La fiducia

Ora che stiamo diventando grandi anagraficamente, sempre più spesso capita che qualcuno che abbiamo conosciuto muoia. Questo evento rappresenta sempre un momento di riflessione interiore per noi e per coloro che vi partecipano.
La cosa che ci colpisce è il bisogno di interiorità, di risposte, di comprensione che affiora nelle persone; un bisogno che evidentemente c’è sempre ma, nella routine del quotidiano, viene soffocato da altre priorità ed anche dalla decisione, più o meno consapevole dei singoli, di non volersi fermare più di tanto a riflettere sul senso del vivere.

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Lettera per il solstizio d’inverno e per il natale 2010

Come voi sapete, la tradizione cristiana ha innestato la celebrazione della nascita del Cristo su di una tradizione spirituale preesistente, legata anche al ciclo cosmico del solstizio d’inverno e a tutta la sapienza ad esso correlata.
E’ certo che l’accorciarsi dei giorni, il freddo che s’impone, la natura che ha cambiato mantello si legano ad una esperienza interiore caratterizzata da un ritrarsi, come un avvolgersi.
E’ un gesto interiore importante perché conduce all’essenziale esserci e risiedere nel proprio intimo.
E’ il momento in cui, proprio in virtù di questo gesto, le persone ritrovano un essenziale in sé e nelle loro piccole comunità di appartenenza, che siano la famiglia, il gruppo, la chiesa, l’associazione o altro.
Non chiedo a voi nessun ravvivamento dell’identità del gruppo che mai abbiamo coltivato, vi propongo, se mi è permesso, di vivere consapevolmente questo gesto dell’avvolgersi nel mantello dell’inverno rappresentato dal solstizio d’inverno e dal natale.
Colui o colei che sono avvolti nel mantello guardano il mondo accadere consapevoli della rappresentazione che lo sostiene e perseverano nei loro passi incontro a se stessi.
Nel risiedere in sé risiedono nell’altro da sé, rammentano il cammino comune e rinnovano il proposito di incedere insieme sapendo che senza l’altro, testimone ed insegnante, siamo perduti.

Nella fiducia della vita è possibile meditare e contemplare anche il dolore

Nessuno è solo, abbandonato a se stesso. Nessuno è scaraventato nella vita senza gli strumenti per affrontarla, per manifestare se stesso, per vivere i processi che la vita gli presenta.
Il percepirsi soli è la conseguenza di quel continuo tracciare un solco attorno a sé nel tentativo di definirsi e identificarsi.
Dall’osservazione del proprio intimo essere, del mistero dell’altro, dal conficcare lo sguardo nel ventre della vita, emerge chiaramente, inconfutabilmente, alla propria consapevolezza interiore la trama che tutto unisce, tutto sostiene, tutto accompagna. Le nostre ore e i nostri giorni, il nostro pensare e il nostro agire, si incastonano in un insieme molto vasto di cui la rappresentazione che percepiamo, è solo uno degli aspetti.
La vita ci accompagna incontro a noi stessi, nel processo del conoscerci, modellandoci con le sue mani ineffabili, silenziosa quanto premurosa, compagna fedele.
Anche quando ci sembra di sprofondare nel non-senso, nel dolore e nell’abbandono, se lo sguardo si fa penetrante, scopriamo che quello stato è un prodotto della mente, oltre l’identificazione con ciò che essa secerne, la vita ci sta proponendo la nostra occasione.
Dentro al dolore e allo smarrimento è possibile, è necessario, compiere quel gesto di fiducia che dall’identificazione ci porta a comprendere, vivere e trascendere il processo che la vita ci offre, sapendo che ciò che accade è la nostra esistenza; e lì, solo lì, accade l’esistere e l’essere trasformati.
E’ possibile meditare il dolore, contemplare lo smarrimento; è possibile fermarsi, non lasciarsi travolgere, osservare ed ancora osservare, lasciare che meditazione e contemplazione sorgano e che sradichino da noi quell’identificazione con il dolore e lo smarrimento.
Possiamo utilizzare l’esperienza della meditazione come atto ripetuto di disconnessione: da quella disconnessione sorgerà quello spazio, la contemplazione, in cui l’identificazione è scomparsa e con essa è scomparso il sofferente che era solo uno stato della mente.