Doghen, Jinzu (2), L’agire attimo per attimo

Eihei Doghen Zenji
SHOBOGHENZO

L’AUTONOMO E LIBERO OPERARE (JINZU)
(Quale è il senso del vivere quotidiano?)

Introduzione e trasposizione
Watanabe Koho Roshi

Questo diretto e libero modo di essere, è il modo di funzionare per cui l’occhio riflette un particolare oggetto così come è senza inserire la minima alterazione e l’orecchio recepisce il suono pulito cosi com’è; e ancora, il naso, la lingua, il corpo, la mente, cioè gli organi di senso (che possono essere classificati in sei ambiti) gli strumenti della conoscenza, tutti uno per uno, sono messi in opera e fatti risplendere vivacemente per quello che sono.
Ed inoltre, è anche possibile vedere l’opera della forza vitale che, unica, presiede e controlla quei sei. Ed inoltre, non ci si fissa con pervicacia alle proprie vedute e si può quindi far operare l’illimitato modo di lavorare che fa risplendere al massimo ogni cosa proprio perché è quella cosa.

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Agire nel non agire

Comunità per la via della Conoscenza | Voce nell’impermanenza
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Soggetto: Ognuno di voi è qui perché – comunque – ritiene di averne fatta di strada da quando ha cominciato a risvegliarsi al cammino interiore; anche se poi vi dite che di strada ne dovete fare ancora molta. E per incontrare che cosa? Che cosa volete incontrare, facendo altra strada, o passo dopo passo, o salto dopo salto?

Un partecipante: La parte nascosta di me stesso.

Soggetto: Andando dentro te stesso attraverso la via della Conoscenza tu incontri sistematicamente un’assenza; se incontri una presenza non sei dentro la via della Conoscenza, ma dentro una qualsiasi altra strada che parla di evoluzione, cioè di un qualcosa che ti appartiene e che migliora; ma in quel caso ci sei sempre tu e c’è sempre ciò che riguarda te, e così mai incontri tutto ciò che non è tuo.

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Doghen, Jinzu (1), L’autonomo e libero operare

Eihei Doghen Zenji
SHOBOGHENZO JINZU

L’AUTONOMO E LIBERO OPERARE (JINZU)
(Quale è il senso del vivere quotidiano?)

Introduzione e trasposizione
Watanabe Koho Roshi

La realtà fondamentale che è lo scopo, il significato vero per coloro che mettono in pratica il perseguimento della via di Budda, vale a dire l’autonomo e libero operare, non è la ristagnante ripetitività di gesti della vita di ogni giorno come bere il thè, mangiare i pasti. non è procedere per forza dell’abitudine e di inerzia, bensì agire vivacemente con freschezza.
Quello che a prima vista sono le azioni ed i comportamenti estremamente usuali della vita quotidiana, è l’operare straordinario, l’autonomo e libero lavoro, lo sconfinato funzionamento. Perciò, colui che con sincerità mette davvero in pratica il perseguimento della via di Budda. dedica fino in fondo con impegno tutta la propria energia e capacità a mettere in opera ogni cosa, ogni accadimento, uno per uno, che incontra momento per momento, situazione per situazione, nell’arco di tutta la propria vita di ogni giorno, uniformandosi alla necessità che è suggerita da quella particolare realtà: allora, proprio lì, si sviluppa e si svolge il modo di vivere libero ed autonomo, che non è limitato da alcuna restrizione. (1)

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La coppia 4: la routine del quotidiano

