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“E’ la nostra mente a causare i problemi, non le altre persone, non “il mondo esterno”. E’ la nostra mente, con il suo flusso di pensieri pressoché costante, che pensa al passato e si preoccupa del futuro; commettiamo il grave errore di identificarci con essa, pensando che sia la nostra identità, mentre in realtà noi siamo esseri ben più grandi.
Noi non siamo la nostra mente!
mente
La manifestazione della propria umanità: il diritto a manifestarsi
Nell’inverno del 2009-2010 abbiamo fatto un percorso con un gruppo di artisti ed educatori con lo scopo di gettare le basi di una pratica educativa che integrasse tutti gli elementi costitutivi dell’essere umano: fisico, emotivo, cognitivo, spirituale.
Grazie alla disponibilità di Laura Viezzoli tutti gli incontri sono stati filmati: negli undici brani di seguito riportati si possono trovare i passaggi più importanti dei primi due incontri. Il materiale di altri tre incontri verrà selezionato e pubblicato in futuro.
1- Preparazione
Ogni volta che iniziamo un’esperienza, ogni volta che incontriamo l’altro nella forma di un gruppo, chi guida è sempre in tensione.
Noi siamo un organismo composto da tante cellule. Chi guida è come se fosse il terminale di queste cellule, è come se con il suo sentire di coscienza le tenesse allineate.
All’inizio bisogna creare una condizione in cui chi è condotto sia flessibile.
Ciò che voi potete fare è abbandonarvi, diventare fluidi, concavi.
Ci sarà tra di noi uno scambio sulla base di un sentire più vasto, qualcosa che trascende l’ego e l’identità.
Il nostro fine è che la persona possa vivere la propria personalità formata, o in formazione, e nel frattempo consapevolmente trascenderla.
Si conosce con il corpo, con l’emozione e con la mente, si comprende con la coscienza.
Quando dai nostri corpi è stata fatta l’esperienza, i risultati si iscrivono nella coscienza, e quando questo avviene è per sempre. Il nostro compito è fare in modo che le persone con cui entriamo in relazione possono vivere compiutamente la propria fisicità, emotività, cognitività, ma anche il proprio sentire di coscienza.
Al centro c’è la coscienza, il sentire.
Voi potrete essere di qualche aiuto a qualcuno se vivete innanzitutto dentro di voi la dimensione della coscienza, se i vostri pensieri, emozioni e intenzioni, sono guidati dalla coscienza.
2- I 3 diritti: diritto a manifestarsi/diritto a essere riconosciuti/diritto a trascendere.
Diritto a manifestarsi.
Arriva una persona da noi, con una domanda esistenziale. Chi è questa persona? Cosa chiede a se stessa, alla vita? Cosa deve imparare e cosa deve trascendere e noi come possiamo aiutarla se possiamo farlo?
Capacità in un gruppo di vedere e riconoscere il singolo individuo.
La persona che si presenta a noi è innanzitutto coscienza, che si manifesta in un corpo, con delle emozioni e dei pensieri.
Inchinarsi di fronte all’altro e al suo mistero.
Trasformazione dell’altro e di noi stessi.
Se osservo più in profondità, entro in un ascolto più profondo di te.
Quello che vediamo manifestato nella forma come pensiero, emozione, azione, non è altro che emanazione della coscienza.
L’incontro con l’altro è il miracolo dell’incontro con la coscienza, se abbiamo chiaro questo, troveremo la via per costruire una relazione che agevoli il percorso di trasformazione dell’altro e di noi stessi.
3- Oltre gli schemi e le etichette
Mente/emozioni/corpo/ costituiscono l’Ego. L’ego è il veicolo della coscienza, la nostra identità.
L’altro è sempre un mistero. Non sappiamo quasi nulla dell’altro che giunge a noi.
Alla domanda: “Chi sei tu?”, abbiamo spesso la pretesa di dare una risposta e di definire l’altro, sulla base dei nostri schemi.
