La gratuità: i pesci non esistono per essere pescati

Ciò che esiste non ha bisogno di giustificazione, esiste e basta.
Poi, certo, nella relazione si può essere funzionali l’uno all’altro, ma non è questa l’intenzione che muove il gesto creativo che dà origine all’esistente.
Nell’umano troppo è legato alla funzione, allo scopo, al soddisfacimento di un bisogno.
La creazione artistica fa, a volte, eccezione: l’artista crea perché è interno ad un flusso e non si pone il problema dello scopo, del fine, dell’uso della sua opera.

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Il coraggio di creare e la ricerca di senso

Il cammino di liberazione è, ad un certo punto, essenzialmente un processo di de-condizionamento.
Da influenze esterne, sociali, culturali? Interne, derivanti dall’educazione e dalla formazione? Non direi.
Nessuno ci obbliga ad aderire a degli archetipi, se vi aderiamo è perché corrispondono al nostro sentire. Certo, dato un certo sentire, possiamo scegliere se aderire all’archetipo A o B e magari aderiamo ad A perché i nostri colleghi, o i nostri amici vi aderiscono e quindi c’è un condizionamento, ma è marginale.
La realtà è che avendo un sentire di un certo grado, potevamo accedere solo agli archetipi A e B, non anche a C e D.

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Negli abissi del non senso

Dagli abissi del non senso sorgono i gesti che portano a compimento il karma di alcuni e spargono simboli per tutti.
Giovani che poco sanno della vita e molto conoscono la propria frustrazione e l’assenza di scopo che li pervade, imbracciano un mitra e gridano Allahu Akbar, appellandosi ad un dio di cui nulla sanno nella ricerca di una giustificazione al loro odio.
Poco centra il terrorismo, molto i tracciati esistenziali dei carnefici, delle vittime e i simboli per tutti noi che siamo invitati a riflettere sulle cause, sulle ingiustizie, sul vuoto esistenziale di troppi.

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La ricerca di senso e quel che abbiamo

Scrive Alessandro nel commento al post L’abbandono di sé senza sforzo: Il gesto, l’azione radicale, svolgono su di me una certa attrattiva.
Poi mi ritrovo tutt’altro, a svolgere cioè una vita che radicale non è, dove non c’è un gesto o un’azione che risolvono tutto, ma tanti piccoli tentativi e vie di mezzo. Non vivo quell’unità nel quotidiano e mi ritrovo spesso o con la guardia alta, o a incassare un colpo perché un attimo l’ho abbassata, questo è il mondo che vivo oggi negli affari.
Una dimensione più protetta dove potermi ritirare da tutto questo dispiega su di me la sua attrattiva, il gesto radicale di un eremitaggio per un periodo di tempo per poi tornare.

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Divenire, essere, senso e scopo

Parto da questa espressione cui fa riferimento Samuele nel suo commento al post Illuminazione e coscienza: Le vite, il vivere dunque è un processo con uno scopo: generare comprensione, ampliamento del sentire, strutturazione del corpo della coscienza.
E’ in chiara contraddizione con quanto affermato nel post La realtà senza senso. Come mai?
Due sono i punti di vista da cui si può osservare e comprendere la realtà: il punto di vista del divenire e quello dell’essere.

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ricerca di senso

Una ricerca estrema di senso

Se andiamo a vedere le biografie dei terroristi che hanno operato a Parigi, spesso, non sempre, scopriamo ciò che già sapevamo: vite cresciute negli immensi quartieri dormitorio, problemi di integrazione sociale, droga a volte. Vite normali ai margini, altre volte vite normali integrate.
Ad un certo punto la svolta radicale, la decisione di spendere la propria vita per un ideale che a loro appare vero e determinate: finalmente una risposta alla domanda di senso, conscia e inconscia, che premeva nel loro interiore.

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