Appunti sull’illusione del monaco

Tratteggio di seguito alcune considerazioni stimolate dalla lettura del libro: Il cammino del monaco, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose: sono solo appunti e come tali vanno considerati.
1- L’illusione di poter dedicare l’esistenza a Dio, l’amato. L’esistenza è già di Dio, chi la dedica a chi?
Il monaco dedica la propria vita all’incontro con Dio ma, bisogna precisare, l’artefice dell’incontro non è il monaco, è Dio: quello del monaco è un movimento di apertura, di svelamento, di accoglienza, di resa non di conquista.
Dio non si possiede, si è da Lui posseduti; non lo si raggiunge, si è raggiunti; non lo si conosce, si è conosciuti.

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Illusione, percezione soggettiva della realtà

d-30x30Illusione, percezione soggettiva. Dizionario del

Un concetto importante riguardante l’individuo nella sua relazione con la vita che conduce sul piano fisico è quello della sua percezione soggettiva di quello che sta vivendo: la sua stessa costituzione (in particolare l’effetto conseguente al fatto di possedere un Io, illusorio ma, non per questo, scevro da conseguenze) lo porta a percepire in maniera selettiva i dati che gli provengono dalle esperienze affrontate, facendo tra essi una scelta influenzata da elementi quali il suo bisogno di comprensione o il suo tentativo di nascondere a se stesso verità sgradevoli che cerca di ignorare.
Questa ha come conseguenza una visione della realtà molto parziale e frammentaria, addirittura illusoria.

Messaggio esemplificativo (1)

