La comunità

Forum del Sentiero contemplativo
L’accesso è possibile a coloro che frequentano i gruppi di approfondimento e le esperienze comunitarie e contemplative

La comunità è l’organismo che pone in relazione le persone che seguono il Sentiero come approccio alla propria esistenza.
E’ innanzitutto una condivisione di sentire; è anche la possibilità di un approfondimento e di una verifica di quanto sperimentato nei gruppi, negli individuali e nelle esperienze-laboratorio; è infine una possibilità di donarsi.
Alla comunità aderiscono persone  che sono passate attraverso le varie esperienze che il sentiero propone e continuano il loro lavoro mantenendosi in contatto e in condivisione con gli altri viandanti, sperimentando sempre più profonde modalità di conoscersi e svelarsi.
Le persone che sentono di poter condividere il cammino comunitario sono anche quelle che dentro di sé hanno realizzato che nella vita tutto è transito, tutto viene donato e tutto si dona: consapevoli di ciò, per quel che è loro possibile, scelgono di lasciarsi attraversare, di entrare in una logica di gratuità, di mettersi a disposizione nelle varie funzioni che la via spirituale comporta.
Alcune si occupano di accompagnare le persone che hanno una domanda esistenziale; altre del percorso di base, delle esperienze-laboratorio, delle tante piccole incombenze di un cammino comune che si offre all’altro senza pretesa.
La comunità è una rete intima di contatti, una trama di sentire, la condivisione profonda di uno sguardo sulla vita: “Cammino con te perché tu non sei altro da me e in ogni momento mi ricordi di tornare all’essenza delle cose”.

Per poter partecipare

Chi si sente sospinto verso il percorso della conoscenza di sé, della meditazione e della contemplazione, non deve fare niente di particolare e non deve avere un qualche tipo di preparazione: sulla base di una motivazione interiore chiede semplicemente di partecipare a una, o più di una, delle situazioni proposte.
In genere vengono consigliate delle letture in modo da fornire il più ampio spettro possibile di strumenti che plasmano la mente.
Ogni persona risponde solo a se stessa; non esistono vincoli e ognuno è responsabile del proprio cammino.
Non è nel costume dell’eremo, che propone il sentiero, ricorrere ad iniziative promozionali o pubblicitarie: ci limitiamo alla fine dell’estate di ogni anno a distribuire, via mail, il programma della stagione di lavoro e il relativo calendario.
Il nostro sito web è una piccola e discreta porta comunicativa con quanti sono interessati al nostro percorso.

Siamo debitori verso coloro che ci hanno preceduto sulla via della conoscenza di sé

Da dove trae origine il sentiero?
Dall’esperienza personale, innanzitutto: in quella macerazione interiore ha, piano, piano, preso forma.
Nel conflitto, nell’ascolto, nella resa, utilizzando vari modelli di pensiero per interpretare ciò che accadeva nell’intimo, è sorta una forma, una visione originale, che è debitrice dei paradigmi che ha utilizzato e nel contempo, ne è completamente autonoma.
Il sentiero ha radici:
-nello zen innanzitutto; lo zen di scuola soto così come è stato presentato in occidente dagli amici de “La stella del mattino”;
-nella “via della Conoscenza” così come è stata trasmessa nell’insegnamento del Cerchio Marina e del suo maestro, Soggetto;
-nella visione della natura profonda dell’uomo e della realtà così come proposta negli insegnamenti del Cerchio Firenze 77 e del Cerchio Ifior;
-negli insegnamenti di Krishnamurti, di Ramana Maharshi, di Osho, di Rudolf Steiner;
– nell’esperienza, in ambito cristiano,  dei padri del deserto, del monachesimo delle origini e della visione di E.Drewermann, teologo e psicoterapeuta contemporaneo.
-in ambito psicologico nel “Sentiero” di Eva Pierrakos e nella Corenergetica di J. Pierrakos;
-infine, le radici del sentiero affondano nel silenzio: ogni paradigma, ogni ispirazione e stimolo si relativizzano al cospetto di ciò che dal silenzio, in questi anni di trasformazione, è sorto.
Lì risiede il maestro, il veramente determinante, di questa piccola cosa.

