’insieme del tuo essere lo sperimenta.
Certo, sono frammenti all’interno del divenire, ma questo non ha poi grande rilevanza: posso battere le ciglia e in quel tempo essere sprofondato nella natura intima del divenire, nell’essere di questo attimo di eterno presente, e da quel centro contemplare la realtà che è.
O posso decidere di immergermi dentro al fiume del divenire perché ci sono degli aspetti di me che sento di dover lavorare a quel livello, e poi, faticando, tornare al centro.
Ma se vado a vedere attentamente in ogni attimo del divenire della mia esperienza, io torno costantemente all’essere, opero e contemplo: opero con le forze attuali, contemplo il loro fluire e le nutro del più profondo della mia coscienza, così che si trasformano, ed opero con forze trasformate e contemplo ancora.
La nota su cui scorrono i miei giorni è questo cogliere l’Essere di ogni fotogramma del divenire.
Con i miei limiti, che sono grandi.

12.11.2001

Esperienze di meditazione e contemplazione 2011

Documentazione fotografica e video dell’esperienza

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Inizio esperienza h.18 del 17 luglio, fine esperienza h.15 del 23 luglio

Programma delle giornate:
8-9 Meditazione in movimento
9,30 Colazione
10-12 Passeggiata meditativa
13 Pranzo
15,45-17,15 Immanenza e trascendenza attraverso il canto, esperienza condotta da Elisa Ridolfi
(L’espressione di sé attraverso la voce ed il canto libero senz’altra finalità che l’esprimere la propria esistenza e, nel farlo, sperimentare anche la leggerezza che deriva dal dimenticarsi di sé. Il canto come veicolo per andare oltre la propria paura, il senso di inadeguatezza, il giudizio su di sé ed imparare a giocare, a vivere giocando)
18-20 Sessione pomeridiana sul tema del giorno
20,30 Cena

Argomenti di lavoro e discussione
L’argomento che viene affrontato nella sessione pomeridiana la domenica viene sperimentato nella pratica il lunedì, e così per tutti gli altri giorni.

Domenica: Essere disposti a perdere
Lunedì: Le condizioni per stare nel presente: lasciar transitare ogni cosa che sorge, osservare, ascoltare, non ritenersi importanti
Martedì: Ogni cosa che succede mi parla di me, di te: ogni cosa mi modella. Non resisto, non mi oppongo.
Mercoledì: Scorrono immagini, pensieri, emozioni, azioni: non lego fatto a fatto, lascio sorgere e scomparire; non ho passato, non ho futuro.
Giovedì: Vedo così bene il mio limite che non posso che sorridere sul tuo e vedo come tutta la realtà non canta altro che il limite e impone la compassione. Di ogni essere e di ogni cosa sono fratello e sorella.
Venerdì. Ho partecipato alla vita, ho riso, mi sono arrabbiato, ho giudicato e lasciato andare, potrei dire che ho vissuto normalmente, ma non è così: la differenza sta nel fatto che non ho trattenuto, ho lasciato fluire; in fondo, ho giocato.
Silenzio: dall’alzata fino alle 12.

Numero massimo partecipanti: 15
Info e prenotazioni entro il 30 aprile 2011
Luciana: lucips62@hotmail.com cell. 3381454978

Esperienze di meditazione e contemplazione, 2010

Esperienza a Sestino
29-30-31 ottobre, 1 nov. 2010
Dal pomeriggio del 29 ottobre al pomeriggio del primo novembre, quattro giorni di immersione in un ritmo lento permeato di attenzione al presente e al lasciare andare ogni dinamica della mente.
Tema dell’esperienza:
Attenzione e fluidità di fronte al presente che accade
Il programma dettagliato

Nel ventre del quotidiano l’esperienza dell’esistere unitario
Un’esperienza di vita autentica, Casale in Lunigiana 4-10 luglio 2010

Programma di una giornata tipo:
-ore 8, tai chi
-ore 9, colazione
-ore 10, passeggiata meditativa
-ore 13, pranzo
-ore 15,30, tocco sottile
-ore 16,30, passeggiata meditativa
-ore 18, confronto sul tema del giorno.
-ore 20, cena
-ore 21, impostazione del tema del giorno dopo

La sera si imposta il tema del giorno successivo dove lo si sperimenta e poi lo si discute nel gruppo delle 18.
Temi per i cinque confronti della sera:
-Che cos’è l’essenziale?
-Vedere la protesta
-I fatti si susseguono, osservare il contesto
-Arrendersi
-Tu

Le foto del ritmo delle giornate

L’esperienza della preghiera

Autrice:  Celeste

Preghiera

Sentirsi sasso di fiume
che rotola
e si lascia levigare
dallo scorrere incessante
della corrente.

