Chiede Nadia attraverso la sezione Domande e Risposte: Giorni fa, ho letto che la terra, Gaia, periodicamente ha bisogno di purificarsi, di guarire dalle ferite che l’uomo le infligge. In quanto coscienza divina, Gaia si ripulisce e lo fa attraverso quelle che noi definiamo calamità naturali. Non so se questo corrisponde al vero, ma oggi, in questo giorno di terremoto, anche queste frasi lette mi hanno risuonato. Qual è la simbologia di questo evento?
La tesi che Nadia ha letto porta con se lo sguardo e i linguaggi del mondo New Age, qualcosa di decisamente lontano da noi per approccio e visione; non commenterò dunque quelle tesi e mi limiterò ad un tentativo di analisi del simbolo.
esperienze
La prima volta
Poi venne chiamato lui, con il suo nome in ebraico – Mi-che-leh ben Avrahom – e con le gambe tremanti salì sul pulpito. Portò le frange del tallis a sfiorare la Torah e le baciò, poi fissò le lettere in ebraico sulla pergamena ingiallita. Sembravano muoversi come serpenti sotto i suoi occhi.
“Borchu!” sibilò uno degli anziani accanto a lui.
Una vocetta tremante che non poteva essere la sua intonò la benedizione.
“Borchu es adonoi hamvoroch. Borchu..”
I tempi e le necessità della crescita interiore
Prima scena. L’altro giorno Caterina mi ha mandato un video di suo figlio adolescente mentre annaffia l’orto e canta una canzone popolare. Il ragazzo, come i suoi due fratelli, è stato educato in casa, niente scuola: la madre si è caricata sulle spalle la consapevolezza dell’inadeguatezza della scuola e ha detto: “Li crescerò tra le capre e i libri, tra l’orto e il computer, tra le storie della campagna e la città, tra l’interiore e l’esteriore, secondo i loro tempi e il loro modi”.
Seconda scena. Primi anni ’70, con un amico accompagniamo al porto di Venezia una ragazza tedesca nostra coetanea, conosciuta sul treno durante il viaggio che dalla Germania ci portava in Italia. La ragazza, ventenne, andava in Israele a vivere in un kibbuz.
I nostri piccoli mondi
Il cammino della trasformazione del sentire che chiamiamo vita, prende forma e si nutre di tutte le relazioni: da ciascuna riceve dati e possibilità di conoscenza-consapevolezza-comprensione.
Premesso questo, va detto che ci sono relazioni primarie e altre secondarie, relazioni che rappresentano la nostra officina esistenziale principale e altre che sono laboratori occasionali e transitori.
Coloro che se ne vanno di loro volontà
Un nostra amica, scossa dal suicidio di una giovane donna, Silvia, mi chiede una parola. Che cosa l’ha portata alla determinazione di appendersi ad un albero con il suo foulard?
Non lo sapremo mai: anche quelli che la conoscevano, poco sapevano di lei.
Tutti, poco sappiamo del nostro prossimo. Tutti, senza eccezioni.
Perché? Perché ciò che vediamo e cogliamo non è ciò che è, ma ciò che per noi è necessario che sia.
Dunque dell’altro non cogliamo la sua realtà, ma il suo essere comparsa sul set del nostro film.
Se non si guarda la realtà in quest’ottica, si coltiva la pretesa di capire, di sapere, magari di essere responsabili di qualcosa.
Viviamo, lavoriamo, condividiamo la vita con delle persone e, alla fine, magari attraverso un gesto inaspettato e tragico come il loro suicidio, ci accorgiamo che di esse non conoscevamo niente.
La lezione? Ridimensionarci nella nostra pretesa assurda di conoscere l’altro da noi.
Silvia, ha posto fine alla propria vita in anticipo? Si, secondo le menti; no secondo la coscienza.
Nel disegno del proprio sentire, Silvia ha finito il proprio calendario nell’ultimo giorno previsto, come tutti.