Abbiamo visto in quale maniera l’Io viene alla ribalta nella percezione di se stessi a mano a mano che l’individualità inizia a incarnarsi nella forma umana e abbiamo sottolineato quale importanza esso rivesta, quale stimolo esso sia verso l’affrontare le esperienze e, quindi, verso l’evoluzione.
In quest’ottica risulta evidente il fatto che l’Io trae la necessità della sua esistenza (sia pure illusoria) dal bisogno di fornire all’essere incarnato l’occasione per osservare ciò che non ha compreso. Ne consegue che esso esiste nell’uomo fin dal primo momento in cui egli ha qualche cosa da comprendere e molto di non compreso: esso, infatti, è un’illusione che nasce proprio dalle sue non-comprensioni che si riflettono nel modo di affrontare la vita e le esperienze. Voglio sottolineare (anche al fine di sfatare errate concezioni o mal comprensioni dell’insegnamento) che anche l’uomo alla sua ultima incarnazione, effettuata prima di abbandonare definitivamente la ruota reincarnativa e, quindi, praticamente al culmine dell’evoluzione raggiungibile come essere umano, possiede ancora un Io e, se ci pensate bene, non può essere che così in quanto il solo fatto di essere immerso nella materia significa che doveva comprendere ancora qualche sfumatura, e questo, a sua volta, significa che una piccola parte di illusione e, quindi, di Io, esisteva ancora.
Da cosa si differenzia allora, rispetto all’Io, l’uomo alle prime incarnazioni dall’uomo alle ultime? Quello che è diverso nei due casi è la maniera in cui l’uomo si pone di fronte a quel fantomatico Io: se nelle prime vite come essere umano l’Io la fa da padrone, inducendo ad azioni completamente egoistiche al fine di soddisfare i propri apparenti bisogni, verso le ultime l’individuo riceverà certamente ancora delle spinte verso l’egoismo ma non ne sarà più dominato né sopraffatto e saprà, se vorrà farlo, accantonare le spinte del proprio Io quando la sua coscienza, ormai ben strutturata, gli suggerirà essere il momento giusto per andare al di là di se stesso nel nome di una fratellanza non più soltanto teorica bensì così acquisita da rendere «il fare per gli altri» ancora più soddisfacente intimamente del «fare per se stessi».
Tutto è Uno, dicono i Maestri, volendo significare con questo che siete, in realtà, tante piccole parti di quell’unico grande Tutto che l’uomo chiama con milioni di nomi differenti. Il fatto è, figli nostri, che non ne siete ancora profondamente consapevoli, tant’è vero che operate una separazione di valori e di intenti tra voi stessi e tutta la realtà che vi circonda, ignari del fatto che la meta sia unica per entrambi.
Mi sembra evidente, miei cari, che in questa prospettiva il concetto di illusione finisca col trovare spontaneamente una sua definizione e collocazione: dal momento che siete Uno, quello che siete e che fate appartiene non solo a voi ma anche a tutti gli altri che, assieme a voi, hanno percorso, percorrono o percorreranno, il cammino dell’evoluzione, così come è vero il contrario, ed è la vostra scarsa comprensione (e, quindi, il vostro Io) di come stiano veramente le cose che vi fa lottare, soffrire, gioire, desiderare di possedere, prevaricare, calpestare per ottenere e così via.
Inoltre, sotto l’influenza dell’Io, l’illusione è resa ancora più forte dal fatto che ognuno di voi, nell’osservare la realtà che vi circonda, crea una selezione tra le cose, le persone e i fatti che vi si presentano, trattenendo alla vostra attenzione solo ciò che colpisce, in qualche maniera, il vostro Io oppure ignorando o, addirittura negando contro ogni logica ed evidenza, quello che non è in sintonia con quelli che sono i vostri bisogni egoistici del momento.
Una cosa mi preme dirvi, fratelli: non sentitevi in colpa per ciò che siete ma pensate che il comportamento egoistico fa parte dei meccanismi naturali posti in essere per aiutarvi a comprendere: trovarsi di fronte a ciò cui il vostro Io, solitamente, si ribella (e, quindi, di fronte alla frustrazione o alla sofferenza), oppure a ciò che esso cerca di fare suo (e, quindi, ai suoi bisogni di soddisfazione) fa sì da dispiegare di fronte all’uomo che sa osservare se stesso quali siano le cose che non ha ancora compreso, al punto che può bastare talvolta anche la sola osservazione sincera delle proprie reazioni e dei propri comportamenti nelle varie situazioni per portare al raggiungimento della comprensione. Il mio timore è che la mia esortazione a non sentirvi in colpa possa essere usata dal vostro Io per giustificare ai suoi stessi occhi tutto ciò che fa… Sentirvi in colpa, lo ripeto, non serve che a farvi star male; tuttavia, fornirvi una giustificazione di questo tipo, in special modo per gli errori che commettete sapendo di commetterli, non vi porterà certamente una sofferenza minore; anzi, solo per il fatto di impedire al vostro sentire di fluire nel modo migliore, quello cui andrete incontro sarà ancora più doloroso di un normale senso di colpa, in quanto la consapevolezza di aver potuto, se aveste voluto, evitare sofferenza a voi e agli altri e non averlo fatto avvelenerà i vostri giorni.
Una domanda che ricorre spesso e che nasce spontanea allorché si parla dell’illusione è questa: «se il mondo che percepiamo è soggettivo, esiste qualche cosa di oggettivo?».
Non lasciatevi fuorviare da questa domanda, amici: ciò che percepite come esseri umani è soggettivo finché siete immersi nell’illusione, senza dubbio, ma lo è nei sentimenti, nell’attribuire connotazioni positive o negative a cose, persone e avvenimenti, nell’operare una scelta su ciò che osservate, nel pensare che esistano la fortuna e la sfortuna, nel ritenere appagante o deludente qualcuno senza tener conto che esistono anche i bisogni e le realtà degli altri. Tuttavia, sotto lo strato di percezione soggettiva, il vostro corpo è fatto di materia come lo è quello degli altri uomini, gli alberi hanno forma d’albero e le stelle brillano nei cieli senza nuvole, quindi, comunque, una realtà oggettiva esiste e, se pure essa non è esattamente quella che voi percepite, tuttavia ciò non la rende né meno vera né meno esistente.
Senza ombra di dubbio l’essere consapevoli di vivere immersi nell’illusione porta con sé delle conseguenze non indifferenti che creano un modo diverso di vivere la vita.
Chi riconosce le proprie illusioni vede più chiaramente se stesso trovando, così, più facilmente la strada verso il proprio sentire.
Chi svela l’illusione osservando se stesso si accorge che la sua stessa personalità è illusoria, per larga parte nata dalle sue incomprensioni, e con maggiore sicurezza può trovare la strada per far sì che la sua personalità assomigli sempre di più non al suo Io ma al suo vero Sé.
Chi percepisce l’esistenza dell’illusione non può che arrivare a sentirsi umile di fronte a ciò che crede di essere e di sapere perché diventa consapevole che da un momento all’altro le sue illusioni possono cadere e, allora, ciò che sapeva potrebbe rivelarsi un’assurdità priva di senso e ciò che era non sarebbe certamente più ciò che è diventato.
E, giunto alla fine dell’illusione, amerà con eguale amore le gioie e le sofferenze che ha avuto, gli amici e i nemici che ha incontrato, i giorni e le notti che ha vissuto, il bene e il male che ha attraversato, riconoscendo che nel grande palcoscenico del Tutto nulla è più importante o meno importante ma ogni cosa esiste perché è necessaria e indispensabile all’esistenza della realtà. Baba

