Conversazioni sul quotidiano: la generosità.

Iniziamo la pubblicazione di una serie di conversazioni tra Anna Fata e Roberto Olivieri riguardanti i temi che nel quotidiano si presentano all’esperienza e plasmano l’interiore.

[Anna] Amo osservare, me stessa, gli altri, il mondo. E m’interrogo. E spesso sono più le domande che le risposte, ma non me ne curo, sono e restano capitoli sempre aperti, in lavorazione, cantieri senza fine a cui ogni tanto si aggiunge o si toglie un pezzo.
Stasera tornavamo in auto con mio padre. Un extra comunitario lo aveva aiutato a portare in auto un grosso e pesante scatolone, in cambio lui gli ha lasciato una mancia. Mentre guidava, ad un certo punto, ha rievocato la scena con questo commento: “Se un giorno diventiamo poveri a Quello lassù ricorderò che la mia parte a suo tempo l’ho data e che ora a diritto mi spetta di ricevere”.
Sorridevo, tra me e me, e insieme abbiamo condiviso la risata. Ma l’amarezza di un rapporto commerciale che sembra permeare tutta la nostra esistenza è durata per ore, e ancora me la sento addosso.
Forse sono un’illusa, ma ancora vorrei poter credere che esistano in questo mondo brandelli anche solo estemporanei e accidentali di generosità. Ma il dubbio s’insinua e mi porta a chiedere, in fondo, se ha veramente un senso utilizzare tale espressione.

[Roberto] La mente di tuo padre ha fatto quella considerazione a posteriori ma nel momento in cui dava la mancia quale era la sua intenzione?
Ha dato perché doveva? Per ricevere la divina ricompensa? Oppure ha dato semplicemente perché così gli è venuto da fare?
Non puoi sapere che cosa ha mosso tuo padre, ma puoi sapere che cosa muove te nelle mille occasioni che la vita ti presenta. Il tuo dare è condizionato dal tuo bisogno, dal dovere, da cosa?
Per parte mia ho scoperto che ci sono due livelli che operano in me e lo fanno simultaneamente: c’è un livello di fondo, una grande direttrice che ha dato e dà alla mia vita un’impronta fortemente tesa al bene comune, al bene dell’altro e c’è una sovrapposizione più superficiale che valuta, considera, pondera.
Questa parte più superficiale è quella che mi rende realista nell’andare nel mondo, che mi porta all’apertura, all’offrirmi ma con discernimento.
In questa parte confluiscono anche le resistenze, gli egoismi spiccioli, le paure..

[Anna] Per chiudere il cerchio, se devo andare a vedere, un discorso sulla generosità ha ben poco senso. Chi o cosa s’interroga sul proprio e altrui essere generoso se non l’identità? Chi ha bisogno di sentirsi gratificato da questa bella etichetta di sé o sentirsi accolto dal mondo buono e rassicurante se non l’ego?
E, allora, quando c’è il momento del dare/ricevere – già, perché in ultima analisi sono la stessa cosa, solo che nel solito nostro dualismo li vediamo separati, esattamente con noi stessi e gli altri – non c’è altro se non questa dimensione interiore.
Tutto il resto è frutto della mente: la fantasia del paradiso futuro, il senso di colpa per non avere concesso abbastanza, il ripensamento di buoni propositi per il futuro, e chi più ne ha, più ne metta …

[Roberto] Certamente è l’identità che si interroga ma essa è lo specchio della coscienza e finchè c’è la domanda: “Sono abbastanza generoso?” significa che la coscienza non ha risolto la questione. Quando l’ha risolta non c’è più domanda.
Personalmente credo che finchè c’è vita c’è quella domanda e tutti i giorni e in diverse situazioni mi interroga.
Sarebbe interessante analizzare la questione della generosità non come fatto compiuto ma come processo..

[Anna] Generosità come processo .. mi fa venire in mente per associazione che alla base della generosità ci debba essere una meta, un obiettivo di fondo..

[Roberto] Nel divenire, nelle nostre vite immerse nel tempo tutto è in successione.
La generosità non ha un fine, essa muta di pari passo con le nostre comprensioni.
La condizione dell’egoista è, potenzialmente, la più evolutiva: egli ha un ampio spettro di generosità sul quale addestrarsi..
Noi guardiamo le persone e diciamo:”Quello mi sembra un po’ egoista, quello invece ha una bella generosità!”, dovremmo considerare che entrambi stanno imparando e quindi uscire dalla morsa egoismo/generosità per guardare al processo; in questo modo lasciamo morire il giudizio e ci limitiamo a prendere atto che ognuno opera in relazione al proprio sentire, quindi a ciò che gli è possibile.
Essere generosi non è un merito; essere egoisti non è una colpa, è semplicemente la realtà di sentire differenti.

