Quello che è rimasto indietro

Spero non sia sfuggito all’attenzione del lettore il post di ieri.
Il rischio, forse il pericolo, che corriamo noi tutti ricercatori dell’interiore nel percorrere con determinazione la via dell’unificazione, è quello di conseguire frammenti di unità e su quelli insistere e sperimentare per ampliarli, non riservando cura e attenzio-ne sufficienti a quelle parti del nostro essere che sono rimaste indietro.

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Sull’esperienza dell’amore

Da Elena un commento al post di ieri: “Nell’osare creare situazioni di condivisione, c’è ancora il protagonista, colui o colei che si manifesta con l’intento di poter essere strumento creativo al servizio dell’armonia, dell’unità, poi, appena colui/colei che si è manifestato fa un passo indietro, accade il movimento dell’amore così pregnante da modellare ogni cosa.
Definiamo l’esperienza del’amore come attraversamento, intendendo con ciò l’accadere di un processo che sorge a monte dell’umano comunemente inteso, lo attraversa e lo cambia fin nelle midolla.

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Dopo Sestino

Basta il canto di un uccello, il colore di una foglia, una parola e ancora mi si riempiono gli occhi di lacrime.
E’ stato ed è così vasto e profondo, pervaso da un movimento d’amore che tutto abbraccia e accarezza e crea incessante unità, indissolubile unità: così potente da modellare ogni cosa attorno.
Questo è capace di vivere un organismo che non ha paura, che si fida della vita, che si apre all’adesso che viene: questo generano persone consapevoli, disposte a impastarsi e a lasciarsi attraversare,  aperte all’impatto, pronte al gesto che la vita suggerisce, capaci di piegarsi senza fine.
Vita e meraviglia e ancora vita.
Alcune immagini

Dobbiamo osare di più

Una discussione sulla condivisione e comunicazione nel web.
Da Nirvana: Condivido pienamente quello che dici, anche se faccio parte anche io di quel gruppo di persone che a volte prendono e, per così dire, fanno proprie certi espressioni di pensiero.

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Davanti al deserto

E’ così vivida la percezione della realtà come rappresentazione che il vivere avviene da un lontananza incolmabile.
C’è uno sguardo profondo e penetrante che osserva un deserto di sostanza.
Voci, colori, parole, stimoli, tentativi, ricerche ridondano ovunque: un circo, una giostra appaiono.
Molto appariscenti. Sostanzialmente vuoti. Irreparabilmente preclusi.
Rimane il silenzio, lo sguardo profondo, la vastità del deserto.

Non ha un senso, accade.

“Ma se l’assoluto non è nel divenire a chi e a che giova tutta questa rappresentazione che poi ci starebbe portando verso l’assoluto stesso?”
E’ una questione che l’uomo dibatte da sempre. Non ho una risposta, ho quel poco che ho compreso.

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Come il grano

Nell’arco di pochi giorni il grano sta scomparendo dai campi; dall’autunno ci aveva accompagnato e pian piano il suo colore aveva dominato le colline.
Sfumature di verde e poi di oro, poi ancora il rumore delle trebbiatrici e infine questi campi ampi di stoppie.

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Di mio, non ho niente da dire

Ti ho conosciuto nei giorni del riso e in quelli del pianto;
ti ho osservato ed osservato, senza mai stancarmi;
ci sono stati giorni in cui avrei voluto fuggire e scomparire dalla faccia della terra;
ci sono stati i giorni della negazione di te.
Ma sono qui e oggi il dubbio non mi assale più, né il riso, né il pianto;
oggi sono come una albero che sta nel terreno, nella vicinanza di altri alberi e, sebbene io parli tanto, di mio non ho niente da dire.