Il processo di appropriazione

Affermare che tutta la realtà mi riguarda non è come dire che tutto è mio.
Tutta la realtà mi svela e riflette i miei processi interiori, quindi mi riguarda; nello stesso tempo, tutta la realtà non è mia, non mi appartiene, è una sequenza di fatti che la mia interpretazione unisce conferendogli il senso a me funzionale.
La realtà mi parla, ma non mi appartiene: ahimè, ci comportiamo come se la realtà fosse cosa nostra e invece mai lo è.
La realtà è fatto che accade e che sia generata dal nostro sentire, non la rende nostra.
Sembra un assurdo: come, è generata dal mio sentire e non è mia?
Il problema è in quel pronome possessivo.
Fino ad un certo punto del nostro cammino tutto è nostro; da un certo punto in poi prendiamo invece le distanze da quel processo di appropriazione e iniziamo a considerare i fatti nei quali siamo immersi come fatti.

continua..

Dove vai tu? Dove vanno gli altri?

Viene un tempo in cui la direzione è interiorizzata e non hai scelta alcuna: la domanda sul dove vai perde senso perché ogni fatto ti conduce a quel che è, altra possibilità per te non esiste.
I fatti sono il tuo orizzonte, il simbolo che portano ti illumina il cammino, ti dice dove stai imparando e come lo stai facendo.
E’ un lavoro minuto, intimo e discreto, nascosto nella soggettività del tuo percorso, di ciò che impari e che a nessuno può essere rivelato: nessuno sa che cosa tu stai imparando; nessuno può sapere che cosa è per te la realtà; nessuno immagina cosa gli altri portano nella tua vita.
Nel tuo piccolo quotidiano, tu non vai da nessuna parte: ti si presentano fatti, ti plasmano, scompaiono. Niente altro.

continua..

Nulla ci è avverso

Quando la radice della paura è conosciuta e debellata si scopre che nella vita nulla ci è avverso.
La più grande delle paure? Quella di conoscere il proprio limite, di vederlo impietoso davanti a sé, immagine spaventosa di sé.
L’attitudine alla conoscenza e alla consapevolezza svela progressivamente il nostro essere e, in quella progressione, possiamo reggere lo sguardo su quello che siamo.
Se reggiamo lo sguardo su noi stessi, lo possiamo reggere anche sugli altri perché essi non sono peggiori di noi.
Avete dei dubbi dal momento che non vi sembra di aver mai stuprato, mai ucciso, mai violato la dignità altrui?

continua..

La mente, la realtà, il sentire

La persona che non ha ancora aperto le porte al sentire e che è focalizzata sul recitato della propria mente, nulla comprende del reale, della realtà e della sua natura più vera e autentica.
Nulla. Quella persona vede il film del reale, non il reale.
Oltre lo schermo ottuso frapposto dalla mente e dai suo contenuti e paradigmi, nell’affiorare del sentire, nel suo mostrarsi e dispiegarsi, nella possibilità infinita di accesso che apre, lì e solo lì il film sfuma e appare ciò che velava, ciò che c’è oltre: i contorni della realtà assumono allora una connotazione, una definizione, un senso, una pregnanza, una essenza mai conosciuti.

continua..

Nella tempesta la via è interrogarsi

La realtà personale e sociale che accade quotidianamente è sempre il simbolo di qualcosa che dobbiamo comprendere.
All’interno di questa logica il simbolo parigino è inequivocabile: occorre interrogarsi più che bombardare.
Fluctuat nec mergitur (è sbattuta dalle onde ma non affonda) è il motto della città di Parigi: le onde sono i problemi non risolti di questo tempo, le cecità, gli interessi celati, gli egoismi, il non compreso di una parte dell’umanità che risiede nell’intimo dei carnefici, come in quello delle vittime.

continua..