La vita senza il “dover essere”

Se tolgo all’umano lo sforzo e la tensione creata dal dover essere qualcosa, qualcuno, cosa gli rimane?
Se non siamo più quella corda tesa pronta a scoccare una freccia, a raggiungere un obbiettivo, ad avere uno scopo, a realizzarsi, di cosa si sostanziano il nostro presente e il nostro domani?
Siamo dunque i nostri obbiettivi, i nostri giudizi, le nostre aspettative? Direi di si, siamo quello e, senza quello, ci sembra di non essere.
Eppure c’è un mondo molto vasto che si apre quando usciamo dalla morsa del dover essere, del dover costruire, del dover ricercare senso ed è costituito, intessuto, dall’accadere dei semplici fatti.

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Dal divenire all’essere e le paure dell’identità

Semplificando potremmo dire che la mente/identità è immersa nel divenire, mentre il sentire esprime la sfera dell’essere.
E’ una semplificazione perché non tiene conto del fatto che la realtà del divenire niente altro è che una proiezione del sentire, la realtà è dunque unitaria e sentire e identità altro non sono che due livelli differenti e inscindibili della stessa indissolubile realtà.
Le menti/identità temono il discorso sull’essere: ne sono affascinate e lo temono.
Ogni volta che sposto l’asse del nostro procedere come Sentiero verso l’essere, questa tensione si avverte nei miei interlocutori: sembra quasi che il coltivare l’essere significhi il negare, ridimensionare, marginalizzare l’umano e la sfera del divenire in cui esso prende forma e si sostanzia.

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Procedendo nel cammino

Procedendo nel cammino, tanta ci sembra la strada percorsa e, altrettanto tanta, quella che ci attende.
I passi compiuti ci costituiscono, quelli che ci attendono non suscitano ansia, né attesa.
Altro non rimane che procedere mantenendosi nella fiducia.
Il bambino innalza la lanterna, guarda al cielo e indaga il suo orizzonte esistenziale; il lupo è alle sue spalle, osserva la scena e anch’egli scruta il cielo.

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Si cerca finché si è divisi nell’interiore

Divisi da chi? Dalla natura di sé: il senza origine e senza fine non coglie l’essenziale e trova interesse solo per i colori del divenire.
Divisi nel compiersi del processo della manifestazione di sé.
Divisi nella consapevolezza di sé e dell’accadere.
Divisi nell’interpretazione dello sperimentare e del suo senso.
L’interiore è lo specchio dove tutto si riflette e lì viviamo e patiamo quella divisione, se ancora è in atto.
Quando quella divisione è superata nel sentire, nel pensare, nel provare e nell’agire, finisce l’esperienza del sentirsi separati e frantumati,

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Non rimane altro che vivere

Finché c’è un soggetto, c’è un fare basato sulla volontà.
Ma quando il soggetto non è più rilevante? Chi fa?
Chi deve migliorare, evolvere, comprendere?
Questo significa che non c’è più nulla da comprendere e viene superato il comprendere stesso?
No, significa semplicemente che non si è sospinti da un bisogno – che sarebbe la manifestazione di un soggetto -, ma si asseconda semplicemente il movimento del vivere all’interno del quale la comprensione è un fatto interno, costitutivo.

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L’importanza del processo, non della forma

Tutto ciò che accade nel tempo e nello spazio, nel divenire, assume una forma, di qualunque materia essa sia.
Ogni forma è il simbolo visibile di un processo.
Ogni processo conduce da ego ad amore.
Nel divenire, ogni fatto/forma accade nel presente e svela comprensioni e non comprensioni.
La persona della via interiore e spirituale è quella che non si ferma alla forma esteriore, ma di essa coglie il simbolo, il processo che indica.

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L’amore per sé, la dignità, l’usare l’altro

Amore per sé e dignità sono indissolubilmente legati: l’uno genera l’altra e viceversa.
Qui mi interessa esaminare la questione dell’amore per sé e della dignità come esperienze interiori e nella relazione con l’altro.
L’uso quotidiano dell’altro: ogni giorno esso viene come simbolo vivente nelle nostre vite e narra innanzitutto di noi e, in parte varia, di sé.
Il primo e principale uso che facciamo dell’altro è dunque quello di utilizzarlo come mezzo per lo svelamento: è la lente che ci permette di vederci meglio.
E’ un uso non consapevole, esistenziale e più che altro inconscio.

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La vita assorbita nella contemplazione dell’Assoluto

Come nella storia, ciascuno di noi tocca una parte dell’elefante e dice: “L’elefante è questo!”
Nella realtà, nessuno di noi conosce niente altro che particolari, aspetti dell’elefante /Assoluto.
E’ conoscibile l’Assoluto all’umano? Apparentemente no, per la semplice ragione che solo il sentire assoluto conosce se stesso, il sentire relativo conoscerà i gradi che gli sono accessibili data l’ampiezza delle comprensioni conseguite. Ma la questione non è così semplicemente risolvibile.
Il sentire relativo è tale finché non sente l’unione assoluta. Non finché è immerso nel tempo, perché una volta uscito dalla dimensione del divenire e del tempo, quel sentire sarà ancora relativo.

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Il mito di “ciò che già siamo” e del ritorno all’origine

Pare che l’umano disponga di una natura originaria, di una condizione che gli appartiene ma che non conosce perché immerso nell’illusione e nell’ignoranza.
Vivere sarebbe liberare quella natura dal condizionamento e portarla a manifestazione: l’illuminazione sarebbe l’affermazione dello stato originario, non contaminato e non condizionato.
Come sempre, possiamo guardare alla questione dal punto di vista del divenire e da quello dell’essere, qui mi occuperò del primo.
Nell’ottica del divenire esiste un essere umano portatore di un nome, di una identità: quella identità non è un corpo, ma è la risultante della relazione tra i corpi costitutivi dell’umano, il corpo della coscienza e i suoi tre veicoli transitori (mentale, astrale, fisico).

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Identificazione, vacua passività, neutralità

Il bussare del mondo è solo immagine, in realtà non c’è alcun mondo che bussa, siamo noi che ci sentiamo sollecitati dall’accadere dentro e attorno a noi.
Il mondo accade e, in sé, potrebbe essere solo uno scorrere di fotogrammi: quando questi ci riguardano, quando sentiamo che parlano a noi, quando ci interpellano inizia il processo dell’identificazione. Allora quei fatti, quei fotogrammi sono la nostra vita, sono quello attraverso cui conosciamo, diveniamo consapevoli, comprendiamo.
Questo è solo un aspetto del vivere che coinvolge, in forme e dimensioni differenti, molto del nostro quotidiano: a fianco di questa modalità, tutti ne sviluppiamo un’altra su cui molto vagamente poniamo l’attenzione.

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