“Quando ami sul serio, fai tutto in funzione della felicità dell’altro”.
Desidero commentare questa espressione, non conosco personalmente il suo autore e il suo pensiero e non intendo polemizzare con lui, mi interessa solo la sua espressione in quanto comune a molti in ambiente cristiano-cattolico.
Ad una prima analisi superficiale, l’espressione è condivisibile soprattutto perchè sottende un principio: non della mia felicità mi curo, ma della tua; anzi, realizzo la mia servendo te.
Ad un’analisi più approfondita, l’espressione mostra i suoi limiti: se ti amo opero, agisco, mi muovo con la finalità, con lo scopo di renderti felice?
l’altro
Del karma delle genti e del non grattare la pancia all’orso
A te che fuggi da condizioni di vita miserabili abbandonando la tua terra natale e, spesso, anche i tuoi cari, venendo meno alle esperienze, obiettivamente dure da affrontare, che la vita ti ha proposto, non credere, così, di poter sfuggire alle tue necessità evolutive, e cerca di renderti conto che non è mai veramente possibile discostarsi da esse…(Dall’ultimo messaggio del Cerchio Ifior)
Il post prosegue in questa pagina riservata, se vuoi leggerlo richiedi la password.
Il vero dare e il bisogno esistenziale dell’altro
Il piacere di ricevere un grazie, una gratificazione è un sentimento umano e normale. Tuttavia è importante riuscire ad andare oltre a questo, è importante poiché riuscire a dare ciò che si sente agli altri senza aspettarsi una risposta positiva, significa aver veramente compreso interiormente che l’importante è il dare e non il ricevere.
Capire questo significa perdere molte delle tensioni che ognuno di voi avverte nel corso delle proprie giornate: molto spesso vi adirate con gli altri perché non vi rispondono come sarebbe, magari, anche giusto che vi rispondessero: molte volte tramutate in astio un passo che avete fatto soltanto perché la persona verso cui vi siete rivolti ha rifiutato l’incontro con voi, o il vostro aiuto, o le vostre parole, arrivando a definirla superba, o stupida, o via dicendo.
Niente più dell’ordinario ci interroga e ci insegna
Come sapete, la lunga stagione dell’insegnamento attivo nel Sentiero è finita: ciò che rimane e permane nel tempo, è il lavoro sottile di un gruppo di persone attente al quotidiano e ai movimenti del loro interiore.
Da cosa è costituito l’ordinario quotidiano?
Da ciò che la nostra coscienza crea e che, in quei termini, è percepibile e sperimentabile solo da noi e sempre narra del compreso, del non compreso e dei dati di cui essa necessità per procedere nel compito di ampliare il sentire che la costituisce.
Quando è chiamato in causa il compreso, il nostro operare sarà facile e nella gratuità; quando è il non compreso che bussa, è probabile che vi sia un certo tasso di attrito, di fatica e di condizionamento generato dall’identificazione.
La persona non è mai pienamente consapevole della portata dell’ordinario che la impatta: provenendo da un passato in cui si interpretava come vittima, mai finisce di imparare, di considerare, di compenetrare il presente come possibilità e come specchio di sé.
Barriere e difese
Barriere e difese. Dizionario del Cerchio Ifior
Nell’ottica dell’osservazione di se stessi può essere molto utile prendere coscienza delle barriere che siamo soliti frapporre tra noi e ciò che ci circonda.
Talvolta le barriere sono rese necessarie dal tipo di ambiente e di società in cui si conduce la propria esistenza fisica, ma spesso le barriere che poniamo indicano i punti in cui abbiamo paura della nostra fragilità e, di conseguenza, possono rivelarci in che direzione dovremmo fare qualche cosa per modificare noi stessi.
Messaggio esemplificativo
Avete parlato di barriera come meccanismo di difesa.
E questo è giustissimo: quante volte mettete davanti agli altri la barriera della vostra freddezza o della vostra allegria, o dell’indifferenza, o della durezza per paura che il mostrarvi così come veramente siete possa costituire una debolezza in cui gli altri possano far breccia riuscendo a ferirvi?
Per la legge dell’ambivalenza, però, è altrettanto vero che una barriera può essere anche un meccanismo di attacco verso ciò che è esterno a se stessi: spesso la freddezza esiste per indurre l’altro a essere più comprensivo verso di voi, l’allegria è un modo per costringere gli altri ad avere una certa visione simpatica del vostro modo di essere, l’indifferenza viene usata per suscitare interesse, la durezza per infrangere le resistenze altrui e via e via e via!
