maestro

Il primo ed ultimo maestro

Il nostro cammino di trasformazione avviene con poche persone, quelle che ci danno la vita: i nostri genitori; quelle con cui condividiamo il nostro quotidiano: il partner, i figli, i colleghi di lavoro, il datore di lavoro, i dipendenti.
Impariamo attraverso quelli che ci sono vicini, al fianco; quelli che non riconosciamo come maestri, perché il maestro è sempre altro, in un altrove, è sempre speciale.
È un errore madornale: il maestro di ciascuno è la persona più vicina che ha, chiunque essa sia.
Se avremo il coraggio di aprire gli occhi su questa persona, su queste poche persone, avremo trovato la chiave della nostra vita, la chiave per superare il condizionamento.
Dal libro L’essenziale, Ed. privata, pagina 46

Qui puoi iscriverti alla Newsletter del Sentiero contemplativo
(invieremo 6 mail/anno)

La frattura tra insegnamento e vita in non pochi “maestri”

Stiamo lavorando alla traduzione di un libro che parla della vita privata di J.Krishnamurti e prendo spunto da questo per affrontare una questione a mio parere mai abbastanza chiarita.
Ogni accompagnatore, insegnante, guida, “maestro” (virgoletto perché il termine non mi piace), ha una vita pubblica e una privata.
Se voi pensate che queste figure dovrebbero avere una solo vita, una coerenza che abbraccia il pubblico e il privato, perché altrimenti non hanno autorità per insegnare alcunché, temo non ci sia chiarezza su chi è che insegna.
Chi insegna? Chi accompagna? Chi orienta e guida?
Quella persona, quel portatore di nome, quella figura che noi diciamo aver trasceso l’umano?
O non è forse che quel portatore di nome è il veicolo di una spinta che lo precede, lo trascende e lo attraversa?
Quella spinta, quella tensione, quello ispirazione se preferite, opera per tutto il tempo, per tutto il giorno, per tutta la vita?
Sciocchezza considerevole.
Quella spinta opera quando c’è un contenitore adatto a contenerla.
Il veicolo, il portatore di nome diviene il mezzo della spinta quando qualcuno si presenta, bussa ed è disposto ad accogliere quella forza.
Il portatore di nome è lo strumento che sta tra la spinta e l’utente.
Quando non c’è contenitore che si dispone ad accogliere, il portatore di nome vive la sua giornata nella più assoluta ferialità e impara dalle esperienze e dalle relazioni come tutti.
Impara quello che gli è necessario imparare: se è qui, se è incarnato qualcosa da imparare certamente lo ha; se non avesse nulla da imparare nel mondo del divenire non sarebbe nemmeno incarnato.
Obbietterete che esistono incarnazioni di solo servizio, generate per trasmettere qualcosa all’umano: può darsi, ho dubbi consistenti in merito e la scena di Gesù il Cristo nell’orto del Getsemani simbolicamente dice molte cose in merito.
Agli occhi piuttosto disincantati di chi scrive, l’insegnate appare nella sua ferialità come una persona dedita alla via interiore che attraverso le esperienze modella consapevolmente e inconsapevolmente il proprio sentire nelle aree in cui questo ha comprensioni incomplete.

Immagine da: http://goo.gl/aIHgU4


Chi crea la via spirituale e il suo “maestro”?

Prendo spunto da questa discussione in Comunità del Sentiero.
La tesi: la necessità di esperienza e di comprensione delle coscienze crea le vie spirituali e i relativi fondatori o maestri.
Il singolo fondatore/maestro non fonda alcunché, è il catalizzatore di una spinta che giunge da gruppi più o meno vasti di coscienze che generano la rappresentazione spazio-temporale a loro necessaria.
Il fondatore che inizia una via si trova a conferire a questa le caratteristiche, la filosofia, la teologia, le ritualità che necessitano alle coscienze che in quella via sperimentano e che è da esse stesse generata.
Il fondatore è il terminale di un processo creativo, non il punto di partenza.
Ciò che le coscienze vanno a condurre a rappresentazione può essere ancorato ad archetipi permanenti o transitori:
-ciò che Gesù il Cristo ha condotto a manifestazione è un impulso, una intenzione sicuramente ancorata ad archetipi permanenti, che durano nel tempo, sono oltre esso e parlano alle coscienze di ogni epoca mutando forma ma non contenuto.
Nella stessa rappresentazione del Cristo sono presenti archetipi transitori, principi che rispondevano alle esigenze di un tempo storico e che sono destinati a tramontare, vittime del tempo e del cambiamento delle necessità delle coscienze e delle identità.
Ogni via, se ha caratteri di autenticità, contiene in sé elementi permanenti ed altri transitori e, se rimane fedele alla sua intenzione originaria, saprà lasciar cadere ciò che è condizionato dal tempo e dal contingente.
Le coscienze hanno domande di fondo che necessitano di risposte/rappresentazioni coerenti: la necessità di imparare ad amare, ad esempio, è comune a tutte le coscienze di tutti i tempi e tutte, in tutti i tempi, genereranno le rappresentazioni spazio-temporali per apprendere e comprendere attraverso le esperienze quella capacità.
Noi chiamiamo queste rappresentazioni religioni o vie spirituali ed onoriamo i loro fondatori; non dovremmo dimenticare che le vie e gli insegnanti sono solo simboli ai sensi percepibili di processi altrimenti invisibili.
Ecco perché la persona che si è formata in una via o con un insegnate, ad un certo punto del proprio cammino sente la necessità di affrancarsi: in sé è nato lo sguardo interiore dei processi e non necessita oltre del simbolo esterno a sé.