Sentirsi filo d’erba
che accoglie
la carezza della brezza,
lo sferzare della pioggia,
il calore del sole,
la morsa del ghiaccio,
il solletico di un insetto.

Farsi concavita’
nella quiete della mente
per percepire la presenza
dell’Incommensurabile nell’adesso.

Incontrare la preghiera, per una persona della via, non è sempre una opportunità che si presenta perché a questo termine, di solito, è legata una accezione che rimanda alle preghiere dell’insegnamento catechistico e all’educazione religiosa dell’infanzia; oppure perché educazione religiosa non si è avuta e, pertanto, non si è fatta esperienza né del pregare, né del dire preghiere.
Nell’accezione religiosa tradizionale la preghiera si traduce nel recitare preghiere e si prega, di solito, per ottenere qualcosa; l’orazio si tramuta in rogatio, nell’orante è presente un atteggiamento richiestivo ed è ben evidente la separazione tra un io e un Tu. Quando si rifiuta l’insegnamento religioso così come lo si è ricevuto, si lascia alle spalle anche quell’accezione di preghiera e si finisce così per non scoprire la vera essenza del pregare.
Certamente non è detto che una persona della via debba scegliere questa forma per quietare la mente e fare spazio all’Imponderabile, ma potrebbe darsi il caso che, per qualcuno, sia la forma consona, o per lo meno, lo sia in alcuni momenti della vita; allora vale la pena di approfondire un po’.
Mi è capitato da adulta, quando ormai avevo rigettato l’educazione religiosa e stavo cercando una modalità che desse forma all’emergere di un nuovo sentire, di venire a contatto con lo zazen, vale a dire la pratica meditativa dello zen. Fare zazen significa sedersi con le gambe nella posizione del loto o del semiloto su un cuscino rotondo a pochi centimetri dal muro e, con gli occhi aperti e le mani raccolte, semplicemente stare. I pensieri vanno e vengono e non li si segue; se ci si accorge di averne agganciato uno, lo si lascia andare e si torna a posare lo sguardo sul muro e sul respiro. E così di seguito fino a che i pensieri si rarefanno e arriva uno stato di presenza sopita, uno stato di quiete. Ma, se lo stato di quiete non arriva, nulla è tolto all’atto meditativo.
Il modo di stare dello zazen lo sentivo consono a quel particolare momento della vita ma, nell’organizzazione della giornata, non riuscivo a ricavare abbastanza spazio perché potessi praticarlo per un tempo adeguato. Per mia fortuna le letture di quel periodo mi portarono a scoprire i salmi e a capire come introdurli nel divenire della giornata. Quando affrontai la loro lettura, a parte alcuni passi strettamente legati al pensiero di quel tempo e, a mio avviso, difficilmente assimilabili al sentire spirituale dell’uomo di oggi, li trovai straordinari; secondo me, l’opera più alta di poesia della cultura occidentale.
Nei salmi è raccontato l’uomo nella sua interezza, nella sua interiorità fatta di ansie, di angosce, di fiducia, di accoglienza, di un sentire, a volte vacillante a volte saldo e profondo, che nella vita non siamo soli ma siamo accompagnati costantemente da una vastità che ci comprende, ci trasforma e in cui è gradevole naufragare.
Così, nel poco tempo che avevo a disposizione per stare nel silenzio, invece di praticare lo zazen, leggevo un salmo, lo leggevo e rileggevo, ruminando i versi che emergevano, tra gli altri, dal testo. In questo modo, quando mi alzavo, portavo quei versi con me ed essi tornavano spontaneamente durante la giornata. Ho scoperto così, per caso,il significato dello stare sempre in preghiera, come sottolineano nei loro scritti, i padri del deserto.
Questa recitazione non aveva nulla in comune con l’accezione tradizionale del recitare preghiere; era una interiorizzazione profonda della parola, di una parola potente perché carica dell’esperienza spirituale di generazioni e generazioni di persone che l’avevano sentita, plasmata, recitata per raccontare il loro cammino di uomini nella ricerca dell’Assoluto. Introiettando in me quelle parole, anch’io mi sentivo parte di quel cammino ed ero riconoscente.