Pensate alle vostre barriere: sono delle cose fastidiose, spesso apparentemente insormontabili ma, tuttavia, con la loro esistenza vi segnalano cos’è che dovete superare, qual è il motivo (vostro, non altrui) della loro presenza; servono, insomma, sì a frenare, ma anche a indicarvi la strada per abbatterle.
Un po’ alla stregua dell’Io che costituisce una barriera per ogni uomo incarnato ma che, proprio in se stesso ha i germi per la propria sconfitta e il proprio dissolvimento.
Non dimenticate che ogni individuo ha bisogno degli altri e ogni stimolo, ogni esperienza è posto lì non per una sola persona ma per tutte le persone con cui viene a contatto.
Così vedere le persone a cui la vostra barriera non appartiene ma che con essa (poiché voi l’avete eretta) si scontrano, vi fornisce stimoli per cercare di annullarla, vi mostra quali sono le loro reazioni di fronte ad essa svelandovi come in uno specchio, proprio grazie alle loro reazioni, quella parte di voi stessi che dovete cercare di incontrare, riconoscere, comprendere e, in definitiva, superare. Scifo
Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pagg. 40-42, Edizione privata
Indice del Dizionario del Cerchio Ifior
Altruismo e egoismo
Altruismo. Dizionario del Cerchio Ifior
Il concetto di altruismo è uno dei più complessi da analizzare, in quanto è fin troppo facile usarlo per ricoprirsi – come ci dicono le Guide – di piume di pavone che non sono nostre nel tentativo da parte dell’Io, di apparire migliore di quello che è non soltanto agli occhi degli altri ma anche ai propri. Il più delle volte, sottolineano, l’altruismo che manifestiamo è una sottile forma di egoismo che finisce col creare più danni che aiuto alle altre persone.
Messaggio esemplificativo
E a voi, figli, quanto occorrerà meditare per migliorare voi stessi anche di poco? Per comprendere che tutti i giorni, tutte le ore, tutti i secondi, date aiuto solo a chi vi ispira sentimenti d’amore e d’amicizia, rifiutandolo a coloro che non appagano in qualche modo i bisogni del vostro Io.
Eppure, quanto sarebbe più utile per voi stessi porgere aiuto a chi siete soliti, invece, rifiutarlo!
Meditate un attimo: per quale motivo una persona vi risulta antipatica? Non può essere che forse non dipenda solo da lei? Non può essere che il suo comportamento e il suo parlare colpiscano qualche cosa di dolente in voi, cosicché vi rifiutate di riconoscerlo e nascondete a voi stessi le vostre ferite, facendo scaturire in voi quella reazione che siete usi definire « «contro la sofferenza». Ma la sofferenza di chi: della persona antipatica o la vostra o quella di entrambe?
Meditate ancora, se volete: non è forse più difficile riuscire a porgere aiuto alle persone più prossime che alle altre? Eppure dovrebbero essere le persone più prossime quelle meglio conosciute e, quindi, quelle alle quali meglio si dovrebbe saper porgere il giusto aiuto nel giusto momento. E allora perché questa reticenza, perché questa incapacità?
Forse che in voi c’è il desiderio di non voler aiutare i vostri genitori, o i fratelli, o il coniuge, o i figli? O forse è il vostro Io che vi impedisce di farlo, per nascondere le proprie magagne o per auto esaltarsi di fronte all’altrui difficoltà?
“Ma tu hai detto di agire secondo il proprio ‘sentire’ e se il mio ‘sentire’ non mi dice di aiutare certe persone cosa devo fare?». È giusto se voi fate quest’obiezione: vi è un apparente contrasto nel mio dire. Eppure è evidente che per migliorare se stessi bisogna cambiare; e che per cambiare bisogna sempre tendere al gradino superiore del proprio sentire; e che per raggiungere questo gradino occorrono piccole violenze al proprio sentire.
Meditate, figli: vi è davvero contraddizione o quanto ho appena detto era implicito in quanto affermato precedentemente e, anzi, se così non fosse, tutto quanto ho detto riguardo al mutare del «sentire» non avrebbe alcun senso?