A 41 anni è morta suicida; a 41 anni sarebbe comunque morta di altro.
Non è questo, evidentemente il nodo problematico: di fronte a qualcosa che la faceva soffrire – e se la faceva soffrire è perché quel qualcosa non l’aveva compreso – invece di affrontare la situazione, di continuare a vivere le esperienze e a lottare dentro di esse, si è arresa.
Evidentemente per lei la misura era piena; evidentemente doveva anche muovere la causa del morire suicida per apprendere dagli effetti di quella causa mossa, per comprendere che di fronte alle sfide del non compreso bisogna, da un lato saper lottare, dall’altro saper accettare il limite, il dolore, l’assurdità delle situazioni, la propria o altrui inadeguatezza.
Non sappiamo che cosa Silvia andrà ad imparare, sappiamo che la vita è apprendimento e bisogna trovare un modo di starci dentro senza farsi a pezzi, senza portare le situazioni al limite della sopportabilità del dolore.
Alla nostra amica che ha posto la questione: guardando Silvia, comprendi l’importanza del nostro cammino che cerca di offrire la prospettiva di un senso al vivere e al soffrire?
Quella vita così giovane e generosa che tu vedi scomparire al tuo sguardo e alla tua compagnia, non scompare invano: in tutti voi che l’avete conosciuta, in tutti noi che ne trattiamo, insinua un tarlo, una domanda, un dubbio, un invito ad andare più a fondo nella vita, nella conoscenza, nella ricerca di senso.
Non scompare invano per sé, perché la radice di quel gesto, e il gesto stesso produrranno processi e insegnamenti nella vita futura della sua coscienza.
Accogli, cara amica, il tuo dolore e il tuo sgomento ma non farti travolgere: impara da ciò che accade, senza indulgere su di te e sul tuo soffrire.
Immagine da http://goo.gl/zQew1R
L’orientamento sessuale, la coscienza, l’ignoranza
L’ignoranza citata nel titolo è riferita al pensiero e alla prassi di persone e organizzazioni come quelle citate in questo articolo; non è di loro che voglio occuparmi.
Da dove sorgono i vari orientamenti sessuali che le persone manifestano? Dalla conformazione della propria identità, da come essa si è strutturata nel tempo, dai condizionamenti o dalle frustrazioni che ha subito, dalle dinamiche relazionali con uno o l’altro dei genitori, dalle violenze eventualmente subite?
Non credo. Nella coscienza, nell’intimo del suo sviluppo si genera quella necessità evolutiva che poi si tradurrà in una vita, o in episodi di essa, sessualmente creativa.
Per poter comprendere questa dinamica della coscienza bisogna aver chiaro che essa genera una vita, un’esistenza, una identità perché ha la necessità di acquisire dati e comprensioni che solo attraverso la vita incarnata può realizzare e acquisire.
Una coscienza non è Dio, è un sentire limitato, relativo diremmo nel nostro linguaggio e conosce e comprende solo attraverso le esperienze.
Una coscienza non vive nel tempo, è oltre esso, ma nel tempo genera le sue rappresentazioni che noi, comunemente, chiamiamo identità, persone.
Una coscienza per strutturare il proprio sentire, per conoscere, divenire consapevole, comprendere sperimenta nel tempo, in quelle rappresentazioni che chiamiamo vite, il maschile, il femminile, il transgender e le molte relazioni tra questi orientamenti.
Una coscienza sperimenta molte sfumature della vita sessuale non perché l’identità che essa genera sia viziosa, ma perché attraverso quelle esperienze estrae i dati che le necessitano: anche quando i comportamenti della identità sono evidentemente eccessivi o distorti, essa trae da essi il necessario e nella relazione coscienza/identità, quando il conflitto e il disallineamento producono situazioni molto dolorose per l’identità, ancora la coscienza apprende e prova e ritenta di ottenere la conoscenza e la comprensione di ciò che le abbisogna.