Come si articola il sentiero

Essendo un processo che la persona vive dentro di sé, il sentiero si presenta come strumento al servizio della persona: fornisce delle possibilità interpretative, delle occasioni d’esperienza, per poi riconsegnare la persona a se stessa. Non ci sono vincoli, non c’è appartenenza né legame dovuti o coltivati. C’è solo quel che sorge nell’intimo della persona che viene sospinta all’incontro con questo o con quello, per poi andare per la propria strada.
Quindi il sentiero è una opportunità nella piena libertà di ciascuno; in questa libertà vengono proposte queste tre situazioni tra esse interdipendenti e complementari:

1- l’accompagnamento individuale, finalizzato alla conoscenza di sé;
2- i gruppi di approfondimento, in cui viene coltivata la consapevolezza del nostro essere qui, con il nostro percorso esistenziale, occasione irripetibile per aprirci alla realtà della vita;
3- la pratica della meditazione e della contemplazione.

L’accompagnamento individuale è una singola tappa oppure un percorso che si può dipanare per settimane, mesi oppure anni, in cui si stabilisce un rapporto di accompagnamento, un procedere fianco a fianco, in cui la persona è sostenuta dalla figura del suo accompagnatore, il “buon amico”, nel lavoro di smascheramento dei propri meccanismi mentali ed emotivi, origine delle difficoltà esistenziali e dell’inquietudine che la sospinge a ricercare.
Nell’accompagnamento vengono affrontate le dinamiche relative a tutti gli aspetti della personalità, da quelle più legate alla sfera psichica, a quelle esistenziali e spirituali.
Il fine dell’accompagnamento è condurre la persona incontro alla conoscenza di sé, ad imparare a considerasi non solo come limite ma anche come vastità che esiste da sempre e per sempre: è un andare verso la piena consapevolezza di sé come persona e la piena manifestazione della propria natura autentica.
I gruppi di approfondimento sono composti da un massimo di otto o nove persone e rappresentano un momento di analisi e di approfondimento sulle questioni della via interiore e della pratica del meditare e del contemplare.
Sono una opportunità per la formazione di punti di vista e di modelli interpretativi ispirati ad una visione spirituale dell’esistenza, e sono anche un momento di esperienza della pratica della disconnessione e della meditazione intesa come modo di stare di fronte alla vita.
La pratica della meditazione avviene in tre forme: meditazione guidata, meditazione a tema, zazen.

Vedi anche la sezione: La nostra proposta formativa

Chi propone questo percorso attraverso la meditazione e la contemplazione intesi come vita?

Qualcuno che tutti i giorni si lascia interrogare, provocare, mettere in crisi e cambiare dalla vita.
Qualcuno che attraverso la conoscenza di sé ha attraversato la sua mente, ne ha visto i meccanismi nella consapevolezza più vivida, e ha visto e sperimentato quello spazio che si apre oltre.
Qualcuno che della meditazione e della contemplazione, di quel modo di stare di fronte alla vita, fa esperienza.
Qualcuno che ha conosciuto quella libertà e che di quella libertà può parlare perché ne fa esperienza.
Chi propone il sentiero non si presenta come maestro, né si presenta come insegnante spirituale: parole grandi che non sente adatte a sé e che gli suscitano un moto di disagio.
Si presenta come “buon amico” che, certo, è nel buddismo delle origini uno dei termini per descrivere la figura di chi accompagna lungo il sentiero, e in quella visione il “buon amico” è declinato anche come maestro, ma qui interessa il senso profondo di quell’espressione: il “buon amico” è colui che ti sta a fianco e ti accompagna, non stando davanti, né stando sopra, ma a fianco. A fianco significa in una simpatia.
Il “buon amico” ha fatto quel percorso prima di te ma lo fa anche con te, ogni volta fa quel percorso.
Il “buon amico” non ha più uno scopo suo, non deve raggiungere qualcosa: può stare lì, con te, in ciò che accade.
Non ha nulla da perdere, né nulla da guadagnare.

