Quel che è non è quel che vorrei; non è quel che è stato; non è quel che sarà.
Il quel che è diviene accessibile se la mente è vuota di aspettativa e di giudizio: l’aspettativa colora l’accadere; il giudizio lo confronta con quel che è stato, con il conosciuto in genere, o con quel che dovrebbe essere secondo i parametri di una morale, di una religione, di una filosofia o di una qualche credenza.
Se c’è libertà da tutto questo, sorge l’esperienza del quel che è.
Noi diciamo: un fatto è solo un fatto; se non è caricato di significati, se non è ricondotto a sé attraverso l’identificazione; se non deve per forza servire a qualcosa, è solo quel che è.
essere
Stati e stadi dell’esperienza spirituale e del cammino interiore
Lo stato immobile, i fatti che scorrono
[…] Noi però oggi stiamo parlando di un percepirsi pacati e quindi placati interiormente, cioè di un’immobilità, pur dentro la variabilità dei pensieri, delle emozioni ed anche degli atteggiamenti o dei comportamenti.
Ed è proprio così: dentro la variabilità della globalità umana c’è uno stato immobile.
L’incontro col mondo misterioso in sé porta a scoprire che ognuno è già altro rispetto a quello che oggi pensa di essere, poiché diventa possibile scoprire dentro di sé la radice di tutto.
La paura di perdere e del non conosciuto, la vita nel sentire
Vorrei affrontare tre argomenti:
– La paura di perdere.
– La paura di andare oltre il conosciuto.
– La sostanza dell’esistere che si manifesta in ogni singolo e semplice fatto a chi ha la capacità di coglierla.
La paura di perdere
Scrive Samuele nel commento al post La solitudine: “Infine non c’è più niente….” ma nel contempo non c’è né depressione né morte, né tristezza, né desolazione, vero? C’è comunque “altro”, l’accesso all’essere a qualcosa che basta a sé stesso, al di là di ogni perché, direzione e scopo?
La pretesa della propria unicità
[…] “In quei momenti, in quei rari, rarissimi momenti,
io riesco per un attimo a trovare veramente in me il senso dell’umiltà:
allorché mi sento sperduto, piccola goccia di colore anonima
– ma non per questo meno importante – sulla grande tela che Tu,
con infinita pazienza, costanza e bontà hai creato.” Fonte
Ricorrono due espressioni:
– il senso dell’umiltà;
– l’importanza pur nell’irrilevanza.
L’illusorio specchio rivela l’essenziale
Così tanto lontano
da ciò che si mostra
risiede il tuo essere,
eppure è attraverso quel mostrarsi
che ti diviene percepibile l’essenza
altrimenti irraggiungibile.
L’illusorio specchio
Nel divenire, l’essere rivelato dall’ascolto profondo
Se un fatto non è visto e dall’impatto con esso non si lascia che sorga sensazione, emozione, pensiero, quel fatto non esiste o non ha consistenza.
È cioè necessario che un fatto, che in sé altro non è che sentire, possa attraversare i vari corpi e piani del percepente e trovare una esecuzione, ovvero dar luogo ad una reazione/azione: allora il ciclo si chiude e il processo del conoscere, divenire consapevoli, comprendere ha compito il suo corso.
Questo è ciò che ad ogni attimo viviamo, la sostanza profonda che qualifica ogni sequenza di fotogrammi che riconosciamo come la nostra vita, il nostro presente.
Se il fatto è visto e ci attraversa, allo stesso modo ci abbandona: davanti all’obbiettivo fotografico tutto scorre, tutto viene registrato e suscita impressione, e tutto viene abbandonato.
Ciò che deturpa la veste della Madre
Di sentire e pensieri, di emozioni e sensazioni, di fiori, erbe, sterco, rami secchi, profumo di radici, foglie e forza di viole è intessuta la veste della Madre.
Ogni mattino, la notte cede senza rimpianto il posto al giorno, gli esseri della notte a quelli della luce, i pensieri confusi al dispiegarsi del reale e di un ordine almeno tentato.
Ed ogni sera, il giorno si ritrae avendo esaurito il suo compito: così, senza apparente fine, si dispiega il manto della Madre e assume i colori, le fattezze, le usure del tempo, l’illusorietà del divenire per noi umani così reale.
Non è lo sterco che deturpa la veste della Madre, è la rinuncia a sé, al proprio progetto esistenziale, alla propria autonomia di manifestazione, all’essere quel piccolo segno e cifra – così come a ciascuno è dato – nel tessuto del tempo e dell’essere.