Le due menti, un racconto per adulti e bambini, da “Piccolo albero”, Forrest Carter, Salani

Nonna disse anche che tutti quanti hanno due menti.
Una ha a che fare con le necessità della vita fisica, e di essa bisogna servirsi per capire come procurarsi un tetto, cibo e quant’altro occorre al corpo. Bisogna usarla per sposarsi e avere figli e cose simili. Di quella mente abbiamo bisogno per andare avanti. Ma ne abbiamo una seconda che non ha niente a che fare con cose del genere. Questa, disse la nonna è la mente dello spirito.
Della mente del corpo ci si serve per pensare in maniera avida e abietta: se per esempio approfitti sempre della gente e pensi di ricavarne benefici materiali, in tal caso devi contrarre la mente dello spirito tanto da ridurla alle dimensioni di una noce di hickory.

Quando il tuo corpo muore, mi spiegò la nonna, con lui muore la mente del corpo, e se per tutta la tua esistenza non hai fatto che pensare a quel modo ti ritrovi con uno spirito non più grande di una noce di hickory, perchè la mente dello spirito è quel che sopravvive quando tutto il resto muore.
E quando rinasci, com’è inevitabile, allora eccoti lì, nato con una mente dello spirito piccola come una noce di hickory, e in pratica non capisce niente di niente.
E capita che si riduca alle dimensioni di un pisello, e che magari scompare se la mente del corpo vivente ha il sopravvento: In tal caso il tuo spirito lo perdi del tutto.
E’ così che diventi una persona morta, e secondo la nonna era facile scoprire le persone morte. Le persone morte, mi spiegò, quando guardano una donna non vedono che porcherie; quando guardano altri individui non vedono che cattiveria; quando vedono un albero non vedono che legname e profitto; mai bellezza. Morti che camminano, disse la nonna.
La mente dello spirito è come un qualsiasi muscolo. Se te ne servi diventa più grande e più forte, e l’unica maniera per ottenere questo risultato è di servirsene per comprendere, ma è impossibile spalancarle la porta finchè non la smetti di essere avido e meschino con la tua mente del corpo. Allora la comprensione comincia a prendere piede, e più ti sforzi di comprendere più grande diventa.
Com’è ovvio, comprensione e amore sono tutt’uno; a parte il fatto che troppe volte la gente va indietro anzichè avanti, fingendo di amare cose che non capisce. Il che è impossibile.
Mi resi perfettamente conto che già mi sforzavo di capire in pratica chiunque, perchè non volevo certo ridurmi con uno spirito piccolo come una noce di hickory.

da: Piccolo albero, Forrest Carter, Salani

 

Dove risiede il mio essere

Racconti metaforici sui temi del cammino spirituale
Di racconto in racconto prende forma l’essenziale che ogni persona che ha intrapreso il cammino del “conosci te stesso” incontra: il senso della vita, la relazione con l’altro, il significato della sofferenza, l’importanza degli affetti, il  di coscienza. Questo libra parla dell’essenza della vita e del vivere in termini accessibili a tutte le persone.

Presentazione del libro Sabato 24 marzo, ore 17,30, sala del Consiglio comunale, San Costanzo, PU 

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Favola della lacrima

“Allora rispondimi – disse – quella che stai versando è una lacrima di gioia o di dolore?”
L’altro stette un attimo a pensare poi si illuminò in viso e disse: “Che sciocchezza! L’importante è che io riesca a piangere!”
da: La fonte del paradiso, Cerchio Ifior, pag. 165

L’ultima verità

Ozh-en stava tranquillo sul suo capitello decorato a fiori di loto, aspettando che entrasse uno dei tanti visitatori che, nel corso della giornata, delle giornate, dei mesi e degli anni, venivano a parlare con lui per porgli delle domande, in quanto la sua fama oramai si era così a lungo sparsa che da tutti i punti cardinali arrivavano degli individui a porgli dei quesiti.
La persona sulla porta ebbe un momento di esitazione e poi si fece avanti. “Mio Signore”, – disse – “mi hanno detto che tu sei molto saggio e sapiente, che è la stessa Parvati che ti mette in bocca la sua Realtà e la sua Verità, e allora ti prego, mio Signore, io tanto ho vissuto, tanto ho girato per il mondo, tante cose ho visto, tante cose ho imparato, tante altre cose ho imparato a non conoscere, e adesso mi piacerebbe tanto, mio Signore, che tu potessi dirmi infine la tua ultima verità. Ozh-en incominciò ad arricciare il naso, a stringere gli occhi, a storcere la bocca, a gonfiare le gote e persino a muovere le orecchie; assumendo, in tal modo, arie sempre più strane e, in qualche modo, anche spaventose; al punto tale che l’interlocutore, quasi atterrito, si alzò precipitosamente e si allontanò dalla grotta.
Di fianco a Ohz-en, una giovane ragazza che lo osservava gli si rivolse interrogativamente: “Mio saggio Signore, possibile mai che l’ultima verità sia così spaventosa da farti assumere quelle espressioni terribili!?”. “Ah, mia cara” – rispose Ohz-en con un sospiro di sollievo – non hai idea di come sia stato difficile per me sentirmi prudere il naso e non potere farci niente!”
Tratto dal volume 7 de: “l’Uno e i molti”, pag. 88, Cerchio Ifior

Pensiero oggettivo e soggettivo

Ozh-en, il  filosofo, seduto nel suo giardino, guardava in alto, verso una finestra al quinto piano, dove un gatto dalle origini incerte, accanto a un magnifico vaso di papaveri multicolori, cercava di afferrare con la zampa le corolle dei fiori che si muovevano dolcemente sotto la brezza di un alito di vento primaverile, e intanto meditava, con un certo compiacimento interiore, sulla Verità e sulla Realtà.
Con un guizzo di entusiasmo il gatto diede un colpo più deciso al vaso che, dopo aver traballato un attimo, cadde dal davanzale.
Ozh-en lo vide precipitare verso di lui osservando l’avvenimento secondo le cose che sapeva.
“In realtà il movimento non esiste, è solo un’illusione: nell’Assoluto, di cui io stesso faccio parte, tutto è immobile, e non può essere altrimenti” disse a se stesso.
“Io stesso sono un’illusione e il vaso che precipita è semplicemente la mia percezione continua di fotogrammi della Realtà in cui il vaso è posizionato sempre più vicino a me ma, in ogni fotogramma, il vaso è fermo… Come un cartone animato – meditò, un po’ fiero con se stesso per l’originalità dell’esempio – dove una serie di disegni leggermente diversi uno dall’altro, fatti scorrere in sequenza, danno la sensazione del movimento!”
La sua fierezza si spense nel dolore quando il vaso lo colpì, fortunatamente solo di striscio, cosicchè ebbe il tempo, successivamente, per porsi la domanda su quando fosse utile pensare oggettivamente e quando soggettivamente.
Dal volume X de “l’Uno e i molti”, Cerchio Ifior, pag.136