Lo sbocciare del fiore della contemplazione: la fine del ricercare

Alla luce di questo si comprende che nel sentiero non c’è un’ascesi, una disciplina, un dover fare questo piuttosto che l’altro: niente da “dover fare” per cambiarsi, per trasformarsi, per raggiungere quello o quell’altro stato, magari la realizzazione finale.
C’è solo un osservare, un osservare senza fine, che dà luogo ad una conoscenza, ad una consapevolezza ed una comprensione nuovi e, mentre ciò accade, è sostenuto da un fermo disporsi all’essere trasformato.
La persona che si avvicina ad una via interiore è sempre mossa da un impulso alla ricerca, a volte questo impulso porta con sé un’ansia.
Man mano che ci si addentra nel sentiero e nella pratica della meditazione e della contemplazione, quest’ansia e questa spinta si placano e sorge dell’altro, sorge un lasciar andare, un quietarsi, un abbandono a come la vita si presenta giorno dopo giorno. Molte cose che riempivano la vita della persona semplicemente non interessano più, le amicizie cambiano, a volte viene meno anche il bisogno di leggere e riempirsi leggendo.
Sempre di più la persona è mossa nell’interiore da qualcosa che non sa definire ma che la conduce ora di qua, ora di là, incontro alle esperienze della vita.
Più l’abbandono è coltivato più la parola sorge dal silenzio e l’azione dalla stasi.
Il meditare diviene lo sguardo sul presente: il mare dell’emozione si placa, la persona vive il suo mondo interiore con le sue sensazioni ed emozioni, coi suoi pensieri, senza esserne più travolto.
Sorge un distacco ed una tenerezza per sé e per l’altro, per qualunque manifestazione di sé e dell’altro.
Giunti a casa non c’è più impulso alla ricerca, possiamo posare lo sguardo nella pace interiore; dalla sponda del fiume osservare.

Chi opera il cambiamento nella persona?

Perché  l’atteggiamento della meditazione possa germogliare nella esperienza della contemplazione è necessario che nella persona avvengano una serie di cambiamenti:
-mutino le dinamiche della sua mente e il rapporto che la persona ha con esse;
-muti il rapporto con le emozioni e con le sue azioni;
-muti il rapporto con tutto ciò che è altro da sé.
A partire da questa nuova consapevolezza sorta dal percorso della conoscenza di sé, negli spazi prodotti dal mutamento, si inserisce il sorgere dell’esperienza della contemplazione, ma chi opera il cambiamento che avviene nella persona?
E’ la persona che opera il proprio cambiare? E’ il frutto della sua volontà? O è il frutto di qualcosa d’altro, di qualcosa che non appartiene alla persona, di qualcosa di più vasto?
Nel sentiero diciamo che non è la persona che cambia se stessa: la propria volontà viene utilizzata per disporsi al cambiamento, per osservare la propria mente e per disconnettere da essa, ma l’operare il cambiamento non è frutto della volontà.
In altri termini non possiamo cambiare perché lo vogliamo, è più complesso.
Il cambiamento si insinua tra le maglie della mente che, osservata e smascherata, si strama. Lì pezzi di mente si disconnettono da altri pezzi, si aprono spazi di non identificazione, e può operare qualcosa che non appartiene alla persona e che, inspiegabilmente, immeritatamente, la rende diversa.
Che cos’è questo qualcosa che cambia la persona? Non diamo una sola risposta e, in fondo, non ci interessa dare una risposta che limiti il campo di indagine, sarebbe un dire con la mente qualcosa che la mente non può capire: ci interessa aprirci su un mistero.
Questa esperienza dell’essere cambiati, del venire cambiati dal di dentro, fin nel midollo, di certo scaturisce dall’abbandono della persona, dal suo affidarsi, dal suo darsi, dal suo non risparmiarsi.
Dal canto suo la Vita nel suo presentarsi, nel suo bussare incessante, muta ogni equilibrio, tutto plasma e tutto viene ricondotto alla sua essenza, alla sua natura, al suo essere autentico.
Questo è veramente il centro di questo piccolo, insignificante sentiero: questo è l’artefice, questo ineffabile Altro che tutto trasforma e tutto rende se stesso.
Lo sguardo chiaro che sorge dalla meditazione e dalla contemplazione conduce ad un ammutolire, ad un silenzio privo di domande ma il fiume del cambiamento sembra incontenibile.