Sempre leggendo testi di spiritualità capii che questa forma di preghiera prende il nome di preghiera esicastica, da esichia che significa quiete, ed è molto praticata nei monasteri ortodossi. Ho anche compreso come in realtà l’esicasmo sia l’equivalente del mantra recitato in oriente a dimostrazione che, quando si intraprende un cammino spirituale, le forme vengono poi a coincidere e successivamente abbandonate per dar spazio al silenzio, al fare e allo stare senza altra specificazione.
In effetti la recitazione dell’esicasmo produce, di per sé, l’acquietarsi della mente così come succede nel praticare lo zazen,.
Quando la mente si quieta, dall’atto intenzionale del pregare si passa all’atto meditativo, le parole emergono spontaneamente dall’intimo di sé seguendo il ritmo del respiro; non c’è più un io che prega, c’è l’atto del pregare che sorge spontaneo poi, via via, anche le parole smettono di sgorgare e sopraggiunge lo stato contemplativo: rimangono solo il ritmo del respiro, la mente vuota, il corpo che sta e una sensazione particolare di presenza-assenza che può corrispondere ad una percezione di fusione.
Poi qualcosa riporta l’attenzione al presente e la mente ritorna attiva.
Può succedere, nei vari periodi della vita, che non sempre siamo nella possibilità di giungere alla quiete della mente: l’emotività emerge con forza, gli accadimenti esteriori sembrano prendere il sopravvento, ci sentiamo incerti, insicuri, vacillanti. Può accadere allora che la presenza solitaria di un muro come nella pratica dello zazen, invece di aiutarci a posare i pensieri e a trovare il nostro centro può sembrarci angosciante e può far emergere i vari fantasmi della mente.
A questo punto la preghiera esicastica può venirci in aiuto.
Il respiro, che è alito di vita, nel suo scorrere circolare (inspiro- pausa, espiro- pausa), produce di per sé un effetto calmante.
La parola efficace del salmo scende dentro di noi portata dal ritmo dell’inspiro e dell’espiro e agisce come un’intercapedine tra un sé smarrito e una mente invasiva e prepotente.
Questa porta, via via, ad uno stato di rilassamento e crea nel nostro intimo uno spazio che si apre ad una dimensione più vasta e a un atteggiamento di fiducia e di abbandono.
Ora niente è più come era prima di sedersi e riusciamo a riconoscere i fantasmi mentali per quello che sono, fantasmi appunto, che non hanno niente a che vedere con la nostra coscienza, con la nostra essenza intima e con la realtà che viviamo.
La preghiera esicastica non va effettuata necessariamente con la ruminazione di un verso o di una parola di un salmo, ma può essere praticata con qualsiasi parola luminosa che sgorga dall’intimo in quel particolare momento e che racconta del sentire di quel particolare momento, giacché non siamo noi che preghiamo ma qualcosa di molto più vasto prega in noi.
Si possono pertanto usare parole attinte da altre tradizioni. Ci sono preghiere pellerossa che testimoniano la grande spiritualità di questo popolo allineato coi ritmi della natura, rispettoso della sacralità della vita in qualsiasi forma essa si manifesti, che percepisce se stesso semplicemente come uno degli esseri della creazione in armonia con tutti gli altri esseri.
Ci sono poi gli Haiku, brevi poesie giapponesi, che riescono a rendere un sentire o uno stato contemplativo attraverso la fissazione di un’immagine della natura utilizzando parole scarne, essenziali, profonde.
Via via che si acquisisce dimestichezza con la preghiera esicastica o con la meditazione in qualsiasi forma la si pratichi si giunge, dopo un po’, a fare esperienza dello stato contemplativo, di quello stato dove le parole muoiono, la mente è quieta e rimane solo l’atto del respirare. Respiro in aramaico si dice Ruah, in sanscrito Atman e tutte e due le accezioni significano anche Spirito. Dunque, quando noi respiriamo, inspiriamo ed espiriamo lo Spirito, partecipiamo della vita dello Spirito, siamo vivificati dallo Spirito. Quando usiamo la parola Spirito ci riferiamo al manifestarsi dell’Assoluto nel relativo. Il respiro crea uno spazio dentro di noi dove l’Imponderabile può posarsi. Possiamo capire così la pregnanza della frase delle Scritture: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito abita in voi?(1)” e facciamo esperienza di come il respiro sia in effetti, di per sé, un mantra potente.