L’orientamento sessuale è uno degli ambiti creativi dell’esperienza dell’umano, uno tra i tanti: potremmo osservare queste esperienze con gli occhi della coscienza che mai giudica e che non conosce morale, che non si pone il problema del legittimo, o del non legittimo e che è sospinta unicamente dal bisogno di imparare le molte coniugazioni del verbo amare.
Per concludere: credete che un bambino adottato da genitori dello stesso genere possa, alla luce delle considerazioni fatte, subire il condizionamento del loro orientamento sessuale?
O non ritenete invece che quel bambino vivrà semplicemente la vita che la sua coscienza gli traccerà, conducendolo là dove è importante che vada?
Quanto dolore ci risparmieremmo, e risparmieremmo al nostro prossimo, se potessimo illuminare le nostre menti con queste semplici visioni?
Immagine da http://goo.gl/jEMM3U
La gestione del bisogno compulsivo di sperimentare
E’ una questione che riguarda poche persone problematiche? No, riguarda la gran parte di noi.
L’essere umano impara solo attraverso le esperienze, la coscienza amplia e struttura il proprio sentire solo se i suoi veicoli (mente, emozione, corpo) sperimentano nelle relazioni il compreso e il non compreso.
Dov’è allora il problema? Nell’assenza di ritmo, nell’eccesso, nel vuoto che si sperimenta quando l’esperienza non c’è.
Nella spinta compulsiva che ci porta a creare situazioni in cui si possano sperimentare sensazioni, emozioni, pensieri, trascendenze.
Come si può gestire questa spinta?
1- Comprendendone l’origine.
Cosa mi muove all’emozione, alla gratificazione intellettuale, all’esperienza spirituale eclatante?
Il bisogno di sentirmi d’esistere? Di sentirmi vivo e persona? Di percepirmi soggetto distinto da altri soggetti?
2- Creando degli spazi in cui osservare e ascoltare il bisogno, disconnettendolo.
Se sono consapevole del bisogno, posso gestirlo; se non riesco a vederlo mi può portare dove vuole.
Se lo vedo e ne conosco l’origine posso dire: “No, non adesso, questo è il tempo della pausa. Dopo.”
Come è evidente, il problema non è nell’avere dei bisogni, ma nel saperli gestire.
Concludo: l’essere umano impara attraverso le esperienze e queste sono generate dai bisogni: gestendo questi si impara non solo a non lasciarsi condizionare oltre il dovuto, ma anche ad entrare in un spazio altro in cui essi non sono più lo stimolo necessario per imparare.
A quel punto si inizia ad imparare non perché si ha bisogno, ma semplicemente perché è nella natura della vita imparare.
Immagine da: http://goo.gl/0j7Fn0
Chi crea la via spirituale e il suo “maestro”?
Prendo spunto da questa discussione in Comunità del Sentiero.
La tesi: la necessità di esperienza e di comprensione delle coscienze crea le vie spirituali e i relativi fondatori o maestri.
Il singolo fondatore/maestro non fonda alcunché, è il catalizzatore di una spinta che giunge da gruppi più o meno vasti di coscienze che generano la rappresentazione spazio-temporale a loro necessaria.
Il fondatore che inizia una via si trova a conferire a questa le caratteristiche, la filosofia, la teologia, le ritualità che necessitano alle coscienze che in quella via sperimentano e che è da esse stesse generata.
Il fondatore è il terminale di un processo creativo, non il punto di partenza.
Ciò che le coscienze vanno a condurre a rappresentazione può essere ancorato ad archetipi permanenti o transitori:
-ciò che Gesù il Cristo ha condotto a manifestazione è un impulso, una intenzione sicuramente ancorata ad archetipi permanenti, che durano nel tempo, sono oltre esso e parlano alle coscienze di ogni epoca mutando forma ma non contenuto.