1  Il teatro delle ombre, pag. 233 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

 

Illusione e osservazione di sé

d-30x30Illusione. Dizionario del

È facile, per l’uomo incarnato, cadere in balia delle proprie illusioni… a chi non succede?
Ma le illusioni finiscono, inevitabilmente, per portare alla sofferenza, talvolta anche molto grande, nel momento in cui si rimane disillusi.
Per questo motivo le Guide hanno esortato da sempre i partecipanti alle riunioni a cercare di mantenere il più intatta possibile la loro obiettività nell’osservare se stessi, gli altri e la vita, in modo da non perdere il senso della propria esistenza correndo dietro a pericolose illusioni.
Certo – affermano – anche il cadere in balia delle illusioni alla fine non sarà inutile ma sarà servito a fare imparare qualcosa, ma perché andarsi a cercare il dolore a tutti i costi?

Messaggio esemplificativo

Dolce sorella, in altro tempo ti parlai in modo che a te parve confuso; parlai delle illusioni e lasciai il discorso in sospeso, proprio perché sapevo che non mi avresti saputo comprendere subito, e allora non mi parve il caso di finire il discorso per non confonderti del tutto. Ma adesso che è passato parecchio tempo da quel messaggio, credo di poterlo continuare e quindi finirlo.
Io so benissimo, sorella, che dietro a quello che appare in tutta la sua fragilità c’è una bellissima sorella, forte e sicura, fiduciosa e serena, che sta aspettando.
Che cosa? Sta aspettando di liberarsi da quelle catene che tu le imponi per estrinsecarsi, per essere finalmente libera e congiungersi in un’unione indissolubile che appare ma che non è. Questa sorella – come ti ho detto – è forte e sicura, tanto che non cade sotto i colpi delle illusioni cadute. Illusioni che sei tu stessa a creare e – credimi – nessun altro lo fa, non esiste una seconda persona ché possa creare per te ciò che tu non vuoi venga creato. Illusione vuol dire credere in qualche cosa che non esiste e auto convincersi della sua esistenza; quindi vivere per ciò che si crede, comportarsi in modo tale da distaccarsi da una realtà razionale nella sua freddezza, ma irrazionale nella sua logicità. Quindi l’illusione è una creazione soggettiva e non oggettiva, e infatti non può mai venire dall’esterno.
Ma se è una reazione soggettiva vuol dire che esistono interiormente dei motivi precisi per cui quello stesso essere tende a nutrirsi di illusioni, piuttosto che di realtà, ed è soprattutto questa causa interiore, infida e sfuggente alla sua stessa comprensione, che deve essere eliminata.
Carissima sorella, questi miei discorsi sono solo teorici, nel senso che io ti sto esponendo della teoria; ti sto indicando uno dei modi migliori di essere, che tu puoi accettare o rifiutare, comprendere o meno, mettere in pratica o lasciar cadere. Vorrei chiarire una volta per tutte che questa non è una «lezione», quindi non c’è rimprovero, non c’è ironia, non c’è compassione: è solo l’esposizione teorica di qualcosa che fa parte di te ma che non riesce ad uscire.
È facile, sorella, porgere la mano a chi è capace di aggrapparvisi, è facile anche perché la spinta egoistica che muove – a volte – il braccio viene in questo modo alimentata e soddisfatta. Credimi: in genere si compie una scelta nell’offrire il proprio aiuto, si seleziona consciamente e inconsciamente – tra le persone che maggiormente riescono a muoversi in modo tale che il loro agire funge da ricompensa all’azione d’aiuto. E questo è sbagliato; è un grosso errore che il tempo, solo il tempo, sarà in grado di evidenziare; bisogna invece imparare ad aiutare chi sembra che rifiuti l’aiuto, chi non lo chiede espressamente né con le parole né con il comportamento, chi anche sembra avercela – per chissà quale ragione – con te; chi, creatura silenziosa, reagisce al proprio bisogno d’aiuto con atteggiamenti aggressivi e talvolta scostanti. Sono proprio quelle persone appena citate a dover smuovere in te qualcosa, a toccare le tue corde interiori affinché tu possa donarti a loro.
Mi sono reso conto che, molto spesso, queste nostre parole vengono fraintese e che, quando parliamo d’aiuto, voi – per motivi logici ed evidenti che derivano dalla vostra condizione di esseri umani – lo identificate con l’aiuto materiale. L’aiuto materiale invece, di per se stesso, può anche non avere importanza: per chi ha fame, infatti, a volte serve di più una parola di incoraggiamento che un pezzo di pane. Anche questo deve essere una meta del vostro miglioramento; e anche tu, dolce sorella, devi imparare a fare tue queste teorie; quando avrai imparato a rivolgere il tuo sorriso, la tua dolcezza, la parte migliore di te, insomma, a quelle persone che sembrano non accettarti, starai meglio, evitando così di cadere nelle illusioni e quindi, poi, nella solitudine.
