Dare e avere

d-30x30Dare e avere. Dizionario del

Fare ciò che si sente – ci dicono le Guide – significa agire e rapportarsi con gli altri senza pensare ai vantaggi o agli svantaggi che ciò ci comporta.
Se stiamo attenti ai nostri comportamenti ci rendiamo conto che ben difficilmente facciamo questo ma che quasi sempre il nostro agire o non agire è regolato da una specie di «libro contabile» dell’Io sul quale riporta con attenzione le voci in attivo o in passivo.
Ma esistono dei momenti in cui si tiene il comportamento indicato come ottimale dalle Guide? Certo che sì, e si verifica quando le nostre azioni sono dettate non dall’Io bensì dalla nostra coscienza e fluiscono spontaneamente senza che l’Io possa contrastarle. Il principale problema per chi è incarnato, nell’osservare questo meccanismo, consiste nel fatto che proprio in quanto si tratta di comportamenti totalmente spontanei vengono messi in atto senza che neppure ce ne rendiamo conto, così il nostro Io non ha neanche la possibilità di accorgersene e di auto gratificare e incensare se stesso dicendosi: «Guarda come sono bravo». Se questo non accade, ci insegnano le Guide, se ci sentiamo soddisfatti per aver compiuto qualche buona azione, significa che non era poi così sincera e pura come ci piace pensare che fosse.