Assembliamo elementi di conoscenza relativamente alla nostra interpretazione, che è sempre soggettiva.
Se non lo riconduciamo a nessuno schema, l’incontro con l’altro sarà basato sempre sul rispetto.
“Ti conduco da qualche parte, come tu mi conduci da qualche parte”.
L’incontro con l’altro è la possibilità di conoscere noi stessi.
4- Da ego ad amore
I veicoli sono plasmati dalla coscienza e tramite essi, la coscienza apprende e si misura.
C’è un filo che è comune a tutte le vite. Tutte le individualità vanno dalla edificazione della propria egoità alla trascendenza. Il percorso è da ego ad amore
Se mi dimentico di me appare l’altro al mio sguardo.
In che cosa posso esserti utile? Semmai potessi esserti utile, sono qui. Qual è la tua necessità?
L’altro si sta trasformando, come noi.
Per sapere dov’è l’altro, è necessario sapere dove siamo noi.
Non lo sapremo mai, ma possiamo avere alcuni elementi per indagarci.
L’ ego è una emanazione della coscienza. Osservando l’ego capisco cosa la coscienza sta proponendo.
5- Coscienza come film a puntate
Cosa si intende per coscienza?
La coscienza si sviluppa come in un film a puntate e ad ogni puntata faccio un passo; più la persona vive le diverse puntate, più fa esperienza.
Si passa dall’egoità primaria alla dimensione dell’amore, dove mi dimentico di me per chiedere “ di cosa hai bisogno tu?”.
Un bambino nasce con il corpo fisico, ma gli altri corpi sono da strutturare. Nel primo settennio si struttura il corpo emotivo (che si dispiega nel secondo), nel secondo il mentale (che si dispiega nel terzo) e nel terzo la coscienza(che dal 21° anno è “allacciata” ai suoi corpi inferiori).
Le esperienze vengono registrate nella coscienza, la quale diventa sempre più complessa e si costituisce come il corpo fisico e come tutti i corpi.
Questo percorso non lo si può fare in una sola vita, ma in tante vite, cioè in tanti film e ogni volta con una nuova rappresentazione. L’ego è una rappresentazione.
L’altro si può comprendere solo se ci è chiaro che lui/lei è coscienza.
Tu chi sei? Questa tua rappresentazione di che cosa mi parla? A che punto sei? Cosa posso fare per te?
Questo è il miracolo di accompagnare qualcuno, essere compagno di viaggio.
Il miracolo dell’educatore dev’essere visto alla luce di questa consapevolezza altrimenti siamo ciechi che accompagnano ciechi.
6- Scomparire e specchiarsi
Necessità di fondare meglio la propria identità e risolvere alcune affermazioni attorno a se stessi.
La maggior parte delle persone ha qualcosa da risolvere sul piano dell’identità.
L’altro specchia te e tu specchi l’altro.
Risuonare in un ambiente
Quando l’altro si presenta , il primo elemento è l’osservazione.
Si osserva perché dentro di noi c’è una concavità che dice “so che tu sei un mistero”.
L’umiltà di colui che osserva senza nessuna presunzione.
Se “il pifferaio magico” si dispone all’ascolto tutto l’organismo è permeato di ascolto.
Tutto fluisce più liberamente quanto più basso è il condizionamento egoico.
Se c’è troppa aspettativa e giudizio, non può esserci una sana accettazione di sé.
Se incontri qualcuno che ti lascia, impari a lavorare sull’abbandono.
L’importanza di non fuggire dalla vita,
Nella disperazione l’uomo precipita e poi nel fondo intravede una luce, una possibilità che anche se non la vedeva, c’era anche prima.
L’incontro con l’altro è la possibilità di conoscere noi stessi.
7- L’ambiente è fatto dal pifferaio, dall’organismo e da tante piccole cose.
Quando si entra in un ambiente si entra dentro un sentire di coscienza perché tutto parla del sentire di coscienza.