Ho detto «sembrano», perché un conto è ciò che appare e un conto è ciò che è, e vi è un’enorme differenza tra le due cose. La realtà che tu vivi è apparente e non vera, perché tutto ciò che osservi, sperimenti o impari è vittima della tua interpretazione soggettiva, cosicché quanto tu vedi potrebbe essere verità ma non è detto che lo sia. Per questo meccanismo, certe persone ti possono «apparire» in modo negativo, perché urtano nel tuo intimo qualcosa di non ancora libero dall’egoismo dettato dall’Io, facendoti reagire in modo tale da impedirti di vedere con oggettività la realtà che, quindi, ti «appare». Tutto questo va superato e non bisogna mai trovare delle attenuanti adducendo motivi del tipo: «però anche lui/lei potrebbe comportarsi in modo diverso».
È sbagliato fare questo ragionamento, in quanto il solo pensiero indica quanto siano ancora alte le dosi di egoismo e ti dirò, per darti una spiegazione a questo discorso, che bisogna essere tanto severi con se stessi quanto indulgenti con gli altri. Dare vero aiuto agli altri è offrire spassionatamente se stessi; non aspettare una ricompensa né tanto meno il ringraziamento; non rammaricarsi se l’aiuto non viene accettato; non soffrire se anche si corre il rischio di perdere un rapporto (perdita sempre relativa e momentanea); non rendersi neppure conto di aiutare e non soffermarsi a pensare che per farlo si è dovuto scavalcare se stessi.
Parliamo adesso della sofferenza fisica ed anche morale che ti è stata, così spesso, compagna di vita. Capisco benissimo le difficoltà che ha comportato per la tua esistenza umana, sorella, ma la sofferenza e il dolore – come sai – servono all’individuo affinché migliori. Potrei avvilirti, a questo punto – ma spero che così non sia – dicendoti che la sofferenza, sia essa fisica o morale, è l’ultima carta che viene giocata quando un individuo non vuole o non ha voluto comprendere certe verità. Per consolarti, comunque, ti dirò che potrebbe anche essere la conseguenza di una tua vita precedente.
Da queste premesse, tra l’altro assai generali, ora ti dico: spogliati, sorella, dall’esteriorità nemica numero uno di te stessa, ma non dell’esteriorità come tu la puoi intendere, bensì di quell’esteriorità sottile e perfida che si insinua per impedire di comprendere. Fa il piccolo sforzo di allontanarla da te e medita, veramente e con serenità, sul perché di tanta, tanta sofferenza. Cerca di non cadere nel vittimismo, nemico numero due per la tua comprensione, e non lasciar cadere la speranza. Trova la vera origine di tutti i tuoi mali e del tuo quasi disperato bisogno di affetto; solo così riuscirai a lenire la tua sofferenza morale, e anche quella fisica. Cerca di capire che la sofferenza e il tuo bisogno d’affetto sono interdipendenti, e questo è un dato di fatto innegabile; cerca di scorgere i motivi e da sola ti renderai conto della verità, che non è poi così lontana dai discorsi che ti ho appena fatto.
Sorella, tu hai la verità a portata di mano purché tu voglia scorgerla, e hai i mezzi per comprendere perché la tua sofferenza morale e fisica ti appare – e ancora una volta ho detto «appare» – più grande di quanto sia in realtà, nella realtà oggettiva. Cerca di arrivare a comprendere che non è giusto fare della propria sofferenza un modo per sentire gli altri vicini; questo lo dico per te, poiché la prima a soffrire sarai proprio e soltanto tu. Gli altri, seguendo il corso della propria esistenza, saranno in grado di dimenticare tutto questo, mentre tu non vi riuscirai e potrebbe restare per te un peso invece di un’esperienza positiva.
Cerca anche di vedere quanto il «rifugiarsi nel dolore» possa essere un modo per sfuggire la realtà e quindi, in un certo senso, chiudersi in una nuova e dolorosa illusione. Una realtà – o, meglio, una verità – che dovrebbe essere accettata nella sua totalità a mano a mano che il tempo passa, che i giorni fuggono via, che gli anni pesano sul proprio corpo fisico.
Sorella, questa volta ti ho parlato nel modo più aperto possibile per aiutarti, per infonderti fiducia, per darti speranza, per vederti serena in ogni momento, anche quando le tue pene cercheranno di impedirti di volgerti intorno e di abbracciare il creato anche solo con lo sguardo e sentirlo finalmente tuo. Fabius

