Stati e stadi dell’esperienza spirituale e del cammino interiore

Pubblico degli stralci di una lettera che mi ha scritto una lettrice con cui da tempo sono in contatto, e poi provo ad analizzarne delle parti significative per il cammino interiore di molti che vivono quanto la persona descrive e, magari, non riescono a vedere e analizzare con altrettanta chiarezza la loro situazione esistenziale. Naturalmente, non mi limito alle considerazioni che la nostra amica fa, ma da esse parto per sviluppare un tema così come oggi lo comprendo, senza pretesa di completezza nella trattazione.

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Lo stato immobile, i fatti che scorrono

[…] Noi però oggi stiamo parlando di un percepirsi pacati e quindi placati interiormente, cioè di un’immobilità, pur dentro la variabilità dei pensieri, delle emozioni ed anche degli atteggiamenti o dei comportamenti.
Ed è proprio così: dentro la variabilità della globalità umana c’è uno stato immobile.
L’incontro col mondo misterioso in sé porta a scoprire che ognuno è già altro rispetto a quello che oggi pensa di essere, poiché diventa possibile scoprire dentro di sé la radice di tutto.

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La paura di perdere e del non conosciuto, la vita nel sentire

Vorrei affrontare tre argomenti:
– La paura di perdere.
– La paura di andare oltre il conosciuto.
– La sostanza dell’esistere che si manifesta in ogni singolo e semplice fatto a chi ha la capacità di coglierla.

La paura di perdere
Scrive Samuele nel commento al post La solitudine: “Infine non c’è più niente….” ma nel contempo non c’è né depressione né morte, né tristezza, né desolazione, vero? C’è comunque “altro”, l’accesso all’essere a qualcosa che basta a sé stesso, al di là di ogni perché, direzione e scopo?

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La pretesa della propria unicità

[…] “In quei momenti, in quei rari, rarissimi momenti,
io riesco per un attimo a trovare veramente in me il senso dell’umiltà:
allorché mi sento sperduto, piccola goccia di colore anonima
– ma non per questo meno importante – sulla grande tela che Tu,
con infinita pazienza, costanza e bontà hai creato.” Fonte
Ricorrono due espressioni:
– il senso dell’umiltà;
– l’importanza pur nell’irrilevanza.

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Nel divenire, l’essere rivelato dall’ascolto profondo

Se un fatto non è visto e dall’impatto con esso non si lascia che sorga sensazione, emozione, pensiero, quel fatto non esiste o non ha consistenza.
È cioè necessario che un fatto, che in sé altro non è che sentire, possa attraversare i vari corpi e piani del percepente e trovare una esecuzione, ovvero dar luogo ad una reazione/azione: allora il ciclo si chiude e il processo del conoscere, divenire consapevoli, comprendere ha compito il suo corso.
Questo è ciò che ad ogni attimo viviamo, la sostanza profonda che qualifica ogni sequenza di fotogrammi che riconosciamo come la nostra vita, il nostro presente.
Se il fatto è visto e ci attraversa, allo stesso modo ci abbandona: davanti all’obbiettivo fotografico tutto scorre, tutto viene registrato e suscita impressione, e tutto viene abbandonato.

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Ciò che deturpa la veste della Madre

Di sentire e pensieri, di emozioni e sensazioni, di fiori, erbe, sterco, rami secchi, profumo di radici, foglie e forza di viole è intessuta la veste della Madre.
Ogni mattino, la notte cede senza rimpianto il posto al giorno, gli esseri della notte a quelli della luce, i pensieri confusi al dispiegarsi del reale e di un ordine almeno tentato.
Ed ogni sera, il giorno si ritrae avendo esaurito il suo compito: così, senza apparente fine, si dispiega il manto della Madre e assume i colori, le fattezze, le usure del tempo, l’illusorietà del divenire per noi umani così reale.
Non è lo sterco che deturpa la veste della Madre, è la rinuncia a sé, al proprio progetto esistenziale, alla propria autonomia di manifestazione, all’essere quel piccolo segno e cifra – così come a ciascuno è dato – nel tessuto del tempo e dell’essere.

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Il mondo in sé (92A)

[…] Nella prospettiva della sfilata la vita è semplicemente in ciò che si presenta: è ciò che c’è, è non-noto che resta non-noto e che continuamente nasce e muore, cioè inizia e finisce. E’ possibile applicare questa prospettiva anche alle relazioni, vedendo l’altro che propone ciò che è non-noto e che rimane non-noto.

[…] E’ soltanto quando nasce nell’uomo l’amore per l’effimero che allora lui già sa che ciò che gli arriva attraverso l’altro è effimero, cioè inizia e termina lì, e sussurra qualcosa che eccede l’altro ed eccede se stesso.

Il mare è uno, calmo o agitato che sia

Le menti vivono nell’opposizione e nella divisione e quindi dicono: “O bianco o nero, o divenire o essere!”
Considerano che l’essere sia la fine del divenire, si spaventano e tornano sul terreno che a loro pare più sicuro, quello che controllano, quello del divenire.
Dice Leonardo: “Allentata la presa, essere e divenire, immobilità ed operare sembrano non essere più alternative duali, piuttosto le due parti che formano un’onda: il divenire è l’emergere dell’onda, la cresta; l’essere è lo sprofondare dell’onda nella vastità, il ventre.
Continuo ed ininterrotto è il passaggio tra le due fasi.”
Così è e non poteva essere detto meglio.

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Divenire ed essere, operare e contemplare

[…] la vastità è pervasività del già preformato. Ed è proprio con questa visione della realtà che si scontra l’uomo che percorre quella via cosiddetta evolutiva (la via del migliorarsi e trasformarsi, ndr), perché non è abituato a mettere in discussione la sua voglia ed il suo sforzo tesi verso la costruzione di un obiettivo di crescita comune, di aiuto all’altro e di miglioramento di ciò che lo circonda, che però parlano principalmente di lui in un mondo “per lui”.
E quando sente questo suo assunto venir messo in crisi da una visione dell’esistenza in cui ciascun essere è inserito in una rete di incontri che è solo da riconoscere, quell’uomo ha difficoltà a decostruire ciò che ha edificato sulla vita e perciò a togliere via quei veli – i suoi concetti – che nascondono che tutto è già. (1)

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