Abbiamo parlato di piccole violenze. Piccole. Infatti, per dare aiuto, a volte basta una frase detta con una punta di acrimonia in meno, o un lieve sorriso d’incoraggiamento, o uno sguardo dritto negli occhi invece di uno sguardo che elude. Meditate su quanto sforzo vi occorrerebbe per dare davvero a chiunque un po’ d’aiuto, ma meditate anche su quanti sforzi è basato tutto l’aiuto che ricevete nei vostri giorni e che siete soliti trascurare o ignorare perché a voi sì, è naturale e giusto che l’aiuto venga porto!
E l’aiuto dato per ricevere in cambio che senso ha? Non è inutile e privo di significato se è dato per ottenere un utile di qualche tipo?
Distinguete: per chi riceve aiuto non ha importanza il perché lo riceve ma – se d’aiuto ha davvero bisogno – è ciò che riceve quello che conta.
Per chi dà aiuto, noi diciamo: «Se ti rendi conto di non dare per avere, sei sulla strada dell’Assoluto poiché vuol dire che inizi a conoscere te stesso; e conoscere te stesso vuol dire allargare la tua coscienza espandendola nella giusta direzione».
Posso tendere una mano a chi soffre e Ti ringrazio per questo;
devo fare da stampella a chi sta per cadere e capisco il Tuo perché;
voglio asciugare mille lacrime con il mio sorriso
e ogni lacrima corroderà un atomo delle mie catene. Moti
Altruismo e sensibilità
Con la loro solita originalità nel brano che segue le Guide hanno parlato del rapporto che c’è (o dovrebbe esserci) tra altruismo e sensibilità, attraverso un «dialogo epistolare» tra due persone.
Messaggio esemplificativo
Caro Ernesto,
come vedi non ho resistito alla tentazione di rispondere nel più breve tempo possibile alla tua peraltro graditissima lettera, nella quale, prendendo spunto da una frase del Maestro, mi chiedi la mia umile opinione sul concetto di altruismo.
Certo che, sinceramente, sentirmi porre una cosiffatta domanda da te, da un cosiddetto ricercatore spirituale, devo ammettere che la cosa mi ha lasciato non poco stupito, tuttavia cercherò di fare del mio meglio ed esprimerti nel modo più chiaro possibile la mia opinione in merito.
È certo ancora che dare una definizione di «altruismo» non è cosa facile, anche perché l’altruismo è ben difficilmente codificabile, è ben difficilmente generalizzabile; tuttavia, ripeto, cercherò di fare del mio meglio.
Cosa può essere dunque codesto «altruismo», del quale tanto si parla?
Sembrerebbe molto più semplice e più facile poter definire l’altruismo dicendo che cosa in realtà non è altruismo, perché in questo modo il mio dire, il mio parlare sarebbe facilitato da esempi pratici. Altruismo si può definire un qualcosa che è innato nell’individuo, che è conquistato, che fa parte dell’interiorità umana, è un qualcosa che si acquisisce via via che l’individuo procede nel suo cammino evolutivo; ed è qualcosa, quindi, di ben lontano, di ben diverso dal misero egoismo che, invece, pare imperare nel mondo fisico attuale.
Ma lasciamo stare, mio caro Ernesto, lasciamo stare l’analisi dell’egoismo, perché io credo che ogni individuo riesca a vedere e a comprendere come si muove, come agisce nel mondo fisico, e comprendere quindi, attraverso questa visione di se stesso e delle proprie azioni, che cos’è l’egoismo.
Ma lasciamo stare dunque; Ernesto mio, e vediamo di dare, dopo tanti giri di parole, una definizione di questo altruismo tanto caro a te e al Maestro.
Altruismo, a mio modesto avviso, è riuscire ad andare oltre se stessi, ad andare oltre i propri bisogni personali, cercando però di non mortificare se stessi, cercando però di mantenere inalterato il rispetto verso se stessi; questo è molto importante, caro Ernesto mio, perché molto spesso si ritiene che essere altruisti significhi mortificare appunto la propria persona, far tacere i propri bisogni. Eh no! Non è proprio così, perché fino a quando l’individuo, l’uomo, si troverà a dover agire, a muoversi nel mondo fisico, sarà necessariamente legato a dei bisogni, a delle necessità, ai quali dovrà far fronte e che dovrà rispettare.
E tu sai, caro Ernesto mio, tu sai certamente a chi e a che cosa mi voglio in particolare riferire.