E’ fondamentale che lo stato emotivo di chi guida un gruppo sia quieto, che l’ambiente cognitivo sia fluido; ed è fondamentale che chi guida sappia cosa vuol dire risuonare sul piano della coscienza e non sul piano dell’ego.
Quando risediamo nel sentire di coscienza siamo in una neutralità, non c’è paura e condizionamento, ma il libero fluire della parola e del gesto di quel momento.
Viene per intuizione: l’intuizione è un affluire di una chiarezza in un istante.
A volte diciamo che quando l’ambiente non è favorevole tutto diventa più complesso, ed è vero in parte. L’ambiente complesso ci può far trovare le risposte dentro di noi.
La domanda di base è: “Come posso stare dentro di me?”
Il fare non è un problema quando c’è un giusto sentire. Quando si è in contatto con il proprio sentire si comprende di cosa l’altro ha bisogno. Se il nostro sentire risuona ad un certo livello possiamo condurci anche l’altro, se quel sentire gli appartiene.
La nostra logica non è quella del fare ma dell’essere.
Colui che indossa le vesti dell’educatore deve aver fatto esperienza della vita.
Non si tratta di condividere tecniche ma un sentire comune che utilizza varie modalità.
La relazione e tra un sentire e un altro sentire.
Per liberare un sentire dev’esserci un ego sufficientemente strutturato e fluido.
8- Giudizi e aspettative
L’ educatore come si può proporre all’altro sapendo che questo ha un’aspettativa?
L’altro ha sempre un’aspettativa e un giudizio su di noi. Si sta aspettando qualcosa da noi, ma prima sta giudicando se stesso e si aspetta qualcosa da se stesso.
Giudizio e aspettativa sono tra le catene principali dell’ego. L’altro spesso dice: “Non sono adeguato” e va a monitorare se tu sei adeguato.
E’ fondamentale che l’educatore sia oltre il giudizio e l’aspettativa: un educatore può accompagnare l’altro se ha visto come tutto ciò opera dentro di sé.
L’educatore è colui che dice: “Riconosco alcuni elementi, pian piano ti aiuterò a sciogliere quegli elementi che ti imprigionano, se e come mi sarà possibile farlo”
9- La danza dell’educare
L’organismo danza.
Nei gruppi e nelle classi, le persone e i bambini sono estremamente ricettivi e insieme si può creare una danza.
L’ego non come problema ma come rappresentazione
Nella via spirituale spesso l’ego è stato un problema. E’ necessario andare oltre questo schema.
L’ego è espressione di qualcosa che sta accadendo dentro di te, che dev’essere compreso e si manifesta come conflitto, resistenza.
L’ego non è in contrapposizione allo spirito ma è la manifestazione dello spirito.
L’ego è lo strumento per arrivare al costituirsi di una coscienza sempre più ampia.
Perché ci sia evoluzione c’è bisogno di ego, di rappresentazione e manifestazione.
L’ego è una rappresentazione della coscienza.
Osservando le dinamiche dell’ego possiamo capire tanto su di noi. Se vediamo le nostre paure, egoismi, chiusure, capiamo ciò che la nostra coscienza deve apprendere e su cosa si sta misurando.
Quindi l’ego non è un nemico, ma l’espressione di una personalità.
10- Spesso nei confronti degli altri non ci sentiamo adeguati.
Non siamo adeguati rispetto a che cosa?
Chi afferma che non è adeguato?
Perché si esprime su di sé un giudizio di non adeguatezza? Vorremmo essere ciò che non siamo.
Come si forma un ego? Con l’esperienza. E chi ci porta nell’esperienza? Chi è il regista? La coscienza ci porta nell’esperienza e poi l’esperienza torna alla coscienza. C’è un impulso di avvio e uno di ritorno. Noi cerchiamo le esperienze di cui la coscienza ha bisogno.
L’interpretazione dell’esperienza deriva dai nostri corpi ma anche dal sentire di coscienza.
Più il sentire di coscienza è vasto più l’interpretazione è vasta e viceversa.
Non sappiamo quando il percorso è finito, ma sappiamo che c’è un cantiere aperto e lo vediamo quando la vita ogni giorno ci mette di fronte le sue possibilità.
Se noi lo sappiamo possiamo vedere non degli ostacoli, ma delle opportunità.
11- Buttarsi a capofitto nella vita. Ogni stagione della vita è un’opportunità.
Ogni difficoltà ci modella. Qualsiasi ostacolo o paura è li per essere superato ed è alla nostra portata.
L’ego a volte ci fa credere che non è possibile superare l’ostacolo ma l’essere umano è in grado di affrontare e superare situazioni molto dolorose.
Mente/emozioni/corpo costituiscono l’Ego. L’ego è il veicolo della coscienza, la nostra identità.
La comprensione è quindi limitata se ci fermiamo a ciò che appare.
L’altro è sempre un mistero. Non sappiamo quasi nulla dell’altro che giunge a noi.
Alla domanda: “Chi sei tu?”, abbiamo spesso la pretesa di dare una risposta e di definire l’altro, in base ai nostri schemi.
Assembliamo elementi di conoscenza relativamente alla nostra interpretazione, che è sempre soggettiva.
Se non lo riconduciamo a nessuno schema, l’incontro con l’altro sarà basato sempre sul rispetto.
“Ti conduco da qualche parte, come tu mi conduci da qualche parte”.
Via spirituale e stimoli
Troppo spesso scambiamo la via spirituale per il supermercato degli stimoli alti: sarebbe importante comprendere che, una volta trovato il proprio percorso, è necessaria una immersione in quei passi e questo richiede un certo grado di impegno e dedizione e, soprattutto, la disponibilità a scendere nella routine del percorso stesso.
Presunzione
Osservo tutto questo parlare mio e altrui su ogni cosa, su ogni aspetto; osservo la nostra sottile o manifesta presunzione di sapere qualcosa di sé, dell’altro, della vita, della realtà; osservo e, a volte, mi sotterrerei con le mie mani.
Dobbiamo imparare ad edificare sulla piccolezza, sul limite, sull’insignificanza.
Intossicati
Siamo intossicati di pensieri, di emozioni, di azioni e come tutti gli intossicati dobbiamo aumentare la dose ogni giorno.
Finché non siamo stanchi di essere lontani da noi, stanchi di soffrire.
Lì, nella stanchezza, si apre una possibilità.
Il nutrimento della mente
La mente, com’è naturale, si nutre di concetti, di emozioni, di sensazioni.
Siamo sempre dietro a nutrirla, in vari modi personali.
C’è un altro modo?
Smettere di nutrirla, smettere di concepirsi come coloro che debbono esserci e le cui vite debbono avere un senso.
Emergerà allora semplicemente la realtà, incomparabilmente più vasta e più significante di ogni ricerca.
Il vivere come esigenza della mente
Vivere è essenzialmente un pensare, sentire, agire.
Questi atti sembrano e sono assolutamente naturali.
Solo osservandoli da un punto di vista originale emergono nella loro natura forzosa, compulsiva, necessari ad affermare qualcosa.
Cosa affermano? Un soggetto che pensa, sente, agisce: un soggetto che, in virtù di quanto sperimenta, esiste.
Se osservo il soggetto che sperimenta senza identificarmi con ciò che sperimenta,
se vedo il pensiero, il sentire e l’azione come flussi, accadimenti effimeri,
se mi pongo in quello stato di alterità,
diventa evidente che quel pensiero è solo un pensiero,
quell’emozione solo un’emozione,
quell’azione solo un’azione,
privi di connessione tra loro, sono affioramenti in un grande spazio vuoto.
Da quel punto visuale originale vedo anche come la mente inesorabilmente connette tra loro questi stati conferendogli una struttura logica o di senso.
E’ assolutamente evidente che ogni cosa che accade è ciò che è e basta, ed è altrettanto evidente come la mente connette secondo il tempo, lo spazio, le strutture in base a cui opera.
Tutto il lavoro di connessione della mente è finalizzato al poter affermare:”io esisto” nelle varie declinazioni possibili in cui compare un “io” che opera o sperimenta.
Da quell’osservatorio si vede il gioco della mente, ed è evidente come la vita sia una grande rappresentazione ad uso e consumo della mente e che si realizza ed acquisisce un senso, o un non-senso, essenzialmente attraverso le sue connessioni e le connessioni di connessioni.
Ma l’osservatore di tutto ciò chi è? A chi diventa evidente tutto ciò?
Cominciamo dalla seconda: tutto ciò è evidente da sempre e per sempre e diventa evidente una volta che si sia superata l’identificazione con i processi mentali, cioè quando non ci si identifica più con quanto viene osservato: mancando questa identificazione con la mente si può osservare il suo operare.
Quindi ci sono degli affioramenti (pensiero, emozione o azione), che sono il manifestarsi della vita cosi come è; c’è l’opera di connessione messa in atto dalla mente di tizio o caio, e c’è qualcuno o qualcosa a cui tutto ciò diventa evidente, da cui viene percepito.
Questo qualcuno non ha un nome e non si percepisce come identità.
E’ la coscienza di ciò che è , di ciò che si manifesta adesso, non si può dire “io osservo”, è l’atto dell’osservare. Se dico “osservare” questo non implica un soggetto, allo stesso modo se dico “coscienza di ciò che è” non vuol dire che c’è qualcuno cosciente di ciò che è: ma è ciò che è che si manifesta e basta. C’è qualcuno che percepisce il ciò che è ? La coscienza del ciò che è non è disgiunta dal ciò che è , ne è parte.
In altre parole in ciò che accade è intrinseca la coscienza di sé, quando non è ottenebrata dalla mente.
Allora ogni cosa è se stessa e porta con sè la coscienza di esserlo, quindi è profondamente unitaria: questa consistenza unitaria viene vissuta come evidente quando siamo oltre il regno della mente, immersi nell’esperienza della contemplazione.
9.7.04
Conoscenza di sé, meditazione, contemplazione
E’ il testo di riferimento indispensabile se vuoi introdurti nella via spirituale dall’angolo visuale da noi proposto. In esso trovi una prima parte dedicata alle dinamiche della mente e al come affrancarsi dal suo condizionamento; una parte centrale dove si tratta dell’altro da sé e dell’esperienza degli affetti; una terza parte, molto vasta, dedicata ad una analisi dettagliata dell’esperienza della meditazione, della contemplazione, dell’abbandono, della compassione. Prima di ordinarlo (eremo@contemplazione.it) leggi la pagina Al lettore.
Il libro in formato pdf
Autori: R.Olivieri con G.Cavalieri
Al lettore
Prefazione
Introduzione: L’inspiro che prepara l’espiro
Capitolo 1: La crisi, il dolore
Capitolo 2: L’identificazione col dolore
Capitolo 3: Imparare a dubitare
Capitolo 4: La disconnessione dal recitato mentale
Capitolo 5: Aggiungere e togliere
Capitolo 6: Il deserto
Capitolo 7: La solitudine
Capitolo 8: La caduta della morale
Capitolo 9: L’altro da sé
Capitolo 10: Il buon amico
Capitolo 11: L’esperienza degli affetti
Capitolo 12: Chi opera il cambiamento
Capitolo 13: Natura dell’atto meditativo
Capitolo 14: L’esperienza della contemplazione
Capitolo 15: La routine del quotidiano
Capitolo 16: Tutto sorge e tutto scompare: l’impermanenza
Capitolo 17: Lo sguardo del contemplante
Capitolo 18: La pregnanza di ogni singola esperienza
Capitolo 19: Il sorgere dell’esperienza della compassione
Formato: 14,8 x 21 cm.
Pagine: 307