Censura e meccanismi di difesa

d-30x30Censura e meccanismi di difesa. Dizionario del Cerchio Ifior

Le Guide hanno parlato a lungo di psicoanalisi e delle teorie freudiane, chiarendo i molti equivoci e le eccessive speranze riposte nella terapia psicoanalitica. La loro opinione è che buona parte della teoria psicoanalitica è condivisibile, in special modo per quanto riguarda i vari meccanismi individuati da Freud, Jung e Adler a proposito dello sviluppo e della costituzione della personalità dell’individuo.
Uno di quei meccanismi che le Guide ritengono esistere e operare in continuazione è la «censura». Nei loro insegnamento, però, hanno ampliato molto questo concetto, rapportandolo ai vari corpi dell’individuo: ora collegato al tentativo, da parte dell’Io, di difendersi da ciò che gli è esterno e che gli sembra possa minacciarlo, ora, invece, alla coscienza che attua meccanismi di censura (sempre a scopo difensivo) quando accade qualche cosa che l’individuo non è necessario che affronti perché non correlato ai suoi bisogni evolutivi, oppure che implica la non ancora adeguata evoluzione dell’individuo per vivere consapevolmente determinate esperienze.
Vi sono diversi tipi di censure all’interno dell’individuo: vi sono le censure che l’Io, ad esempio, cerca di imporre per nascondere a se stesso e anche agli altri, ciò che non vuole sapere.
Ma vi sono anche dei meccanismi quasi automatici di difesa, all’interno dell’individualità e dei vari corpi che mettono in essere in maniera pressoché automatica delle censure.
Per esempio, quando vi sono cose che l’individuo non è ancora pronto a sapere, perché saperlo prima di essere pronto ad accettarlo potrebbe essere più dannoso che utile, ecco che all’interno di uno dei suoi corpi, scatta un meccanismo che blocca la consapevolezza dell’individuo.
Si può affermare, allora, che anche per la censura si può applicare la «legge dell’ambivalenza», perché può avere sia valenza positiva che negativa.

Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pag. 43, Edizione privata

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Carattere e personalità

d-30x30Carattere e personalità. Dizionario del Cerchio Ifior.

Il carattere, ci è stato insegnato, ha già la sua base nella costituzione del nostro DNA, nel quale ad ogni incarnazione sono attivate quelle determinate caratteristiche che faranno da base al nostro manifestarci nel corso dell’incarnazione.
Sul carattere influiscono molti elementi tra i quali i nostri bisogni evolutivi e i dettami comportamentali provenienti dalla famiglia, dall’ambiente e dalla società in cui ci si trova a condurre l’esistenza, tutti elementi che finiscono per modificare la manifestazione esterna del carattere stesso, dando vita a quella che viene definita «personalità» dell’individuo. I due concetti non vanno confusi: il primo è interno all’individuo, il secondo è la trasposizione del primo all’esterno, modulato dagli elementi a cui abbiamo accennato.
Teoricamente il carattere è immutabile, mentre la personalità varia anche notevolmente col variare delle influenze che la condizionano. In realtà anche il carattere può cambiare: poiché gli elementi del DNA che strutturano il carattere sono attivati in funzione dei bisogni di comprensione dell’individuo, nel momento che l’individuo comprende qualche nuovo elemento l’attivazione di quel determinato elemento perde forza rispetto agli altri elementi attivati.
Di conseguenza, il carattere si assesterà su equilibri (e, quindi, manifestazioni di comportamento) diversi da quelli che venivano messi in atto prima che la nuova porzione di comprensione venisse raggiunta.

Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pag. 42, Edizione privata

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Aggressività, meccanismo di difesa

d-30x30Aggressività. Dizionario del Cerchio Ifior

Senza dubbio l’aggressività è un meccanismo di difesa e non di offesa come si è soliti interpretarla. Infatti è difficile riuscire a trovare una reazione aggressiva che abbia solamente caratteristiche offensive ma è sempre riconducibile al tentativo di difendersi da qualche cosa, sia essa la sofferenza, la paura di vedere la verità su se stessi o sugli altri, l’ammissione delle proprie responsabilità e via dicendo.
Come tutti i meccanismi di difesa ha il pregio di essere un cartello indicatore del vero problema per la persona consapevole che cerca di comprendere se stessa senza voler nascondere la testa nella sabbia come potrebbe fare uno struzzo.

