“A chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quel poco che ha” dice il Cristo. Fra questa verità e quella espressa in altra occasione: “Beati i poveri di spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli”, pare vi sia un contrasto.
osare
Osare oltre il conosciuto rassicurante [sentiero28]
Dicevo prima che l’osare porta con sé anche un certo tasso di follia; qual è questa follia?
L’andare oltre il conosciuto rassicurante perché si sente una spinta a farlo e si comprende che solo sperimentando si va oltre di sé: attraverso sé, oltre sé.
Osare, il gesto consapevole di andare oltre il limite [sentiero27]
Osare è non lasciarsi fermare dalla consapevolezza del limite, è quindi il processo consapevole della persona che vede se stessa. Il minerale, il vegetale, l’animale, l’umano inconsapevole non osano, semplicemente sono condotti da una forza primaria e ineludibile.
Protagonismo nella vita e neutralità [sentiero8]
A un certo punto, l’esporsi nella vita non corrisponde più al bisogno di esserci, ma è semplicemente una consapevole manifestazione dei propri limiti messi al servizio della propria e altrui comprensione? E le espressioni dell’identità non svaniscono, ma si assottigliano e diventano sempre più evidenti?
Assecondare la vita, ogni momento
Se dovessi elencare il campo in cui le persone, a tutte le età, dovrebbero essere primariamente formate, indicherei quello delle arti: dalla danza al canto, dalle arti marziali alla scrittura. Perché?
Perché solo le arti permettono la liberazione e l’espressione di livelli complessi e articolati di sé, molti dei quali subconsci e inconsci.
Non temere la propria manifestazione, ancorarla all’Essere [NP2]
Commento di M. al post “Né ciò che penso“: Mentre percorriamo la via, sperimentiamo ogni giorno il mondo della materia al lavoro, in famiglia, con gli amici. Sento difficile il discernimento, ossia dove mettere il confine tra l’abbandono della centralità [mia] e l’impegno quotidiano nella vita reale. Per me la cosa più difficile è progredire con il sentire verso questa perdita e continuare a vivere nel mondo reale dove recitiamo i nostri ruoli sociali e dove la centralità è la norma.
La visione esterna, la percezione interna del Reale, il vivere pienamente
Il Reale è un grado d’esperienza e di consapevolezza; il reale è un grado diverso.
Il primo è sperimentabile prevalentemente attraverso i sensi del sentire, il secondo attraverso la prevalenza dei sensi dei corpi transitori.
La sfiducia nella possibilità di cambiare la propria realtà
Dice Maria B. commentando il post I piccoli fatti e il nostro modo di viverli: Mi rendo conto di vivere una specie di saturazione del fare, con un senso quasi fisico di nausea. La mente s’infrange nei tanti, troppi compiti di cui è spesso artefice. Ciò che resta è solo un grande desiderio di abbandono e leggerezza. Eppure se io arrivo a varcare il mio limite, a tirare troppo la corda, è per sfiducia che la vita provvederà comunque? In altre parole se io sono esausta e non mi concedo al fare, devo sperare che qualcuno preparerà la cena?
Si Maria, “se io arrivo a varcare il mio limite, a tirare troppo la corda, è per sfiducia che la vita provvederà comunque?“, è per sfiducia.
Dire “no”
Dire “no”. Dizionario del Cerchio Ifior
Come mai è così difficile dire «no»; un «no» deciso, convinto, nel rispetto sia degli altri che di noi stessi e ci nascondiamo invece sempre con un «non so», «vedremo», «forse»? Lo facciamo per paura della reazione degli altri o per continuare a nasconderci dietro alle nostre incertezze?
Questa è una domanda da cento milioni, perché in realtà le possibilità potrebbero esserci tutte; dipende chiaramente da persona a persona, da situazione a situazione.
Quello che però c’è – secondo me – sempre, o praticamente sempre, è un altro fattore.
Certo può esserci la paura della reazione dell’altro, può esserci il tentativo di nascondersi, e via dicendo, però nel «no» e nel «sì», rispetto al «non so» vi è sempre e comunque un’assunzione o meno di responsabilità. Pensateci un attimo: il fatto di dire di no o di sì è una cosa che comporta una scelta, indubbiamente, mentre il «non so» dà la possibilità di muoversi in una direzione o nell’altra. Ecco, quindi, che l’Io della persona ha sempre paura, in qualche modo, a pronunciarsi nettamente con un no o con un sì, perché può venire il momento in cui si accorgerà che ha sbagliato o gli altri gli faranno capire o vedere che ha sbagliato e, a quel punto, dovrà assumersi le sue responsabilità.
Apparentemente, sembra che sia più facile dire «sì» che «no», perché dire «sì» solitamente porta a una reazione favorevole da parte dell’altro, che viene accontentato; quindi l’Io della persona è più appagato: «Gli ho detto sì, quell’altro è contento, siamo tutti contenti» e così via; però considerate un attimo una cosa: nel momento in cui è stato detto «sì» e ci si rende conto che questo sì è stato catastrofico la sofferenza è grande, forse si soffre ancora di più che nel momento in cui si è detto «no» e si aveva sbagliato a dirlo. Senza dubbio accondiscendere a qualcosa provoca all’Io molti meno problemi che opporvisi.
Eppure, ci dicono le Guide, spesso per il bene dell’altro sarebbe estremamente importante riuscire a dire «no», portando come esempio il «no» che si dice ai bambini quando cercano di fare o vogliono qualcosa che può loro nuocere.
L’ago della bilancia, come accade per tutto ciò che riguarda le azioni dell’essere incarnato nell’osservare i temi dell’insegnamento etico-morale, non può essere che l’intenzione che sta alle spalle di ogni nostro comportamento.
Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata
Il coraggio di creare e la ricerca di senso
Il cammino di liberazione è, ad un certo punto, essenzialmente un processo di de-condizionamento.
Da influenze esterne, sociali, culturali? Interne, derivanti dall’educazione e dalla formazione? Non direi.
Nessuno ci obbliga ad aderire a degli archetipi, se vi aderiamo è perché corrispondono al nostro sentire. Certo, dato un certo sentire, possiamo scegliere se aderire all’archetipo A o B e magari aderiamo ad A perché i nostri colleghi, o i nostri amici vi aderiscono e quindi c’è un condizionamento, ma è marginale.
La realtà è che avendo un sentire di un certo grado, potevamo accedere solo agli archetipi A e B, non anche a C e D.