«Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito? 26 Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro? 27 E chi di voi può con la sua preoccupazione aggiungere un’ora sola alla durata della sua vita? 28 E perché siete così ansiosi per il vestire? Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; 29 eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro. 30 Ora se Dio veste in questa maniera l’erba dei campi che oggi è, e domani è gettata nel forno, non farà molto di più per voi, o gente di poca fede? 31 Non siate dunque in ansia, dicendo: “Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?” 32 Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose.33 Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più. 34 Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno. Matteo 6,25-34
fiducia
I figli non ci sono dovuti
“Ma una cosa deve essere chiara, più di ogni altra: ovunque ci sia una regolamentazione ci sono anche diritti per tutti, per le donne che come atto d’amore offrono un riparo temporaneo al figlio di chi non può “naturalmente” averne, e per i bambini che nascono da questi atti d’amore.
Eh sì, perché non si tratta di sfruttamento e di infelicità, ma di struggenti atti d’amore e di incredibile altruismo che tolgono il fiato e riempiono gli occhi di lacrime.” Questo dice Roberto Saviano sull’ultimo numero dell’Espresso (6/2016) in merito alla maternità surrogata.
Ci sono casi in cui una madre può vivere una gravidanza e poi deliberatamente fare dono della creatura che è cresciuta con lei: può accadere all’interno di rapporti molto profondi tra persone coinvolte in una relazione davvero speciale e davvero illuminata dall’amore e dalla gratuità.
Non difendere e fiducia
Dice Natascia: L’accettazione dei propri limiti, il non voler difendere la propria immagine porta ad una grande libertà. A volte sento che non c’è più neanche un immagine da difendere. Questo però non di rado mi fa sentire disorientata, confusa. Sarà che quell’accettazione non è senza riserve!
Non rimanere abbarbicati alla palizzata del fortino.
Non sapere nemmeno se c’è più un fortino da difendere da qualcuno là fuori, unito alla consapevolezza che tutta la visione del reale è soggettiva, che il film di ciascuno è personale conduce semplicemente all’esperienza del non difendere.
Cos’è il non difendere?
Avere la chiara cognizione che non esiste il nemico, né il pericolo, ma solo la possibilità.
Vedere l’altro come colui che svela le nostre paure e ci permette di affrontare il non compreso.
Essere consapevoli di una direzione esistenziale fondata sulla disponibilità ad affrontare la vita e a farsi modellare da essa.
La meditazione senza scopo
Questa riflessione parte da un commento al post sulla meditazione quotidiana.
Quando si inizia a praticare la meditazione esiste sempre uno scopo, un obbiettivo. Dire che questo è nell’ordine delle cose: un bambino desidera divenire grande; un operaio fare lavori più creativi e gratificanti.
Un ricercatore dell’interiore desidera migliorare se stesso, cambiare, magari scomparire ma, comunque, desidera.
La tradizione e la fiducia nel cammino spirituale
Ho letto con interesse questa intervista a Raphael. Ho anche evidenziato delle parti: quelle in cui c’è piena condivisione di sguardo; quelle dove c’è perplessità e infine quelle che mi sono sembrate approssimative.
Ad esempio, trovo approssimativo quello che, in genere, dice in merito al cristianesimo.
Raphael riconosce una funzione insostituibile alla tradizione nella via spirituale: solo conoscendo l’esperienza degli altri sedimentata nel tempo, puoi sapere dove sei ora, dove è l’altro a cui magari ti affidi.
Star Wars e la fede-fiducia
Ho letto questo articolo di Mauro Leonardi sull’Huffington Post. L’autore si rammarica che la fede cristiana non abbia lo stesso entusiasmo, la stessa adesione propria dei seguaci della saga di Star Wars.
A me sembra che il cammino della fede-fiducia sia qualcosa di molto diverso e più complesso della adesione emotiva, affettiva, cognitiva ad una serie cinematografica e ai suoi valori: conduce infatti a misurarsi con se stessi, con i propri limiti ed egoismi, con le paure, le resistenze e le reticenze.
Il necessario a ciascuno
Matteo 6:25 «Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito? 26 Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro? 27 E chi di voi può con la sua preoccupazione aggiungere un’ora sola alla durata della sua vita?
Agire nel non agire
Comunità per la via della Conoscenza | Voce nell’impermanenza
Informazioni \ La sezione del sito dedicata
Soggetto: Ognuno di voi è qui perché – comunque – ritiene di averne fatta di strada da quando ha cominciato a risvegliarsi al cammino interiore; anche se poi vi dite che di strada ne dovete fare ancora molta. E per incontrare che cosa? Che cosa volete incontrare, facendo altra strada, o passo dopo passo, o salto dopo salto?