Nella stessa rappresentazione del Cristo sono presenti archetipi transitori, principi che rispondevano alle esigenze di un tempo storico e che sono destinati a tramontare, vittime del tempo e del cambiamento delle necessità delle coscienze e delle identità.
Ogni via, se ha caratteri di autenticità, contiene in sé elementi permanenti ed altri transitori e, se rimane fedele alla sua intenzione originaria, saprà lasciar cadere ciò che è condizionato dal tempo e dal contingente.
Le coscienze hanno domande di fondo che necessitano di risposte/rappresentazioni coerenti: la necessità di imparare ad amare, ad esempio, è comune a tutte le coscienze di tutti i tempi e tutte, in tutti i tempi, genereranno le rappresentazioni spazio-temporali per apprendere e comprendere attraverso le esperienze quella capacità.
Noi chiamiamo queste rappresentazioni religioni o vie spirituali ed onoriamo i loro fondatori; non dovremmo dimenticare che le vie e gli insegnanti sono solo simboli ai sensi percepibili di processi altrimenti invisibili.
Ecco perché la persona che si è formata in una via o con un insegnate, ad un certo punto del proprio cammino sente la necessità di affrancarsi: in sé è nato lo sguardo interiore dei processi e non necessita oltre del simbolo esterno a sé.
Immagine: Vocazione dei primi apostoli, dipinto del Ghirlandaio, nella Cappella Sistina (1481).
L’esperienza della poesia coi ragazzi a scuola
C’è un momento in classe in cui i ragazzi rispondono in un certo modo, un modo inaspettato e inesplorato.
Succede quando, con davvero poco, li porti all’interno di sé, basta un respiro a volte.
E’ quello che mi è successo sempre come insegnante, toccare con mano la differenza tra il far lezione e lo stare invece insieme a rendere palpabile qualcosa di semplice e speciale.
E’ successo anche stamattina, in una prima media, dove abbiamo sperimentato un primo approccio alla poesia.
Abbiamo iniziato con alcuni minuti di silenzio scandito dal respiro, seduti correttamente sulla stessa seggiola dove di solito stanno stravaccati.
Era la prima volta. Hanno collaborato, nessuno ha riso o si è mosso.
Subito dopo hanno osservato come l’ambiente fosse impregnato di silenzio e di calma.
A metà lezione l’esperienza si è ripetuta per ritrovare il giusto ritmo tra il fare e lo stare.
Così i ragazzi hanno definito il silenzio:
calma
pace
tranquillità
vuoto
concentrazione
positività
libertà
respiro.
Il silenzio è innocuo,
sereno,
prezioso,
libera la mente.
Dopo aver letto il seguente Haiku abbiamo provato insieme a trasporlo
Vedendo la luna Osservando la luna
riflessa sul mare rispecchiata sul mare
dalla sacra montagna dall’alta collina
le isole sembrano buchi gli scogli sembrano ombre
in una distesa di ghiaccio sopra una distesa argentata.
Saigyo I ragazzi
Abbiamo poi provato con l’esperienza che i ragazzi avevano della luna, e dalla frase di uno di loro è stato elaborato insieme il seguente testo:
Tuffandomi nel mare
di sera
ho notato
onde di luna
cavalcare l’acqua
E’ stato solo un primo approccio, ma significativo, su come sia possibile portare i ragazzi a porre l’attenzione su cose semplici che possono, però, diventare straordinarie: basta saper creare il giusto clima per insegnare a guardarle e scoprire parole adatte per raccontarle.
Immagine tratta da: http://goo.gl/d6d830
“Tutto parla di noi”, il primo appuntamento di Pratica del Sentiero contemplativo
La prima esperienza del nuovo percorso di consapevolezza, conoscenza di sé, meditazione e contemplazione all’Eremo dal silenzio, San Costanzo, PU.
Primo step: assemblaggio di materiali.
Secondo step: ciascun partecipante descrive il proprio lavoro e assieme ai conduttori lo interpreta simbolicamente ed esistenzialmente.
L’album fotografico.