Messaggio esemplificativo

Vi vedo, fratelli, vi vedo, sorelle, riempire il vostro essere di carezze mai date e di sorrisi mai ricevuti, che rimangono dentro di voi simili a fiori seccati tra le pagine di un libro. Tristi carezze e tristi sorrisi, miei cari; come fiori tra le pagine del libro – per voi che sfogliate le pagine dei vostri giorni in cerca di validi perché – più che ricordi sono rimpianti di qualche cosa di incompiuto che era sul momento, che avrebbe potuto essere anche più a lungo, ma che invece è appassito nell’indifferenza, lasciando solo una povera spoglia, un pallido ricordo di ciò che era un giorno e che poteva essere ma che non è stato.
Ma perché non è stato, fratelli, che cosa gli ha impedito di essere, sorelle? Vi vedo sempre, miei cari, sfogliare le pagine dei vostri ricordi e fare un rapido calcolo; vi vedo sempre prendere la penna rossa e blu e diventare perfetti ragionieri, decisi a non lasciare nulla all’improvvisazione e a fare del vostro meglio affinché le colonne del dare e dell’avere, alla fine della vostra giornata, risultino in parità, in bilancio perfetto. Come siete attenti, fratelli, come siete pronte, sorelle, a trattenere una carezza se non siete sicuri di riceverne una in cambio, a rifiutare un sorriso come se aveste paura di aprire un nuovo conto doloroso che vi preoccupa perché, prima o poi, dovrete estinguerlo.
Dare e avere, avere e dare sono diventati le colonne portanti delle vostre esistenze; e quanto poco posto lasciate nelle vostre vite per la spontaneità, per l’azione immotivata fatta solo per il gusto di vedere rifiorire un sorriso su di un volto amareggiato!
Trovate così difficile dare, ma non è certo più facile per voi ricevere, e dov’è poi la differenza tra le due azioni se non nella vostra mente?
L’essenza del dare e del ricevere è la stessa, tanto che una stessa azione diventa per due persone diverse – e contemporaneamente – per una amore ricevuto e, per l’altra, amore donato.
Perché, vedete, dare e ricevere non sono solo un arido elenco di atti da contraccambiare, ma sono una questione d’amore; eppure è così difficile per tutti sia dare che ricevere; e quante scuse siete sempre disposti a trovare per non agire!
Quante volte vi ho scoperti a dire o a pensare che piuttosto che dare a malavoglia è meglio non dare?
Non è vero fratelli, state sbagliando sorelle, non ascoltate il vostro egoismo che cerca di creare giustificazioni al vostro non agire, che si dibatte in voi, per ciò che la fiamma di un atto d’amore, per quanto sforzato, vi può fare.
E cos’è più difficile: dare o ricevere? Come in coro vi sento rispondere che è certo più difficile dare che ricevere; ma che cosa c’è di difficile? Guardatela bene in faccia questa difficoltà; forse che ciò che gli altri – direttamente o indirettamente – vi chiedono è così grande da costituire per voi un sacrificio insopportabile, una barriera invalicabile? Ma che cos’è che vi viene richiesto, in fondo, se non un po’ dell’amore che avete dentro e che non vi costa niente, perché è nato insieme a voi ed è illimitato, e permea così tanto tutto il vostro essere che, per quanto ne doniate agli altri, a voi mai ne verrà a mancare anche in più piccola parte? Cos’è allora che vi rende incapaci di dare?
Una cosa sciocca, che sembra trascurabile e di nessuna importanza, eppure è proprio quella che rovina il vostro rapporto d’amore con quegli altri Voi stessi che vi circondano. In realtà, non è vero che non date o che non volete dare o che vi rifiutate di dare; non sarebbe giusto incolparvi di questo perché la voglia di dare fa parte di voi, e vi preme dentro in continuazione e fa sì che spesso diate anche quando sembra che vi rinchiudiate in voi stessi per non cedere. Ciò che rende così difficile dare, per voi, è il conflitto tra ciò che vorreste dare e ciò che il bisognoso, invece, richiede, tra quando vi sentite di dare e quando il bisognoso, invece, ha bisogno di ricevere.
Eppure ognuno di voi interpreta di continuo entrambe le parti, ognuno di voi è all’occasione un bisognoso e sa quindi – per esperienza diretta – quanto sia difficile accettare un fiore quando invece c’è interiormente la necessità di ricevere un bacio; quanto sia difficile accettare la mano porta prima di averne bisogno, o dopo che il bisogno è finito, o è stato represso, o è stato trasformato. Quante volte in voi brucia la ferita di una mano offerta a qualcuno con amore eppure ignorata se non addirittura disprezzata e derisa? Quante volte avete ignorato e deriso e, addirittura, disprezzato la mano che qualcuno vi offriva solo perché non era il tipo d’amore che voi avreste desiderato ricevere, o non era più o non era ancora il momento in cui ne avevate bisogno? È così importante saper dare agli altri ciò che più loro può servire riuscendo, quando è il caso, anche a travalicare se stessi!
Lo so che può sembrare difficile capire qual è la cosa giusta da fare, ma non è così; c’è una sola cosa da poter donare: l’amore; e l’amore non è fatto di reticenza, di resistenza, di indifferenza, di freddezza, di passività, di ostilità, ma è spontaneità, abbandono, calore, fluidità, partecipazione, trasporto, interesse per l’altrui bisogno, senza condizioni di alcun tipo.
È così importante saper ricevere dagli altri ciò che essi sono in grado di offrire; basta ricordare che qualsiasi cosa vi venga offerta, anche se non è proprio quella che aspettavate, anche se non arriva nel momento esatto in cui l’avreste desiderata, costituisce sempre un atto d’amore, perché quasi sempre è frutto di uno sforzo, il risultato di una fatica.
Cercate di non dimenticare ciò che, come bisognosi, avete provato nel ricevere quando cercate di dare, così come vi prego di cercare di avere sempre presenti le difficoltà che avete trovato in voi come donatori, allorché vi aspettate di ricevere.
Se riuscirete a fare questo, una grande comprensione vi riscalderà, una grande dolcezza – così immensa da sembrare quasi insopportabile per la sua intensità – pervaderà il vostro essere. E ogni volta che la sentirete sbocciare dentro di voi, siate certi e consapevoli del fatto che essa significa per voi e, di riflesso, anche per chi vi circonda, metamorfosi.
Provate a guardare in quel momento le carezze mai date e i sorrisi mai ricevuti che conservate dentro di voi, e scoprirete che non sono più tristi fiori appassiti ma che sono rifioriti più belli e più profumati che mai e che sono di nuovo pronti per essere donati in nome dell’Amore. Viola

Felice è l’uomo che tende la mano per aiutare un suo fratello e non soffre, non resta ferito, non s’adira
se non sente nella mano che prende la sua lo stesso calore che sente nella sua mano.
Com’è facile dare per ricevere, amare per essere amati, aiutare aspettandosi di essere aiutati,
sorridere per ricevere un sorriso, parlare per avere parole,
donare una lacrima per averne una in cambio.
Felice è l’uomo che è pago del calore della sua mano offerta, della sincerità del suo amore,
del disinteresse nel suo aiutare, della felicità nel suo sorriso,
della spontaneità nelle sue parole, della partecipazione nelle sue lacrime.
La candela accesa non si chiede a chi sta donando fa sua luce, non si domanda chi è che il suo calore sta riscaldando
ma, semplicemente, senza neppure accorgersene, dà tutto ciò che può dare,
con umiltà, ma totalmente e senza preclusioni. Labrys