La grande piallatrice. La convivenza dopo settimane o mesi conduce inevitabilmente all’esperienza della routine.
Per alcuni questa è rassicurante, per altri, i più, deprimente.
La mente/identità, per sua natura, ha bisogno di stimoli: la routine rende ogni aspetto del quotidiano uguale a se stesso.
L’altro che ci vive a fianco inizia a non essere visto più come colui o colei su cui è incernierato il nostro progetto d’esistenza, inizia ad apparire sbiadito nei suoi contorni, parte integrata nell’ambiente domestico incapace di produrre stimoli tali da porlo in rilievo.
Le sue manifestazioni ci appaiono come già note e mentre affiorano le etichettiamo come conosciute, ripetute, insistite, disturbanti.
Un caffè la prima volta è un’esperienza, alla trecentesima un fatto ovvio e non degno di nota; il sesso diventa una pappa riscaldata; la sclerata, una delle tante.
Ogni aspetto del quotidiano si appiattisce e si svuota di senso: noi, l’altro, gli accadimenti tutto sbiadisce e si appiattisce nel mare calmo della non rilevanza.
La routine è una delle più grandi sfide nella vita della coppia e, non di rado, porta a smarrire la consapevolezza delle ragioni stesse dello stare assieme.
In sé, come esperienza, appartiene alla fisiologia dell’identità e viene sperimentata in ogni ambito della vita, non solo nella coppia.
Da dove tre origine? Dal giudizio della mente sui fatti. Ogni fatto del quotidiano è etichettato, parametrato, archiviato: quando quel fatto si ripresenta nelle sue caratteristiche salienti non viene visto e vissuto in sé, ma viene richiamata dall’archivio la sua esperienza e la mente dice: “Lo conosco, già vissuto, non può produrre niente di rilevante!”
Quel giudizio toglie valore all’accadere, lo rende simile a tutti gli altri e crea il film sbiadito della routine.
E’ necessario vedere l’etichetta che la mente appone sui fatti e non abilitare oltre l’operazione; è necessario divenire consapevoli che la vita è fatta di piccoli fatti e se, ad uno ad uno, questi non vengono vissuti, la vita stessa non viene vissuta.
La routine ci svela uno dei meccanismi di fondo dell’identità, il suo proiettarsi nel passato o nel futuro alla ricerca di fattori eccitanti e significanti, rifuggendo dall’accadere del presente che, a priori, viene etichettato come non rilevante, tranne alcune eccezioni.
Questo conduce ad una inquietudine di fondo, alla frustrazione ed alla alienazione dalla propria vita: inizia l’inquieta ricerca dell’eccitante che porterà, il più delle volte, a farsi male.
Se la persona non comprende che la vita accade ora e mai più; che quel fatto è il primo e l’ultimo, l’unico che valga la pena di vivere; che la realtà non è quella contenuta nella mente ma quella che accade e che sollecita i sensi, l’emozione, il pensiero, il sentire proprio adesso: se questo non viene compreso la vita della coppia si immiserisce perchè la vita del singolo diviene vuota, viene da se stesso svuotata.
Non ci sono tecniche ed esercizietti, è necessario aprirsi su un dato evidente quanto banale: la mente con le sue aspettative e le sue pretese vela l’accadere della vita e la rende invisibile al nostro esperire.
Se siamo capaci di vedere il racconto della mente e da esso disconnettiamo l’attenzione, subito affiorerà ciò che è sempre stato lì: l’essere delle cose, dei fatti; il senso che essi portano, la bellezza intrinseca a ciascuno di essi, la pienezza del semplice gesto del respirare.

Immagine tratta da: http://www.torange-it.com/Invoice-and-background/texture/Vernice-sbiadita-su-legno-13965.html


Con passo leggero

Attraversare la realtà dei piccoli fatti quotidiano, degli incontri, delle relazioni come si fosse privi di peso, senza impatto.
Quanto impatta un’emozione forte, un groviglio di pensieri, un’opposizione?
Quanto è lieve e trasparente la persona che con la consistenza di un velo attraversa la realtà e da essa si fa attraversare?
La via del perdere è anche la possibilità, passo dopo passo, di perdere consistenza: si diviene fragili e vulnerabili ma, nel contempo, la consapevolezza di essere solo vita e nulla di distinto da essa apre all’esperienza sconfinata dell’essere.
L’essere non ha né forma né peso, non impatta: è tutta la realtà, non qualcosa di distinto da essa.

Immagine tratta da: http://spaceintext.wordpress.com/2011/page/34/