Contemplare è vivere la sacralità del presente

La contemplazione è un qualcosa che accade, non è qualcosa che la persona fa di sua volontà, le accade.
Quando si crea uno spazio nella mente, attraverso la consapevolezza e la conoscenza di sé, quando sorge un abbandono al presente, accade che quel fiore colpisca l’attenzione in un modo completamente nuovo, accade che quella parola ti esca di bocca con un senso e una pregnanza mai sperimentati; accade che il movimento di un braccio sia così vivido che, dal profondo, sorge una meraviglia che porta con sé lo stupore per un dono ricevuto, un dono immeritato per noi in fondo irrilevanti, che non deriva dalle nostre capacità, un dono gratuito.
La contemplazione introduce ad un vivere pervaso dal senso di gratuità, dove diventa evidente che la vita distribuisce a ciascuno le opportunità di incontrare il senso ultimo delle cose.
La gratuità porta con sé il senso del sacro: sacro non è ciò che l’uomo definisce tale o reputa tale; sacro è tutto ciò che esiste: nel suo esistere viene colto dalla persona nella sua intima natura.
Quella natura canta semplicemente se stessa: ogni persona canta se stessa, ogni cosa canta se stessa. Quel canto è ciò che l’uomo chiama sacro: sacro è ciò che l’uomo esprime e coglie nella sua autenticità.
Qui le parole non possono descrivere un’esperienza: la meditazione che fiorisce nella contemplazione è l’esperienza di questo, è l’esperienza della realtà.
Ad un certo punto lungo il sentiero tutta la vita diventa contemplazione: che si stiano lavando i piatti, camminando, mangiando, lavorando; in treno, alla guida dell’auto, durante un colloquio, la contemplazione affiora e pervade.
La persona diventa quel gesto, quella parola, quella situazione: lì non c’è più qualcosa che viene agito da qualcuno, lì scompare quel qualcuno e c’è solo l’azione. Non c’è più il fiore e colui che osserva il fiore: quando la contemplazione si afferma c’è solo il fiore e la meraviglia e la benedizione di quell’esistenza che si mostra nel suo essere.
Lì, l’osservatore è scomparso e lì, finalmente, si manifesta la libertà e con essa la leggerezza e il senso della propria irrilevanza e lì, solo lì, si può affermare: “l’unica cosa che conta è la vita!”
Lì, per la prima volta, illuminata da questa consapevolezza, forse possiamo usare la parola amore.
Quella parola non è contaminata da noi, a quel punto, è un’esperienza della realtà, dono della realtà.
La possiamo usare perché si è imposta come esperienza, altrimenti non potremmo azzardarci a pronunciarla.

Un’altra descrizione dell’esperienza della contemplazione la trovi alla pagina Meditazione e Contemplazione e ai seguenti capitoli del libro “Conoscenza di sé, meditazione, contemplazione”:
14-L’esperienza dell’attraversamento
18-Lo sguardo del contemplante
19-La pregnanza di ogni singola esperienza
20-Il sorgere dell’esperienza della compassione