Messaggio esemplificativo

Fratelli, sorelle, quante volte vivete il vostro rapporto con gli altri non come un rapporto d’amore ma come un rapporto fatto di aggressività. Se vi accorgeste, fratelli, se vi rendeste conto, sorelle, quante volte dietro al vostro ritirarvi dalla lotta è celato, invece, un comportamento aggressivo! Non può bastare, miei cari, chinare il capo sotto la reazione di un’altra persona, quando, all’interno di voi, questa persona viene maltrattata, viene oltraggiata in tutti i modi possibili; ma solo all’interno di voi poiché all’esterno, invece, riuscite ad apparire tranquilli, freddi, riuscite a non mostrare la tormenta che avete dentro; osservate il vostro comportamento, guardate le vostre reazioni; che differenza vi è tra aggressività e violenza? Forse voi pensate che sia la stessa cosa ma non è così.
Il rapporto che vi è tra loro è lo stesso che vi è tra un albero e una delle sue foglie.
Può accadere che vi sia aggressività ma non vi sia violenza, perché la violenza può essere solo un aspetto esteriore dell’aggressività,  mentre possono esservi aspetti interni più aggressivi  di un atto inconsulto e violento.
Così non crediate che quando – in un litigio – vi ritirate dalla lotta ciò significhi essere tranquilli, significhi mostrarvi migliori della persona con cui avete il diverbio perché spesso così non è: ciò accade quasi sempre perché ambite mostrarvi superiori, perché non avete il coraggio di affrontare quella che può essere una risposta dura, perché il vostro Io in quel modo si mette al di sopra di questa persona. Non è, quindi, un comportamento sentito.
Molto meglio sarebbe mostrarvi così come siete, perché mostrarvi diversi da come siete è una menzogna: se dovete operare un auto dominio, se dovete operare un freno, non è tanto sulla vostra aggressività che dovete agire – in quanto fa parte di voi ed è retaggio di passate incarnazioni e di esperienze mal comprese – ma sul modo in cui questa aggressività si manifesta.
È molto meglio lasciarla uscire con dolcezza piuttosto che lasciarla sedimentare dentro di voi come un fiume in piena, piuttosto che lasciare che il fango che porta con sé si fermi, strato su strato, nel vostro intimo. Non serve a niente porgere l’altra guancia quando questo sentimento non è sentito, non serve a niente se non a mascherare voi stessi; molto meglio sarebbe riuscire ad essere sinceri.
Ma come fare a modificare la propria aggressività in modo che diventi utile a voi e agli altri? E così facile lasciarsi andare a reazioni che sono spropositate rispetto alle situazioni che le provocano!
Esiste una aggressività, un modo di essere aggressivi che – quando viene attuato – diventa un mezzo di comunicazione, una liberazione, qualcosa di utile e sano, e questa reazione aggressiva è la sincerità. Eppure la sincerità è sempre violenta, miei cari, è violenza per chi la compie e per chi la subisce: ognuno di voi sa quanta violenza ha sentito ricadere su di sé non appena una parola spietatamente sincera gli è stata rivolta: eppure è solo in questo modo che riuscirete e rendere utile la vostra aggressività.
Fratelli e sorelle, il vostro rapporto d’amore con gli altri non può essere davvero un rapporto d’amore fino a, quando non riuscirete a mostrarvi a voi stessi e agli altri così come veramente siete. Viola

Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pagg. 22-23, Edizione privata

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Accettazione e gratificazione

d-30x30Accettazione. Dizionario del Cerchio Ifior

Molta della sofferenza interiore dell’uomo nasce dall’incapacità di accettare se stesso, con i propri pregi ma anche, e soprattutto, con i propri difetti.
Riuscire a riconoscere e accettare le proprie caratteristiche è un primo punto di passaggio indispensabile per potersi osservare con sincerità e, di conseguenza, per provare a diventare migliori di quelli che si è.
Accettare gli altri ha la stessa importanza dell’accettare se stessi: se non si accettano gli altri per quello che sono, si finisce col volere a tutti i costi farli cambiare per renderli più aderenti a quello che si ritiene il modo in cui dovrebbero essere, spesso pretendendo cambiamenti che l’altro non è ancora in grado di accettare e di mettere in atto.
Questo porta, inevitabilmente, a far nascere conflitti, contrasti, incomprensioni, rancori, delusioni e, quando magari non si sa più cosa fare, indifferenza e allontanamento.
Per evitare tutto questo – ci suggeriscono le Guide – è necessario saper accettare anche le parti degli altri che non ci gratificano; ma questo non significa subirle passivamente, bensì condividere le proprie idee con l’altro e collaborare per trovare, assieme, quegli adeguamenti che sono necessari per rendere intimamente fertile qualsiasi rapporto d’amore.

Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pag.18. Edizione privata

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Abitudine, immobilità, relazioni

d-30x30Abitudine. Dizionario del Cerchio Ifior

Il fatto che la vita dell’uomo incarnato sia affrontata tramite l’interfaccia dell’Io, porta l’individuo a tendere a fare sue le caratteristiche tipiche di esso.
Una delle peculiarità più evidenti dell’Io è quella di tendere a restare immobile, spinto a non agire dal timore che i cambiamenti che dovrebbe affrontare possano destabilizzarlo e costringerlo ad affrontare il fatto che quella di avere sotto controllo se stesso e la realtà in cui si trova a vivere è solo una pia illusione.
Ecco, così, che quando l’individuo si trova in una situazione ripetitiva e priva di nuovi e diversi stimoli, tende ad adagiarsi nell’abitudine.
Talvolta l’abitudine è utile perché offre un porto sicuro a cui approdare nei momenti di tensione o di angoscia, ma più spesso diventa un rischio, specialmente quando riguarda i rapporti affettivi con le altre persone. In questo caso, infatti, si tende a dare per scontato tutto quello che riguarda il comportamento altrui e ad aspettarsi di ricevere sempre quello che, per molto tempo, magari, ci è stato dato, senza tenere conto che se anche noi, apparente- mente, sembriamo esserci fermati, gli altri probabilmente hanno continuato ad andare avanti, ad acquisire elementi e a trarre frutti dall’esperienza, con la conseguenza che non sono più le stesse persone a cui ci eravamo abituati e, ovviamente, anche il loro modo di rapportarsi con noi non è e non può essere più lo stesso di prima.
Questo, com’è evidente, non può che rendere l’Io insicuro nella gestione del rapporto e, infatti, spesso reagisce malamente, almeno fino a quando non riesce a trovare un nuovo equilibrio che includa nella sua visione del rapporto i cambiamenti acquisiti dalle altre persone.
Non bisogna, quindi – ci ricordano le Guide – ridurre 
i nostri rapporti d’amore a rapporti abitudinari, ma cercare di renderli vivi e, come tali, in movimento e tendenti al cambiamento.
Molti rapporti, ci ricordano, finiscono proprio perché non c’è stata la capacità di adattarsi, di adeguarsi, di accettare e di comprendere 
i cambiamenti l’uno dell’altro come naturali e indispensabili alla crescita di entrambi i protagonisti del rapporto.

Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pag.17. Edizione privata

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