Famiglia, amore, relazione karmica. Dizionario del Cerchio Ifior
Mi sembra abbastanza evidente che la concezione di famiglia, così come era fino a poco tempo fa, all’interno della società di oggi non ha più molto senso; no? La famiglia ha troppe strade, ha troppe possibilità, troppe diversità; una volta tra padre e figlio c’era già un certo distacco, ma adesso tra padre e figlio il distacco è molto aumentato, perché la generazione non è più di 16, 17 o 18 anni ma a momenti è di 11 anni; no? E, quindi, con tutti gli elementi della società che cambiano così velocemente, con questa nuova tecnologia, è difficile che una famiglia possa restare veramente unita senza subire i colpi di questa diversità tra genitori e figli, per esempio.
Certamente l’errore che si fa è quello di voler a tutti i costi puntare il discorso sulla famiglia; certamente la famiglia sarebbe importante, è importante, ha avuto la sua importanza sia storica che reale nel corso della storia dell’uomo per creare la società, creare l’individuo, far crescere i figli, ma ora come ora forse si dovrebbe riuscire a passare a un concetto di famiglia un po’ diverso, a quella famiglia del futuro che era stata accennata, tanti e tanti anni fa, se non sbaglio da «papà» Moti in un messaggio sulla rivoluzione in cui parlava del nuovo mondo, quando i figli non saranno più figli miei o figli tuoi, o figli di quell’altro, ecc., ma saranno figli di tutti. A questo modo, un po’ alla volta si arriverà, si dovrebbe arrivare ad avere una famiglia allargata; ma non allargata nel senso sessuale come si intendeva fino a qualche anno fa, una famiglia allargata in senso di interiorità, per cui tutti sono genitori e tutti sono figli; e dove non arriva un genitore a capire uno dei figli, può arrivarci un altro a portare il suo aiuto, e aiutare quel figlio che non è compreso dall’altro genitore a comprendere qual è la cosa migliore da fare. E io credo che passare da questa unità cellulare di «famiglia» ad una famiglia pluricellulare sia un passaggio difficile, una traduzione difficile che porterà senza dubbio dei problemi ma che, un po’ alla volta, poi verrà – per forza di cose – accettata, inevitabilmente.
Messaggio esemplificativo (1)
“Che l’uomo non separi ciò che Dio ha unito» … Pensateci un attimo, figli nostri; è mai possibile che una figura come quella del Cristo possa avere proferito una frase così sconclusionata come questa?! In realtà, infatti, la frase originale era leggermente diversa; quel tanto di diversità che bastava a dare un senso più grande e più completo alla frase stessa e bastava a togliere la possibilità ad eventuali autoproclamatisi intermediari fra gli uomini e la divinità, toglie – dicevo – la possibilità a questi intermediari di speculare sui rapporti d’amore che si vanno ovviamente creando nel corso del fluire delle vite individuali all’interno della realtà fisica. Moti
Difatti, creature, l’originale frase del Cristo era leggermente diversa e diceva: «Nessun uomo può separare ciò che Dio ha unito».
Apparentemente, sembra che dica la stessa cosa; in realtà la differenza è molto sottile; infatti, con questa frase viene affermato che l’uomo, comunque sia, non ha la capacità di intervenire, di modificare, in quello che è il volere dell’Assoluto; che ciò che Dio ha creato per l’individuo, in realtà, esistendo per il bene stesso dell’individuo, non può essere lasciato in balia dei capricci o dei desideri o delle azioni di altri uomini; che, non essendo a conoscenza della vastità e della Realtà dell’Assoluto, non possono quindi avere la facoltà di modificare secondo il loro intendimento quello che la Volontà Divina ha messo in atto.
Noi, che per anni vi abbiamo parlato delle varie leggi dell’esistenza, della creazione della Realtà, possiamo subito pensare che la frase possa essere anche interpretata in un altro modo dal punto di vista filosofico, ovvero «nessun essere umano può separare ciò che la legge karmica ha unito»; che poi, alla fin fine, è sempre la stessa cosa! Però tenete presente, creature, che questo, alla fin fine, è un corollario di quello che noi vi diciamo quando affermiamo che i rapporti d’amore che create nel corso delle vostre esistenze sono per forza di cose eterni e indissolubili e restano scritti nell’Eterno Presente, nelle vostre coscienze, in maniera tale che ogni volta che nel corso del vostro continuo immergervi e uscire dalla materia all’interno del piano fisico essi saranno pronti a riallacciarsi, a ritrovare quel contatto d’amore quando vi troverete a condividere un altro periodo di esistenza assieme a coloro che avete amato in altre vite, nei momenti che trascorrete durante quella vita in corso.
Questi rapporti d’amore, creature, sono il substrato su cui si va tessendo, un po’ alla volta, lentamente ma con costanza, l’intero tappeto della coscienza della materia akasica di cui fate parte; sono le cellule, gli atomi, le monadi, i primi elementi coi quali mettete in comune la vostra capacità di amare e di essere amati; costituiscono quell’ordito di base che arriva a farci affermare che l’Archetipo Permanente più grande e importante, che in sé tutto racchiude e comprende, è l’archetipo dell’Amore, ma amore inteso come donazione di se stessi, amore inteso come capacità di dare agli altri senza aspettarsi di ricevere nient’altro in cambio; l’amore che, per esistere, basta a se stesso e non ha bisogno di null’altro; qualcosa di apparentemente così lontano dalla vostra qualità e dalla vostra essenza di oggi.
Eppure, creature, io so, io sono sicuro, io sono certo che dentro di voi quell’Amore già esiste e vi manca soltanto la capacità di riuscire ad accettarlo; perché vedete, creature, è facile dire: «io amo, io ti amo» e via e via e via, ma le parole sono parole, possono nascondere altri mille significati al di là delle parole che vengono usate! In realtà, amare non è necessariamente dire delle parole, non è necessariamente essere sempre presenti, ma è invece, necessariamente, sentire al proprio interno la presenza della persona amata anche quando la persona amata magari non è più presente; essere certi che quel legame che si è costituito continua e vive perché si sente interiormente che non è stato spezzato neppure nel momento della morte; significa essere certi che, all’interno dell’archetipo dell’Amore, tutte le piccole e grandi storie d’amore che ogni individuo vive nel corso della sua vita sono lì, a testimonianza dell’ampliarsi, dell’ingrandirsi, del costituirsi dell’amore individuale di ognuno di voi in quell’Amore che tutto unisce, che tutto è, perché appartiene al Tutto. Scifo
1 La ricerca nell’ombra, pag. 125.
Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata