Quando non coltiviamo più il lamento, cosa diamo da mangiare alla nostra mente?
Quando la protesta cede il passo alla quieta e piena comprensione che la realtà non è sbagliata, ma è esattamente quella che può essere dati i sentire che la generano, di cosa riempiamo le nostre giornate?
Se non possiamo essere contro qualcuno, o contro qualcosa; a favore di qualcuno, o di qualcosa; neutrali a qualcuno, o a qualcosa, se non possiamo più emettere rifiuto, adesione o neutralità, se semplicemente abbiamo compreso che la vita non si attende che noi si esprima la nostra opinione, il nostro gradimento, che ne sarà di noi?
mente
Il limite della comunicazione cognitiva
Mi è accaduto più volte, nella mia attività, di trovarmi nella situazione in cui i miei interlocutori si sono eccessivamente focalizzati sulla dimensione cognitiva della nostra relazione, o di una questione in ballo, ed io sempre ho reagito dicendo che non era quella la via e, in seguito, mi sono ritratto dal confronto.
Questo mio comportamento ha provocato sconcerto nei miei interlocutori e, non di rado, è stato motivo di allontanamento.
Mi risulta insopportabile la predominanza della mente nella relazione: mi sento prigioniero in una stanza chiusa e e senz’aria con l’altro che parla e parla attorcigliandosi nei suoi pensieri.
L’illusione di una mente intossicata
Dice Luciana nel commento al post Sentire, mente, emozioni: “Se la mente non è più prevalente”, ma quando ti rendi conto che è lei che fa la parte del leone e ti porta dove vuole, e nonostante la ricerca della sensazione fisica, del riportare l’attenzione sul corpo, riesce sempre a farla franca? Perseverare, certo, ma mi viene il dubbio che io non stia agendo nel giusto modo…
Quando la mente non si ferma e continua a cercare, a proiettarsi, a coltivare desiderio, a generare scene e possibilità più o meno reali, significa che non si è ancora ben compresa l’illusorietà del suo operare e ad essa si rimane ancora aderenti.
Sentire, mente, emozioni
Dice Samuele in merito al post La gestione delle emozioni e dei pensieri: Quell’ancoraggio lo potremmo chiamare consapevolezza?
Certamente, consapevolezza di qualcosa di sperimentato. Non consapevolezza di qualcosa che si è capito, o a cui si aderisce per fede.
Più hai sperimentato, ti sei concesso di sperimentare quella dimensione fondante di te, più quell’esperienza si è impressa, è divenuta comprensione e come tale pietra d’angolo nella lettura di te e della tua vita.
Per questa ragione è necessario scendere nella profondità di un cammino spirituale finché esso non ci introduce nell’esperienza della radice del vivere: una volta sperimentata quella radice, siamo guidati da una fiducia autentica fondata sull’esperienza e la gestione dei flussi emotivi e cognitivi può usare appieno la disconnessione.
La mente crea idoli e miti
[…] Il saggio, per definizione, vede le cose come le vede Dio stesso perché, penetrando in sé, è immerso in Dio. Al fondo della sua contingenza, ha scoperto l’essere; al fondo della sua distinzione, l’unità indivisibile; al fondo del tempo, l’eternità stessa. Egli è passato sul piano della vita eterna, è penetrato nel regno di Dio.
Ma come spiegare meglio? E’ diventato un solo spirito con Dio. E’ affondato in Dio, il suo pensiero è affondato, il suo volere è affondato, il suo io non esiste più. E’ entrato nel suo Io divino […] Henry Le Saux, Diario spirituale, pag. 154, Mondadori.
Ciò che Henry dice è ampiamente condiviso da uno stuolo di discepoli e di maestri sparsi nel tempo.
A me mette solo disagio: perché?
Il letamaio, il monachesimo nuovo
Le menti sono organismi che si adattano, se vivono in un letamaio alla fine non ne sentono più l’odore.
Vi racconto un fatto, vero e semplice: due bambini, fratelli, si stanno azzuffando per gioco. La nonna interviene per separarli, il più grande dice: “Nonna, lasciaci liberi!”. La nonna: “Da grandi sarete liberi!”. Allora interviene il più piccolo, 5 anni: “Bella libertà la vostra, lavorate sempre!”.
All’inizio della mia vita, quando ero un ragazzo, mi era chiaro che non volevo vivere in batteria, come un pollo, stretto nella morsa dei ritmi del lavoro e dei bisogni da ignorante e inconsapevole, costretto ad una normalità abbruttente fatta di valori che per me non significavano niente.
Appena dopo pochi anni comincia la militanza politica, non a caso nell’anarchismo che si era configurato ai miei occhi come il primo orizzonte non condizionato dai miti del lavoro, della famiglia, della normalità.
Oltre identità/coscienza
Chiede Marco: “Mi sembra che quello che dici nel post ‘Fin quando tutto parla di noi?’ abbia a che fare con il tema dell’ultimo Essenziale, che era, come tu stesso hai detto, uno stimolo ad andare ancora più in profondità.
Il riconoscere ciò che si presenta come qualcosa che parla di noi è già un passo avanti rispetto al lamentarsi e all’attribuire agli altri le nostre reazioni, ma evidentemente non ci si può fermare lì.
Finché siamo noi il punto di arrivo di tutto, l’ego comunque trova pane per i suoi denti.
All’Essenziale ci hai fatto notare come facilmente l’ego possa nascondersi anche dietro i gesti, almeno apparentemente, più altruistici.
Il protagonismo, l’essere comunque al centro di una realtà sentita come propria è sempre dietro l’angolo.
La consapevolezza di essersi persi
L’orgoglio e la presunzione sono tra le principali e più diffuse malattie in ambito spirituale.
Uso il termine malattie non a caso: in una via interiore non si parla di malattie ma di simboli; nel mondo, nell’inconsapevolezza, si parla di malattie, di un qualcosa che ti colpisce e non ti rendi conto di come è arrivato, della sua portata, di come uscirne.
Quando ci si inoltra in un cammino interiore e spirituale si è sospinti da un bisogno, ma anche da una chiamata, una spinta se preferite: qualcosa in noi ci induce ad iniziare, a frequentare, ad impegnarci e a perseverare.
Nel tempo, quella chiamata, o spinta, sembra affievolirsi: in realtà è posta in secondo piano dall’affacciarsi della mente che, oramai confidente con il nuovo ambiente e con i termini del paradigma in cui è inserita, torna in primo piano.
Le domande necessarie
Dice Caterina: Come essere umano ho tanti limiti e non posso decidere gli accadimenti. Farsi troppe domande su quello che ci succede é abbastanza inutile. E comunque é sempre l’accadimento perfetto per noi. La mente fa casino: “Perché è successo? Perché andavo di fretta? Bla bla…” Senza il casino ci sono solo i fatti che accadono. Cos’è il libero arbitrio?
– Il fatto che ciò che accade sia perfetto per noi non significa che non debba interpellarci.
– Certo, se non ci poniamo domande, ci sono solo i fatti, ma è questo un atteggiamento giusto?
– Non ha forse una sua funzione il domandarsi della mente?
La necessità delle esperienze
Si chiede Caterina: “La coscienza ha bisogno di attingere ai dati che le servono. Può aver bisogno di attingere da un’adozione, da un bambino di zero giorni, o dalla vendita di organi. Se regolamentiamo qualcosa possiamo cambiare i dati che servono alla coscienza di qualcuno? A quella coscienza servono i discorsi su cosa è giusto? Nel divenire un venditore di organi può attingere dati dai discorsi di qualcuno e cambiare idea? Anche sì, anche no. Quindi non si può far nulla. All’infuori che rispettare tutte le esperienze che servono alla coscienza. E aspettare che le esperienze si esauriscano?”
Una coscienza è spinta dalla necessità di acquisire comprensioni e in questo suo tentativo non è la morale a trattenerla.