Quando durante la giornata noi riusciamo, ogni tanto, a tornare sul respiro, facciamo spazio nell’ingorgo della mente e ci riallineiamo con Qualcosa che è più vasto di noi e che ci comprende tutti.

Dopo anni di pratica meditativa o di preghiera come dir si voglia, si comprende che qualsiasi siano le forme, tutte riconducono al respiro e all’atto contemplativo e che non c’è più bisogno di trovare un momento particolare della giornata per stare, perché ogni gesto, ogni atto quotidiano, ogni inspiro ed espiro compiuti in consapevolezza, sono già preghiera.

Si riportano di seguito, a titolo di esempio, alcune preghiere attinte da varie tradizioni che si possono utilizzare durante la preghiera

Salmo 138

Signore, tu mi scruti e mi conosci,

tu sia quando seggo e quando mi alzo.

Penetri da lontano i miei pensieri,

mi scruti quando cammino e quando riposo.

Ti sono note tutte le mie vie;

la mia parola non è ancora sulla lingua

e tu, signore, già la conosci tutta.

Alle spalle e di fronte mi circondi

e poni su di me la tua mano.

Stupenda per me la tua saggezza,

troppo alta, e io non la comprendo.

Dove andare lontano dal tuo spirito,

dove fuggire dalla tua presenza?

Se salgo in cielo, là tu sei,

se scendo negli inferi, eccoti.

Se prendo le ali dell’aurora

per abitare all’estremità del mare,

anche là mi guida la tua mano

e mi afferra la tua destra.

Se dico: “Almeno l’oscurità mi copra

e intorno a me sia la notte”;

nemmeno le tenebre per te sono oscure,

e la notte è chiara come il giorno;

per te le tenebre sono come luce.

Sei tu che hai creato le mie viscere

e mi hai tessuto nel seno di mia madre.

Ti lodo, perché mi hai fato come un prodigio,

sono stupende le tue opere,

tu mi conosci fino in fondo.

Non ti erano nascoste le mie ossa

quando venivo formato nel segreto,

intessuto nelle profondità della terra.

Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi

e tutto era scritto nel tuo libro;

i miei giorni erano fissati,

quando ancora non ne esisteva uno.

Quanto profondi per me i tuoi pensieri,

quanto grande il loro numero, o Dio;

se li conto sono più della sabbia,

se li credo finiti, con te sono ancora.

Scrutami, Dio, e conosci il mio cuore,

provami e conosci i miei pensieri:

vedi se percorro una via di menzogna

e guidami sulla via della vita.

Altri Salmi, n. 8, 15 (16), 18 (19), 23 (24). 50 (51). 62 (63), 90 (91), 91 (92), 103 (104), 117 (118), 150

Stella del mattino

Si è levata

la stella del mattino.

Valico le montagne

inondato di luce

come il mare.

(Papago)

Il telaio del cielo

O Madre Terra, o Padre Cielo,

i vostri figli sulle schiene stanche

portano doni splendidi.

Tessete in cambio per noi vesti di luce:

la trama sia la luce bianca del mattino,

l’ordito sia la luce rossa del tramonto,

le frange siano di pioggia,

e l’orlo d’arcobaleno,

così che camminiamo ben vestiti

là dove cantano gli uccelli

e verde è il colore dell’erba.

O Madre Terra, o Padre Cielo.

(Pueblo Tewa)

Case di spiriti

Case di spiriti

Fatte di albe

Fatte di muschio

Fatte di cotoni

Fatte di pioggia

Fatte di soli

Fatte di turchesi

Fatte di venti

Fatte di pellicce

Fatte di pollini

Fatte di pietra focaia

Fatte di cristalli

Spiriti di tutte le case sotto i cieli,

Benedite la mia casa fatta di fango, resina, pino.

Benedite la mia famiglia fatta di sangue, midollo, osso.

( Canto Navajo)

Come un fiore di loto

che si apre immacolato

alla rugiada del mattino

è la bellezza di ogni uomo.

Daigù Ryokan

Monaco zen

In un fiocco di neve,

che presto si scioglie,

c’è tutto l’universo;

da tutto l’universo

scende un fiocco di neve.