Bisogna però, per proseguire nell’analisi dell’altruismo, fare molta attenzione, perché molto spesso mi sono trovato, osservando gli uomini, a vedere persone che agivano in un determinato modo, apparentemente altruistico e poi «rinfacciare» alla persona verso la quale si erano comportati in quel modo apparentemente altruistico, dicendo loro: «Questo l’ho fatto proprio per te, l’ho fatto per fare un favore a te»; e questo, caro Ernesto mio, non è certamente altruistico, poiché l’altruismo è, come dicevo prima, qualcosa di innato, di spontaneo, che ti fa agire così senza che tu te ne renda conto.
E quando un individuo si trova ad avere avuto, apparentemente, un comportamento altruistico, per poi farlo notare, sottolinearlo, metterlo in qualche modo in evidenza, significa che non ha capito nulla; significa che, quanto meno, sta cercando di convincere se stesso dell’essere stato altruista, significa che tra sé e sé sta dicendo: «Oh, come sono stato bravo; oh, come sono stato altruista!»; il tutto per nascondere il suo ancora grezzo egoismo. E tutto questo comportamento, caro Ernesto mio, non si avvicina di un millimetro all’altruismo.
Altruismo è cercare di aiutare gli altri, di rispettarli, di porgere loro una mano, anzi tutt’e due, di fare il possibile per la loro felicità e il loro benessere, ma in modo spontaneo, naturale, direi quasi come un qualcosa di connaturale; qualcosa che non si può conquistare come – che so – una laurea, un’ottima posizione sociale, e cose del genere; ma qualcosa che si conquista attraverso il tempo, attraverso vite, vite e vite, attraverso esperienze su esperienze, dolore, sofferenza, noia, rabbia, invidia, gelosia; attraverso, insomma, tutte queste cose.
L’essere altruista si conquista soffrendo, vivendo la solitudine, si conquista in migliaia di modi, ma è certa una cosa: che una volta conquistato non lo si dimentica, una volta introiettato, una volta entrato nella propria interiorità, non viene più abbandonato; e quelle persone che dicono all’amico, dopo avergli fatto una cortesia: «Questo l’ho fatto solo per te», sta certo che ancora non hanno conquistato neanche una briciola di quell’altruismo per il quale ancora si trovano a vivere nel mondo fisico.
L’altruismo è qualcosa che fa parte dell’essere, come il talento artistico ma, a differenza di questo, non viene usato, messo in atto per suscitare meraviglia, plauso, piacere, ma al solo scopo di fornire gratuitamente e umilmente benessere ad ogni creatura, nell’intimo intento di stimolare quella stessa creatura ad imparare ad avere un comportamento simile.
Caro Ernesto mio, avrei potuto dilungarmi ancora, ma non vorrei annoiarti; preferisco per il momento terminare qui, certo che tu ancora mi scriverai, certo che non ti sentirai appagato e cercherai ulteriormente la mia opinione in merito. Io ti saluto, caro Ernesto mio e, nella speranza di incontrarti presto, ti abbraccio affettuosamente. Tuo affezionatissimo, Vito
Caro Vito,
ho ricevuto da alcuni giorni la tua lettera ed ho letto con attenzione la tua risposta, il tuo pensiero in merito all’altruismo. Devo dire che sono rimasto un poco perplesso, stupito, nel vedere quanto poco tu ti sia dilungato sull’argomento, secondo me così ampio e così vasto.
Per sintetizzare, quindi, tu hai affermato nella tua lettera che l’altruismo altro non è che sapersi donare agli altri, senza però mortificare se stessi. In altre parole, essere altruisti significa porgere la mano al prossimo cercando di non venire meno ai propri bisogni. Non accetto questa affermazione e la contesto in parte perché, secondo me, essere veramente altruisti significa sapersi dare interamente agli altri, perché secondo me nel momento in cui uno sente dentro di sé il desiderio di aiutare gli altri dimentica, automaticamente, i propri bisogni.
Voglio dire con questo che a mio avviso – e forse in questo modo io sbaglierò – essere altruisti significa soprattutto dimenticarsi di avere dei bisogni, di avere delle esigenze, di avere degli impulsi e cose del genere. Questo viene fatto non per mortificare la propria persona, la propria personalità, la propria individualità, ma proprio perché la spinta verso gli altri, verso il prossimo, è così forte da rendere totalmente nulli quelli che sono i bisogni egoistici più forti.