Un partecipante: La parte nascosta di me stesso.
Soggetto: Andando dentro te stesso attraverso la via della Conoscenza tu incontri sistematicamente un’assenza; se incontri una presenza non sei dentro la via della Conoscenza, ma dentro una qualsiasi altra strada che parla di evoluzione, cioè di un qualcosa che ti appartiene e che migliora; ma in quel caso ci sei sempre tu e c’è sempre ciò che riguarda te, e così mai incontri tutto ciò che non è tuo.
Emmaus, l’esperienza interiore del determinante
Non ho mai provato particolare interesse per la sovrabbondanza simbolica pasquale e mi è sempre sembrato che i cattolici amassero questo eccesso barocco perché compensativo di qualcosa nel loro intimo.
Ma non è questione che mi riguardi.
Ciò che riguarda Gesù, riconosciuto dalla sua comunità come il Cristo, invece mi interessa e mi riguarda.
Voglio fare qui brevi considerazioni su alcune scene rappresentate nei vangeli.
Scena prima:
in un campo di olivi, con l’inutile vicinanza di alcuni suoi seguaci, un uomo soffre la fine del proprio cammino esistenziale: il senso del fallimento è vivido, la morte assai probabile.
Scena seconda:
quest’uomo non resiste, non si oppone e si consegna affinché un intero processo d’esistere possa giungere al termine.
Gesto grande, nobile ma non esclusivo: quanti prima e dopo di lui hanno accettato di mettere a disposizione la propria vita fisica affinché altri fossero salvati, o in coerenza con un loro ideale, o nella speranza che questo potesse essere di insegnamento e di invito alla “conversione” per altri?
Scena terza:
quest’uomo muore solo. I discepoli sono lontani e disorientati: la dimensione escatologica e apocalittica che avevano senz’altro coltivato è miseramente fallita, il suo profeta morto, nessun Dio ha rivoltato la storia.
Scena quarta:
il protagonista, l’uomo che ha sperimentato in sé la pienezza dell’unione divina, il potere di insegnare e di guarire, la possibilità di accompagnare altri là dove lui risiedeva, quell’uomo umanamente e storicamente dato esce di scena.
Ora il determinante non è più ciò che storicamente è stato, il determinante è ciò che nell’intimo accadrà.
Scena quinta:
iniziano i simboli che parlano dell’interiore, il processo che avviene nell’intimo di coloro che l’hanno conosciuto e magari seguito:
-il sepolcro vuoto;
-l’incontro di Emmaus (1).
A posteriori, con il protagonista morto nelle sue apparenze fisiche, nell’intimo dei discepoli inizia a configurarsi una situazione nuova, avvenimenti e situazioni cominciano a focalizzarsi, la portata di un insegnamento impartito innanzitutto attraverso l’offerta di sé, del compreso e del vissuto in sé, fino all’offerta della propria vita fisica, comincia a delinearsi inconsciamente ma non può farsi spazio nel marasma della mente confusa e disorientata.
Quell’esempio di amore vivo ed operante; compreso, vissuto, spiegato, offerto inizia il suo processo di germogliamento e lo fa là dove quel seme è stato accolto e ha trovato terreno intimamente pronto a quella fecondazione.
Il sepolcro vuoto dice chiaramente che ciò che è stato non sarà più, che ciò che l’umano cerca lo troverà in un incontro di altra natura, in un incontro interiore.
Emmaus racconta in poche parole l’esperienza del determinante in modo mirabile: i disorientati, i fuggiaschi, i delusi, gli orfani vivono l’esperienza fondante come risonanza, sentono l’incontro con il determinante nelle loro vite squassarli e riempirli di amore, di devozione, di una certezza completamente nuova.
Ad Emmaus viene testimoniata la nascita, l’origine, il dispiegarsi dell’esperienza interiore che integra, supera e si lascia alle spalle l’esperienza storica: ad Emmaus viene sperimentata la fede/fiducia senza condizione.
Ciò che la mente dice: il fallimento, la non venuta del regno, il profeta morto insieme alla pregnanza dei giorni e delle esperienze vissute in quegli anni di vita intima con il maestro, ora non conta in sé, ha senso perché sostenuto da una profonda comprensione interiore: Emmaus è il simbolo della comprensione avvenuta.
La fede/fiducia è alimentata dalla comprensione: il determinante ha bussato alla mia porta ed ho aperto e aprirò nei giorni a venire, oltre il tempo.
Ciò che accade ad Emmaus è ciò che è sempre accaduto e sempre accadrà quando l’umano è pronto all’incontro con il determinate: attraverso una sperimentazione intensa di varia natura, all’umano diviene evidente che mai più la sua vita potrà essere quella di prima, tutto sarà visto e vissuto con altri occhi perché qualcosa irrimediabilmente è morto nel proprio intimo e qualcos’altro è germogliato.
Grande è la gratitudine per coloro che a questo appuntamento con noi stessi ci hanno condotto ma il sepolcro è vuoto e noi siamo chiamati ad una sequela, ad un processo, ad una vita che sappia incarnare il determinante nella ferialità dei giorni.
(1) Luca 13Quello stesso giorno due discepoli stavano andando verso Emmaus, un villaggio lontano circa undici chilometri da Gerusalemme.
14Lungo la via parlavano tra loro di quel che era accaduto in Gerusalemme in quei giorni.
15Mentre parlavano e discutevano, Gesù si avvicinò e si mise a camminare con loro.
16Essi però non lo riconobbero, perché i loro occhi erano come accecati.
17Gesù domandò loro:
– Di che cosa state discutendo tra voi mentre camminate?
Essi allora si fermarono, tristi.
18Uno di loro, un certo Clèopa, disse a Gesù:
– Sei tu l’unico a Gerusalemme a non sapere quel che è successo in questi ultimi giorni?
19Gesù domandò:
– Che cosa?
Quelli risposero:
– Il caso di Gesù, il Nazareno! Era un profeta potente davanti a Dio e agli uomini, sia per quel che faceva sia per quel che diceva.
20Ma i capi dei sacerdoti e il popolo l’hanno condannato a morte e l’hanno fatto crocifiggere.
21Noi speravamo che fosse lui a liberare il popolo d’Israele! Ma siamo già al terzo giorno da quando sono accaduti questi fatti.
22Una cosa però ci ha sconvolto: alcune donne del nostro gruppo sono andate di buon mattino al sepolcro di Gesù
23ma non hanno trovato il suo corpo. Allora sono tornate indietro e ci hanno detto di aver avuto una visione: alcuni angeli le hanno assicurate che Gesù è vivo.
24Poi sono andati al sepolcro altri del nostro gruppo e hanno trovato tutto come avevano detto le donne, ma lui, Gesù, non l’hanno visto.
25Allora Gesù disse:
– Voi capite poco davvero; come siete lenti a credere quel che i profeti hanno scritto!
26Il Messia non doveva forse soffrire queste cose prima di entrare nella sua gloria?
27Quindi Gesù spiegò ai due discepoli i passi della Bibbia che lo riguardavano. Cominciò dai libri di Mosè fino agli scritti di tutti i profeti.
28Intanto arrivarono al villaggio dove erano diretti, e Gesù fece finta di continuare il viaggio.
29Ma quei due discepoli lo trattennero dicendo: ‘Resta con noi perché il sole ormai tramonta’. Perciò Gesù entrò nel villaggio per rimanere con loro.
30Poi si mise a tavola con loro, prese il pane e pronunziò la preghiera di benedizione; lo spezzò e cominciò a distribuirlo.
31In quel momento gli occhi dei due discepoli si aprirono e riconobbero Gesù, ma lui spari dalla loro vista.
32Si dissero l’un l’altro: ‘Non ci sentivamo come un fuoco nel cuore, quando egli lungo la via ci parlava e ci spiegava la Bibbia?’.
33Quindi si alzarono e ritornarono subito a Gerusalemme. Là, trovarono gli undici discepoli riuniti con i loro compagni.
34Questi dicevano: ‘Il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone’.
35A loro volta i due discepoli raccontarono quel che era loro accaduto lungo il cammino, e dicevano che lo avevano riconosciuto mentre spezzava il pane.
La natura profonda della disconnessione e della fiducia, sabato 12 aprile, Eremo dal silenzio
Disconnettere è non unire pensiero a pensiero, emozione ad emozione, azione ad azione.
La disconnessione è l’aspetto pratico della non identificazione, del lasciar fluire, la condizione per poter vivere il presente e non subire il condizionamento della mente e dei suoi fantasmi.
Disconnessione e fiducia camminano assieme: nello spazio che la disconnessione apre, e che può anche essere popolato di angosce, opera la fiducia, l’affidarsi, il confidare, l’abbandono; un modo di guardare a sé, alle proprie relazioni, ai mille fatti del quotidiano completamente diverso.
Sabato 12 aprile ore 15,40, Gruppo di approfondimento, Eremo dal silenzio, San Costanzo (PU)
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