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pag. 104-108, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

La meditazione, strumento e fatto gratuito

Commenta Serena nel post La necessità della pratica meditativa e della disconnessione: Non sono sicura che per me la meditazione sia una pratica di gratuità, dovrebbe esserlo?! In realtà è un mezzo che mi permette di allenarmi alla disconnessione, alla maggior consapevolezza. Vero è che il fine è nobile, ma cos’è la vera gratuità?
Le persone della via praticano la meditazione come strumento e come fatto, come pratica gratuita.
Come strumento appartiene al divenire ed ha un grado variabile di gratuità.

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Le basi di un nuovo monachesimo. Quasi un manifesto

  • Al sentire guardiamo e non alla tradizione del monachesimo.
  • Al sentire e non alle religioni.
  • Al sentire affidiamo il nostro procedere, a quella comunione che celebra l’incontro di tutti coloro che vibrano all’unisono con il compreso comune.
  • Sul sentire confidiamo perché ci conduca in seno all’Assoluto.

Il sentire è ciò che costituisce il compreso delle coscienze: un nuovo monachesimo è pensabile solo nell’ottica della comunione dei sentire.

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La conoscenza, la consapevolezza, la gratuità, la fiducia

Dice Ivana nel commento al post Desiderare, attendersi, sperare nella preghiera: “Io sento che nessun tipo di preghiera né nessuna forma di meditazione è sufficiente se non affronto la paura di esprimere con autenticità il mio quotidiano vivere; mi accorgo che ogni momento della giornata che sto vivendo mi interroga sul rispetto e sul tradimento di me stessa, e il mio stato d’animo varia in relazione alle azioni che faccio o non faccio”.
Considerazione molto condivisibile. Vivere è innanzitutto fare esperienza e divenire consapevoli: da questo sorge il comprendere e il superamento progressivo del limite.

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Ancora su gratuità e responsabilità

In merito al post Gratuità e responsabilità, ho risposto alle questioni poste da Marco nella sezione del sito dedicata alle domande e alle risposte.
Caterina, operare il bene, la gratuità non è mai conseguenza di un’intenzione perfetta: sgomberiamo il campo dalla perfezione, l’umano opera sempre sulla base di spinte complesse e finché c’è incarnazione, c’è un tasso di egoità.
Con il termine egoità non intendo egoismo, ma l’esperienza, ad esempio, del proprio esserci come individuo nel momento in cui la propria esistenza è minacciata.

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Gratuità e responsabilità

Mi appresto a scrivere questo post stimolato da una discussione nella comunità: il tema che affronto è scontato per tanti versi, ancora da indagare per altri ed è con l’intenzione di indagare che scrivo.
Quando parliamo di gratuità intendiamo l’operare mosso da una intenzione libera da ogni tornaconto personale e da ogni connotazione egoica: chi opera nella gratuità è libero da se stesso ma, il suo operare, non necessariamente è uno spargere semi al vento, quasi sempre è inserito all’interno di una progettualità e quindi ha una direzione realizzativa.

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Essere gratitudine

Prendo lo spunto per questo post dal Lunedì nel Sentiero di oggi.
C’è l’esperienza dell’essere grati e quella dell’essere gratitudine.
Essere grati implica un soggetto: c’è qualcuno che è grato. E’ una esperienza importante che assume una portata variabile a seconda della nostra disposizione e di ciò che riceviamo dall’altro, o dalla vita.
Essere gratitudine è un’esperienza di tutt’altra natura: c’è la gratitudine libera dal soggetto che, semmai ci fosse, è da essa attraversato e marginalizzato occupando la gratitudine il centro dell’esperienza.

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Sedere insieme in zazen

Ieri a quest’ora eravamo seduti in zazen. La luce del tramonto e il silenzio ci hanno accompagnati.
Al termine non ci sono state parole, ognuno è tornato a casa portando con sé il raccoglimento di quell’ora.
Sedere insieme in zazen è l’essere assisi nella gratuità: praticare senza scopo, semplicemente stare.
Praticare zazen è praticare l’Essere: il film della vita scorre e non c’è adesione, né identificazione.
I pensieri sono solo pensieri, le emozioni solo emozioni, la vita solo vita.
Sedere in zazen è la libertà dal condizionamento che diviene fatto, esperienza tangibile.

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