[Anna] Poi, magari, arriva un giorno in cui non notiamo più tutto ciò, perdiamo d’interesse relativamente a questi aspetti, soprattutto non soppesiamo più né il nostro, né l’altrui dare-prendere, ma iniziamo, semplicemente, a darci ..
A volte ci arriviamo senza tanto dolore, in modo quasi fisiologico, altre volte è la Vita che togliendoci tante possibilità materiali ci conduce a tale nuova dimensione.


Immagine tratta da: http://www.immaginidivertenti.org/tag/donare/

 

Nel quotidiano ancorarsi all’essenziale

Che cosa è essenziale nel quotidiano? Un fatto piuttosto che un altro?
No, l’essenziale è non scegliere tra fatto e fatto compilando così una graduatoria con in cima ciò che riteniamo più importante (fatte salve le situazioni che hanno una scadenza o che coinvolgono altri).
L’essenziale è considerare tutti i fatti importanti, tutti meritevoli della nostra attenzione, consapevolezza, dedizione.
Che cosa vuol dire essere dediti ad un fatto che accade? Significa riconoscerlo come la nostra vita e realizzare che solo nella consapevolezza e nella presenza quel fatto diverrà portatore di senso, di soddisfazione e di realizzazione.
Fino a quando stiliamo graduatorie siamo sempre alla ricerca del fatto eclatante, di quello importante che magari ci cambierà la vita: quando la smettiamo con questo comportamento e apriamo gli occhi su ciò che abbiamo davanti scopriamo che ogni cosa, ogni evento – anche il più irrilevante – è vita che si presenta, ci interroga, ci trasforma e ci libera.
Da cosa ci libera? Da noi stessi, dalla nostra pretesa del rilevante, del significante, del determinante.
Sarà allora una noia mortale non essendoci più qualcosa che ci eccita e ci galvanizza?
Questo è il timore della mente/identità ma la realtà è molto diversa: più usciamo dalle logiche del desiderio più la nostra vita diviene piena di senso e di pace.

L’immagine è tratta da: http://cultura.panorama.it/arte-idee/grafici-mobili-editore-corraini-salone-del-mobile

La meditazione e la contemplazione come pratiche quotidiane

Nei due appuntamenti mensili del Sentiero contemplativo
-Gruppo del sabato
-Pratica del Sentiero contemplativo
viene proposta la pratica della meditazione nell’ottica propria del Sentiero contemplativo: consapevolezza simultanea delle sensazioni, emozioni, pensieri e sentire di coscienza; questa consapevolezza genera la percezione unitaria di sé, dell’altro, dell’ambiente conducendo al superamento del diaframma che separa la persona dalla realtà e che è all’origine della frustrazione e della mancanza di senso.
Dalla consapevolezza unitaria sorge come frutto la contemplazione della realtà, quel processo dove il soggetto scompare e lascia spazio al semplice essere.
Questi incontri si rivolgono alle persone che provengono dalle zone di Pesaro, Fano, Marotta, Senigallia, Ancona; appuntamenti più lunghi che durano diversi giorni si svolgono al monastero camaldolese di Fonte Avellana (PU) e a questi partecipano persone che provengono da diverse parti del paese e in particolare da Milano, da Siena, da Arezzo, da Como.
Le esperienze di meditazione e contemplazione si svolgono all’Eremo dal silenzio, a San Costanzo, a 15 chilometri da Fano e da Senigallia.

L’avanzare delle dimensione contemplativa del vivere

Il post di Alessandro di ieri parla di questo. Più si comprende il vivere, il suo senso profondo, più si entra nella dimensione del quotidiano, del feriale, del piccolo fatto che invece di perdersi tra mille altri piccoli fatti insignificanti e anonimi, assume rilevanza e centralità.

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E’ la consapevolezza del raglio che ci trasforma!

Alessandro chiede un approfondimento in merito “all’officina vicina e a quella del grande uomo” (post del 22.3).
L’officina vicina sono i tuoi figli, i tuoi affetti, il tuo lavoro, la tua famiglia di origine, la tua comunità: l’ambiente di relazioni, affetti, pensieri che tu frequenti quotidianamente.

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Senza direzione

Non dovendo i giorni produrre alcun risultato e condurci in alcuna esperienza o realizzazione, il tempo e lo spazio interiori che si presentano 

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