Daigù Riokan

Bibliografia essenziale

Gentili, Schnoller : Dio nel silenzio, editrice Ancora

Andrè Luof : Signore Insegnaci a pregare, Ed Qiqaion

Andrè Luof : Lo spirito prega in noi, ed Qiqaion

A. Zarri: Nostro signore del deserto, Cittadella editrice.

(1) 1 Corinzi 3,16

Romani 8,9

L’esperienza del quotidiano nella persona della via

Tratto dal volume “La farfalla”, Cerchio Ifior, pag 311

L’individuo evoluto è l’individuo che vive la propria vita soffrendo per le situazioni difficili che gli si presentano, oppure rallegrandosi ed essendo felice per le situazioni belle, piacevoli che la vita gli porta.
L’individuo evoluto è colui che lavora e dal suo lavoro trae a volte gratificazione, a volte insoddisfazione.
L’individuo evoluto è l’individuo che ha, magari, una famiglia o dei rapporti affettivi, e a volte reagisce con trasporto, a volte invece lascia andare, e si mostra magari più egoista di quello che ci si potrebbe aspettare.
Insomma, l’individuo evoluto non è altro che un essere umano come tutti gli altri immerso in una esperienza da essere umano, nella quale si presentano le esperienze che anche gli altri esseri umani hanno.
Dove sta la differenza?
L’individuo evoluto si trova ancora davanti a esperienze dolorose, difficili, ma, pur soffrendo o pur sentendo queste difficoltà, non lascia che queste esperienze lo sovrastino e gli facciano dimenticare le persone che ha intorno, le responsabilità che aveva già prima di affrontare queste esperienze; non lascia, quindi, che queste esperienze dolorose vadano contro a quelli che sono i suoi doveri e i suoi voleri, non lascia che siano esse a guidare la sua vita, ma le accetta come parte della sua vita, da vivere e da risolvere se e soltanto è possibile.
L’individuo evoluto è quello che si reca al lavoro e incontra – come dicevamo prima – le difficoltà, le gratificazioni o le insoddisfazioni che può incontrare qualunque persona in ambiente lavorativo e che, pur tuttavia, non è recalcitrante a fare ciò che sa che deve fare, perché si rende conto che se ogni persona facesse per la società, in campo lavorativo, quello che dovrebbe fare, onestamente, sinceramente, cercando di fare del proprio meglio, senza cercare di calpestare gli altri e via dicendo, tante cose potrebbero cambiare nella società stessa.
L’individuo evoluto è quello che si rapporta con le persone con cui ha un rapporto affettivo, riuscendo a dare a queste persone ciò che sente che esse abbisognano di avere.
Il che vuol dire, saper essere dolci quando è il momento, saper essere duri in altri momenti, sapersi magari dimostrare egoisti al fine di far comprendere una parte dell’egoismo altrui, attraverso lo specchio di se stesso.
E, questo, è forse il compito più difficile che l’individuo evoluto possa assumersi, in quanto essere esempio, maestro per gli altri non è mai una cosa da prendersi alla leggera. L’individuo evoluto, quindi, non è necessariamente, come qualcuno può immaginare, l’individuo carismatico, il Cristo, l’illuminato che chiunque osserva può dire: “Costui è all’ultima incarnazione”.
Se così fosse, creature, quante persone che voi vedete intorno a voi potrebbero mai essere veramente all’ultima incarnazione?
L’esperienza del quotidiano nella persona della via

La nostra esperienza

Non è facile per noi rappresentare attraverso le parole un’esperienza interiore che si svolge ormai da molto tempo, che è diventata anche un insieme ordinato di concetti ma, essenzialmente e prioritariamente, è esperienza, vita quotidiana, un modo di stare davanti ai giorni, a sé, all’altro.
Riportiamo di seguito alcuni brani, scritti all’incirca nel primo decennio del duemila, che fissano alcuni aspetti dell’esperienza e della visione che sperimentiamo.
La nostra vita è intessuta della pratica della meditazione e della contemplazione: il processo della conoscenza di sé diventa consapevolezza che si espande in meditazione e, da questa, in contemplazione: questa è la nostra pratica di ogni giorno e di ogni momento e questo, senza pretese, cerchiamo di comunicare.
Altri brani si trovano in Taccuino spirituale.