Immagine: Vocazione dei primi apostoli, dipinto del Ghirlandaio, nella Cappella Sistina (1481).


 

Le nostre vite parlano

Forse mai come in questa epoca il sapere è stato a disposizione di molti. Le fonti della conoscenza essoterica ed esoterica sono facilmente accessibili nel web, nelle librerie, nelle conferenze.
Per chi ha maturato delle esperienze e delle comprensioni è evidente che questa disponibilità di materiali e di informazioni non risponde che in minima parte alle domande di fondo che l’umano sente bussare nel proprio intimo: questa abbondanza può placare transitoriamente le ansie, può nutrire le menti, può consolare e gratificare ma non può nutrire l’interiore con quel cibo che unico placa la fame.
Qual’è questo cibo? Il senso della vita.
Come si placa questa fame, dove si trova quel cibo? Nelle esperienze, nel quotidiano, nel minuto, nel feriale.
Si può trovare forse anche da soli ma, il più delle volte, lo si trova grazie a qualcuno che con la sua vita testimonia l’averlo trovato: incontrando qualcuno la cui vita testimonia un senso cosciente, consapevole, compreso, manifestato.
Coloro che scendono nella profondità dell’esistere, dei fatti che costituiscono la natura dell’esistere, prima o poi incontrano il senso più profondo di ogni fatto, di ogni accadere: incontrano l’essere.
Alla luce di questa esperienza interiore le loro vite cambiano, divengono semplici, essenziali.
Chi entra in contatto con quelle persone, con quella essenzialità, coglie la differenza tra il sapere e il comprendere, tra il conoscere e il vivere: se vuole può allora indirizzare la propria vita, il proprio cammino esistenziale, in quella direzione.

L’immagine è tratta da: http://www.tralci-niklima.com/2013/03/26/una-storia-le-tre-domande/


 

J.Krishnamurti, Perché siamo dei seguaci?

Perché accettiamo di diventare dei seguaci? Ci sottoponiamo all’autorità di qualcuno, accettiamo la sua esperienza, salvo poi metterla in dubbio. L’accettazione di una autorità e la delusione che ne consegue costituiscono un doloroso percorso nel quale la stragrande maggioranza di noi è coinvolta. Prima accettiamo l’autorità di qualcuno e poi la critichiamo o la disprezziamo, che si tratti dell’autorità di un capo o di un maestro. Ma non indaghiamo mai a fondo il nostro pressante desiderio di sottometterci ad un’autorità, che ci dica che cosa dobbiamo fare e dove dobbiamo andare. Se riusciamo a capire questo nostro desiderio, allora riusciremo a comprendere il significato dei nostri dubbi.

[…[ La consapevolezza di sé è faticosa; siccome quasi tutti noi preferiamo muoverci sulla facile via dell’illusione, dobbiamo ricorrere all’autorità per conferire un ordine normale alla nostra vita. Questa autorità può assumere la forma dello Stato oppure può avere un aspetto più particolare quando si impersona nel maestro, nel Salvatore, nel guru. L’autorità, qualunque sia l’aspetto che assume, acceca e impedisce di riflettere con la propria testa. Pensare con la nostra testa è faticoso e così preferiamo dipendere da un’autorità. Autorità implica potere ed il potere e un tremendo fattore di corruzione, perché tende inevitabilmente a centralizzarsi. Il potere corrompe non solo chi lo detiene, ma anche chi lo subisce. Quando conoscenza ed esperienza diventano autoritarie, hanno effetti distruttivi e non importa se questa autorità sia detenuta da un maestro, da un suo rappresentante o da un premier. Quello che conta veramente è la vostra vita, e la vostra vita è un conflitto che sembra non avere mai fine. La vostra vita è più importante di qualsiasi personaggio che intenda guidarvi e di qualsiasi struttura..
L’autorità del maestro e del prete vi impediscono di capire il problema fondamentale, che è il conflitto dentro di voi.

Da: Il libro della vita, Aequilibrium
Nella foto: Krishnamurti con Indira Gandhi, 1983 tratta da: http://goo.gl/n3xXpj