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pagg.133-137. Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

 

Coltiviamo l’illusione senza sosta

La domanda che ad ogni scena del nostro film personale e quotidiano dovrebbe accompagnarci è: ciò che penso, ciò che mi muove, ciò che attuo aderisce alla realtà dei fatti, o all’illusione che permea la mia mente?
Siamo immersi nell’illusione, nell’immaginazione, nella proiezione: gran parte della nostra vita è spesa nell’identificazione con ciò che non è reale, non ha sostanza, è pura creazione mentale.
La mente non produce realtà, produce l’immagine personale della realtà: solo andando oltre la mente si entra nel regno della realtà, di ciò che è, non di ciò che vorremmo, di ciò che ci sembra e ci appare.

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L’illusione di una mente intossicata

Dice Luciana nel commento al post Sentire, mente, emozioni: “Se la mente non è più prevalente”, ma quando ti rendi conto che è lei che fa la parte del leone e ti porta dove vuole, e nonostante la ricerca della sensazione fisica, del riportare l’attenzione sul corpo, riesce sempre a farla franca? Perseverare, certo, ma mi viene il dubbio che io non stia agendo nel giusto modo…
Quando la mente non si ferma e continua a cercare, a proiettarsi, a coltivare desiderio, a generare scene e possibilità più o meno reali, significa che non si è ancora ben compresa l’illusorietà del suo operare e ad essa si rimane ancora aderenti.

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Ignoranza ed illusione

Dice Samuele, con la lucidità che gli è propria: “Il rifugio nella mente rappresenta a volte un vero e proprio anestetico. Rapisce i sensi e ti conduce in una zona franca, anestetizzando la vita”.
Fatti di mente, volgarizzeremmo noi. E’ il gioco comune, feriale, quotidiano di tanti di noi, della gran parte degli umani che vive la vita attraverso il filtro irreale di quello che crede, di quello cui aderisce, di quello che desidera.
Costruiamo fotogrammi di un film fantastico basato sulle nostre proiezioni, giudizi, desideri e legando fotogramma a fotogramma lo facciamo scorrere, lo rendiamo coerente ed infine dichiariamo che è noi, la nostra vita, la realtà.
Niente di tutto questo è reale, ma a noi lo sembra e questo ci basta.
L’altro? E’ come lo vedo io. Quel fatto? E’ come me lo racconto. Se non fosse tragico per le conseguenze che produce, sarebbe ridicolo.

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La vita è fatta di niente

Nei gironi della bulimia dei rapporti, delle parole, degli alimenti, delle retoriche si mostra il tentativo dell’umano di riempirsi e di circondarsi di senso.
Non so quale sia il risultato: per chi scrive, in un lontano remoto, era miserevole.
Le scelte ripetute di rottura e di estrazione dalla ritualità hanno, nel tempo, svelato la natura del tentativo bulimico, la sua illusorietà, la sua vacuità.

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La forma e la sostanza della vita

Continuo ad approfondire il tema del “Vivere fino in fondo”.
Ho più volte detto che l’umano confonde il vivere fino in fondo con l’identificazione con i pensieri, le emozioni, le azioni.
Commette qui lo stesso errore di quando si alimenta: cerca e compra cibi più per la loro forma che per la loro sostanza.
Direte che non è vero, che siamo attenti alla sostanza. A quale?

continua..