Il sentiero: consapevolezza, disconnessione, contemplazione
Il sentiero contemplativo è una piccola via alla libertà interiore attraverso il quotidiano insignificante. Il sentiero è semplice, fornisce gli strumenti per conoscere la mente…

La conoscenza di sé fondamento della via spirituale.
Questo è il fondamento della via interiore. Qualunque cosa noi possiamo dire o fare, ha un senso se siamo passati e se passiamo, ogni giorno, attraverso la cruna dell’ago della conoscenza di noi stessi…

Un viaggio incontro a sé stessi senza discepoli e maestri.
Il fine del sentiero è fornire alla persona gli strumenti per conoscersi e trascendersi: questo può realizzarsi più agevolmente se la persona non è lasciata sola e se viene accompagnata in questo processo. Nel sentiero all’insegnamento corrisponde una pratica di accompagnamento…

La compassione che sorge dalla contemplazione.
Quando sei davanti a te stesso, così come sei, quando sei davanti all’altro, così come è, quando ti è evidente il tuo limite e quello dell’altro, quando tutta la realtà manifestata non parla che di una limitazione in atto, piccole tessere di un infinito mosaico…

Nella fiducia della vita l’incontro con il dolore.
Nessuno è solo, abbandonato a se stesso. Nessuno è scaraventato nella vita senza gli strumenti per affrontarla, per manifestare se stesso, per vivere i processi che la vita gli presenta…

Nella pienezza della propria umanità.
Non è dalla negazione di sé che può germogliare qualcosa, ma è nella discesa dentro l’intimo proprio essere, nell’accettazione, nell’accoglienza, nella comprensione del proprio limite e del proprio talento…

Aderire alla vita.
Nella radicalità del gesto del vivere, dove tutta la realtà, così come appare ai sensi e al sentire interiore si manifesta, affiora la trascendenza al gesto stesso. Lì, in quel pensiero, in quell’emozione, in quell’azione…

Siamo intrisi di divenire, mentre niente diviene.
Il seme non diviene pianta, il cucciolo non diviene adulto, l’assassino, vita dopo vita, non diventa santo. Non c’è nessun divenire, ogni cosa, essere, persona, è quel che è in quel momento presente…

Identità e contemplazione: due dimensioni che non si incontrano.
A noi non interessa la speculazione filosofica ma la realtà e l’esperienza della realtà. Quella che per l’uomo è l’identità ai nostri occhi appare come una connessione, su diversi piani di consapevolezza, di elementi tra loro non connessi…

Se vuoi comprendere questo tentativo nel silenzio.
Qui, in una forma discreta e assolutamente ordinaria e insignificante, prende corpo un’esperienza interiore che ha le stesse motivazioni interiori dei tanti ricercatori, monaci, eremiti, che a tutte le latitudini e in ogni tempo sono andati incontro all’esistenza…

L’evoluzione dell’uomo da ego ad amore.
Nel sentiero raramente parliamo di evoluzione; ci focalizziamo sull’essere, sull’adesso, su quello che la vita ci presenta. Quello che accade ci trasforma, lo sappiamo, ma non poniamo l’accento sulla nostra trasformazione quanto sull’arrendersi alla vita. Perchè? (…)

Un canto dall’eremo.
Di chi sono queste giornate?
Sono mie, sono tue?
O sono semplicemente questo accadere che giunge
e che ti sprofonda dentro? (…)

Una questione centrale nella via spirituale.
La questione centrale è che tutte le persone debbono, mano a mano, spostare la loro consapevolezza dal piano più denso a quello più spirituale?Direi proprio di no, direi che la questione centrale è il superamento della logica sequenziale dei piani di focalizzazione e consapevolezza…

Contemplare è smettere di cercare.
Quante parole! Le parole parlano di noi, le persone che incontriamo parlano di noi, le notizie al telegiornale parlano di noi: se abbiamo orecchie per ascoltare e strumenti concettuali per interpretare, ci possiamo accorgere che tutta la realtà parla di noi…

L’esperienza dell’amore

Respirare è un gesto d’amore.
Camminare è un gesto d’amore.
Ascoltare è un gesto d’amore.
Parlare è un gesto d’amore.
Lavorare è un gesto d’amore.
Stare è un gesto d’amore.
Disporsi è un gesto d’amore.
Ma che cos’è l’amore?
E’ la vita che accade,
è quel gesto
privo di condizionamento
in cui si manifesta
tutta la pienezza d’essere
e tutta l’infinità gratuità.
Infinita mancanza di scopo,
puro gioco,
apertura incondizionata
dove nulla resiste.
Vento di bora.