Sono d’accordo con te, invece, per quella parte che riguarda il fatto che il vero altruista è colui che aiuta senza far nulla per mettere in mostra il proprio altruismo; su questo sono perfettamente d’accordo e credo che qualsiasi altro individuo sia d’accordo con noi, per quanto riguarda questa affermazione, almeno.
Resta dunque oscuro, secondo me, questo punto, e credo di potermi fare interprete anche di altre persone che come me non condivideranno questo punto.
Ti prego, quindi, di chiarirmi, di cercare di essere più chiaro, perché io intendo che forse tu volevi dire qualche cosa di diverso da quella semplice affermazione che, così messa, così detta, può essere facilmente travisata. Ti prego, quindi, di chiarire almeno in parte e mi auguro che tu riesca a farlo nel più breve tempo possibile. Mi rammarico di essere con te così oppressivo e di chiederti sempre spiegazioni in merito, ma la tua figura per me è così importante che quanto tu riesci ad esprimere può essermi di molto aiuto.
Aspetto una tua risposta, mio caro amico, e ti saluto affettuosamente. Anonimo
Mio caro Ernesto,
è con grande rammarico che mi accingo a risponderti, rammarico motivato dal fatto di non riuscire in realtà ad esprimere coerentemente determinati concetti.
Quanto io affermai in quella missiva è stato decisamente da te male interpretato, così come molto probabilmente verrà male interpretato da chiunque altro lo leggerà.
Avevo infatti affermato in quell’occasione che essere altruisti significa dedicarsi agli altri, porgere un aiuto agli altri senza danneggiare se stessi e, a mio avviso, questa affermazione mi appariva chiara, mi appariva lucida, mi sembrava che potesse esprimere esattamente quanto io, dentro di me, sto sentendo.
Anche perché, se faccio un raffronto con un’affermazione fatta dal Maestro, vedo che non v’è nulla che possa indicare qualche contrasto. Infatti quell’affermazione del Cristo diceva di amare il prossimo proprio (il «prossimo tuo» anzi, per la precisione) come se stessi. Il che, a mio avviso, implica che prima di tutto l’individuo che si accinge a porgere una mano ad un altro individuo deve essere in grado di amare se stesso, ma amare se stesso – a mio avviso – significa non sopprimere, non annullare la propria personalità, dare ascolto ai propri bisogni, se non altro a quelli primari, a quelli non così palesemente ed evidentemente egoistici, ma, quanto meno, al bisogno di mangiare, di riposare le giuste ore, di fare tutte quelle cose necessarie alla propria sopravvivenza, se non altro alla propria sopravvivenza fisica.
È in questi termini, infatti, che la mia affermazione di non mortificare se stessi voleva esprimere quel concetto.
Non mortificare se stessi significa dare ascolto, prima di tutto, alle proprie esigenze fisiche e, perché no, alle proprie esigenze spirituali. Soltanto in questo modo – a mio avviso e, perché no, all’avviso di molti altri miei compagni – sarà possibile per l’individuo stesso ritrovarsi in quella condizione fisica e mentale adatta, giusta e necessaria per riuscire a fare qualcosa di veramente utile per i propri simili, per i propri fratelli.
È veramente assurdo – sempre a mio avviso – rinunciare ai propri bisogni per darsi agli altri, mortificare se stessi per aiutare gli altri rischiando in questo modo di non avere la forza necessaria (anche solo a livello di energie) per poter agire positivamente sugli altri! Spero che questa volta possa essere sufficiente questo chiarimento. Tuttavia, se così non fosse, puoi continuare a scrivermi ed io cercherò di ampliare maggiormente quanto vo sentendo. Sarà sempre ben accetta ogni tua riga e con ciò ti saluto caramente e ti abbraccio affettuosamente. Tuo, Vito
Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pagg. 26-31, Edizione privata
Indice del Dizionario del Cerchio Ifior
Ciò che incontro attraverso te
Ciò che incontro attraverso te non è altro che ciò che devo apprendere.
Ciò che la coscienza genera attraverso me e attraverso te, è l’oggetto del mio apprendere.
Tu sei lo strumento, il mezzo, il testimone che con il suo semplice esserci attiva ogni processo a me necessario.
Tu sei l’attrice, l’attore utile e indispensabile sul mio palcoscenico esistenziale. senza di te nulla potrei né vedere, né comprendere.
Quando ho un conflitto con te, la mia mente ha un conflitto con te, le coscienze non hanno conflitti.