Sviluppare lo sguardo del genitore (La disposizione interiore unitaria 6)

6- Sviluppare lo sguardo del genitore che osserva la processione dei fatti, sa intervenire e sa astenersi

Il genitore vede ciò che il figlio adolescente non vede. Perché? Perché il figlio vede sé, i suoi bisogni, le sue necessità espressive al centro e il mondo come periferia, un luogo indefinito da usare, o da temere.
Un genitore dovrebbe vedere sé e i propri figli incastonati nell’organismo mondo, ciascuno con la propria funzione e necessità esistenziale.

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Identificazione e disidentificazione (La disposizione interiore unitaria 3)

3- Coltivare ed osservare il ritmo di identificazione/disidentificazione: spendersi fino in fondo e dubitare fino in fondo

Definiamo identificazione la disposizione interiore che conduce a sentirsi d’essere e d’esistere come una entità con una relativa definizione soggettiva, diversa dalle altre, che mentre pensa, si emoziona, agisce aderisce a questo sperimentare e lo considera una prerogativa a cui non rinunciare, pena il non-essere.

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L’infinito frapporsi dell’identità e il suo svelamento

C’è un velo tra noi e la realtà ed è rappresentato dalla nostra pretesa di esserci e di contare con i nostri bisogni e le nostre priorità: in una parola, di esserci con la nostra identità.
È per noi così naturale partire da quel che siamo, dal come vediamo i fatti, da quello che ci abbisogna sul piano della soddisfazione e del riconoscimento che non riusciamo a cogliere la concretezza di un’altra possibilità.
Il mondo reale è oltre il nostro orizzonte personale, lontano e ignoto; noi siamo schiantati nella pervicace ricerca ed affermazione di quel che siamo e di quel che vogliamo essere.

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Il cammino dalla protesta e dalla ribellione, alla compassione

Una sorella nel cammino scrive: E poi ti sale una rabbia spaventosa, inutile, nociva, gli altri da noi non vogliono rabbia, vogliono sorrisi e assertività.
E sale il mostro, un mostro rosso che rivendica diritti, peraltro tutti giusti.
Ma perché non taci? Fai buon viso a cattivo gioco. Ti conviene. E invece no, lui esce come una vampata di un drago, un lanciafiamme. Rivendica giustizia, denuncia, dice.
Perché non taci? Guarda, osserva la miseria dell’uomo e non ti curare.

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Senza identificazione, agire e fare nella presenza

Dice Roberta G. commentando il post La vita e la via della conoscenza oltre l’interesse e il non-interesse: “La scorsa estate ho vissuto un periodo di accettazione serena di ciò che c’era: nella fiducia, le mie ansie/insoddisfazioni erano assenti. Adesso mi sento poco incline ad osservare/tacere/risiedere in me stessa e l’ansia di vivere “di più” è tornata. Ho deciso di assecondarla per un po’ e vedere dove mi porta: devo ammettere che ne sento già la stanchezza, vorrei vivere con maggiore pace, ma cercherò di andare avanti nel mio progetto.

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La vita e la via della conoscenza oltre l’interesse e il non-interesse

Argomento affrontato molte volte, certamente capito, ma compreso?
Quanti dei fatti che ci accadono in una giornata, ci interessano? E quanti sono invece oltre la dicotomia interesse/non-interesse e sono da noi semplicemente vissuti in virtù di una scelta fatta a priori?
Un genitore, quando ha deciso di essere genitore, ha accettato consapevolmente e inconsapevolmente ciò che quella scelta avrebbe comportato: le notti in bianco, le ansie, le gioie, le fatiche, i conflitti, le identificazioni.

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Le diverse realtà dell’identificato e del non identificato

Afferma Maria nel commento al post Solo il giudizio ci separa dall’Uno: “[…] pura tossicità la logica del divenire, dell’imparare, del perfezionarsi.
Puro veleno che, immersi nella sequenzialità della mente e del divenire, non possiamo non bere fino a quando ci diviene evidente che esso ci ottenebra l’esperienza di quel che è”. Queste parole mi risultano di difficile comprensione, sarà che mi sento molto dentro la logica del divenire, avverto una logica di giudizio nel descrivere una parte ineludibile della nostra realtà. Perché deve essere veleno se è necessario passare di lì per giungere a superarlo? Sento che se non si sciolgono prima dei nodi identitari nel piano del divenire si rischia di rimanerne invischiati e parlare di Essere rimane solo una bella teoria.”

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Sul recitare, sul fare, sullo stare e sulla propria irrilevanza

Scrive un fratello nel cammino: Il bisogno di recitare un ruolo si sta affievolendo giorno dopo giorno, non perché ora sia più sicuro o spavaldo rispetto a prima; avverto piuttosto una maggiore consapevolezza e sto imparando a non essere troppo identificato nei fatti che arrivano. Ora mi basta lavorare giorno dopo giorno sulle piccole cose, accettando di cadere quando sbaglio, per poi rialzarmi e provare a fare meglio di prima.
Recitare: stanchi della parte, della veste di attore, del ridurre l’altro a spettatore di dinamiche nostre infine proviamo a lasciar andare.
Ci arriviamo per stanchezza, per nausea, per disagio esistenziale non più sostenibile, per conflitto che avvertiamo debba essere affrontato.

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Non il duale, né il tempo impediscono la vita nel sentire

Ieri, in una lunga conversazione “camminata”, un fratello nel Sentiero mi raccontava di una sua esperienza nel sentire, sotto la guida del sentire.
Guida certa, inconfutabile e inconfondibile, dove la parola diviene la Parola e il gesto, il Gesto.
Sono stati transitori? Si, all’inizio.
L’ampliamento del sentire è un processo irreversibile e per quanto possa essere condizionato dal non compreso, quando una porta si è aperta in modo eclatante, non si richiuderà.
Questo è accaduto al nostro fratello e a diversi altri nel Sentiero: questa è anche la prova che non stiamo discutendo di filosofie, stiamo sperimentando la vita nelle sue molteplici possibilità che si dischiudono man mano che noi cambiamo nel compreso.

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La rivoluzione dell’ordinario

Torno ancora sul come  e non sul quanto o sul cosa per approfondire gli argomenti trattati nel post I piccoli fatti e il nostro modo di viverli.
Quali sono le componenti del come stiamo nei fatti?
1- La consapevolezza;
2- l’adesione senza identificazione;
3- l’accoglienza senza condizione.
Considero la consapevolezza come lo sguardo dell’insieme dei corpi sul reale: ciò di cui siamo consapevoli si specchia/riflette/impressiona in ciascuno dei nostri corpi e le immagini, i pensieri, gli stati scorrono nello specchio dei corpi così come negli specchi delle nostre camere scorre l’immagine nostra mentre proviamo un vestito.

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