Chi opera il cambiamento nella persona?

Perché  l’atteggiamento della meditazione possa germogliare nella esperienza della contemplazione è necessario che nella persona avvengano una serie di cambiamenti:
-mutino le dinamiche della sua mente e il rapporto che la persona ha con esse;
-muti il rapporto con le emozioni e con le sue azioni;
-muti il rapporto con tutto ciò che è altro da sé.
A partire da questa nuova consapevolezza sorta dal percorso della conoscenza di sé, negli spazi prodotti dal mutamento, si inserisce il sorgere dell’esperienza della contemplazione, ma chi opera il cambiamento che avviene nella persona?
E’ la persona che opera il proprio cambiare? E’ il frutto della sua volontà? O è il frutto di qualcosa d’altro, di qualcosa che non appartiene alla persona, di qualcosa di più vasto?
Nel sentiero diciamo che non è la persona che cambia se stessa: la propria volontà viene utilizzata per disporsi al cambiamento, per osservare la propria mente e per disconnettere da essa, ma l’operare il cambiamento non è frutto della volontà.
In altri termini non possiamo cambiare perché lo vogliamo, è più complesso.
Il cambiamento si insinua tra le maglie della mente che, osservata e smascherata, si strama. Lì pezzi di mente si disconnettono da altri pezzi, si aprono spazi di non identificazione, e può operare qualcosa che non appartiene alla persona e che, inspiegabilmente, immeritatamente, la rende diversa.
Che cos’è questo qualcosa che cambia la persona? Non diamo una sola risposta e, in fondo, non ci interessa dare una risposta che limiti il campo di indagine, sarebbe un dire con la mente qualcosa che la mente non può capire: ci interessa aprirci su un mistero.
Questa esperienza dell’essere cambiati, del venire cambiati dal di dentro, fin nel midollo, di certo scaturisce dall’abbandono della persona, dal suo affidarsi, dal suo darsi, dal suo non risparmiarsi.
Dal canto suo la Vita nel suo presentarsi, nel suo bussare incessante, muta ogni equilibrio, tutto plasma e tutto viene ricondotto alla sua essenza, alla sua natura, al suo essere autentico.
Questo è veramente il centro di questo piccolo, insignificante sentiero: questo è l’artefice, questo ineffabile Altro che tutto trasforma e tutto rende se stesso.
Lo sguardo chiaro che sorge dalla meditazione e dalla contemplazione conduce ad un ammutolire, ad un silenzio privo di domande ma il fiume del cambiamento sembra incontenibile.

Contemplare è vivere la sacralità del presente

La contemplazione è un qualcosa che accade, non è qualcosa che la persona fa di sua volontà, le accade.
Quando si crea uno spazio nella mente, attraverso la consapevolezza e la conoscenza di sé, quando sorge un abbandono al presente, accade che quel fiore colpisca l’attenzione in un modo completamente nuovo, accade che quella parola ti esca di bocca con un senso e una pregnanza mai sperimentati; accade che il movimento di un braccio sia così vivido che, dal profondo, sorge una meraviglia che porta con sé lo stupore per un dono ricevuto, un dono immeritato per noi in fondo irrilevanti, che non deriva dalle nostre capacità, un dono gratuito.
La contemplazione introduce ad un vivere pervaso dal senso di gratuità, dove diventa evidente che la vita distribuisce a ciascuno le opportunità di incontrare il senso ultimo delle cose.
La gratuità porta con sé il senso del sacro: sacro non è ciò che l’uomo definisce tale o reputa tale; sacro è tutto ciò che esiste: nel suo esistere viene colto dalla persona nella sua intima natura.
Quella natura canta semplicemente se stessa: ogni persona canta se stessa, ogni cosa canta se stessa. Quel canto è ciò che l’uomo chiama sacro: sacro è ciò che l’uomo esprime e coglie nella sua autenticità.
Qui le parole non possono descrivere un’esperienza: la meditazione che fiorisce nella contemplazione è l’esperienza di questo, è l’esperienza della realtà.
Ad un certo punto lungo il sentiero tutta la vita diventa contemplazione: che si stiano lavando i piatti, camminando, mangiando, lavorando; in treno, alla guida dell’auto, durante un colloquio, la contemplazione affiora e pervade.
La persona diventa quel gesto, quella parola, quella situazione: lì non c’è più qualcosa che viene agito da qualcuno, lì scompare quel qualcuno e c’è solo l’azione. Non c’è più il fiore e colui che osserva il fiore: quando la contemplazione si afferma c’è solo il fiore e la meraviglia e la benedizione di quell’esistenza che si mostra nel suo essere.
Lì, l’osservatore è scomparso e lì, finalmente, si manifesta la libertà e con essa la leggerezza e il senso della propria irrilevanza e lì, solo lì, si può affermare: “l’unica cosa che conta è la vita!”
Lì, per la prima volta, illuminata da questa consapevolezza, forse possiamo usare la parola amore.
Quella parola non è contaminata da noi, a quel punto, è un’esperienza della realtà, dono della realtà.
La possiamo usare perché si è imposta come esperienza, altrimenti non potremmo azzardarci a pronunciarla.

Un’altra descrizione dell’esperienza della contemplazione la trovi alla pagina Meditazione e Contemplazione e ai seguenti capitoli del libro “Conoscenza di sé, meditazione, contemplazione”:
14-L’esperienza dell’attraversamento
18-Lo sguardo del contemplante
19-La pregnanza di ogni singola esperienza
20-Il sorgere dell’esperienza della compassione

Un piccolo mondo insignificante

Di cosa è fatto questo piccolo mondo? E’ esattamente il mondo di prima, quel mondo che mai vediamo veramente, quel piccolo mondo fatto di cose che consideriamo normalmente insignificanti. La tovaglia sul tavolo, le molliche di pane, l’odore dell’aglio, un’ombra sul muro, la parola di un interlocutore, un desiderio che improvvisamente sorge, un pensiero che attraversa la mente come una nube in un cielo d’estate.
Il mondo non è cambiato, sono cambiati gli occhi dell’osservatore che si è aperto ad una consapevolezza nuova: sono occhi che hanno smesso di giudicare, di avere aspettative, di lamentarsi. Sono gli occhi di chi ha imparato a stare lì, in quel piccolo fatto che accade adesso, sapendo che la vita è quello che accade ora, solo questa è vita, il resto è racconto della mente.
La vita accade solo nel presente; il passato e il futuro sono il regno della mente e lì non trovi la vita. Nell’adesso accadono piccole cose, veramente piccole: se la persona ha coltivato un abbandono, un’accoglienza, un distacco, quelle piccole cose assumono una pregnanza particolare, una pienezza mai prima sperimentata.
Quando la persona si libera dei suoi meccanismi mentali allora sorge la realtà, che non ha nulla di straordinario ma, nella sua ordinarietà, porta con sé una meraviglia e uno stupore che colmano una vita.
La realtà si manifesta quando la persona si placa, quando nella mente si crea uno spazio: allora sorge l’esperienza del contemplare il pensiero, l’emozione e l’azione che vengono colti e vissuti come “presente assoluto”.
La meditazione è quello sguardo profondo; la contemplazione quell’essere sguardo dove solo lo sguardo esiste, non colui che osserva.
La persona che ha imparato a non fuggire, che è passata attraverso la conoscenza e la consapevolezza di sé, può giungere a questa esperienza di un presente privo di condizionamento ed assolutamente nuovo nella sua ordinarietà.

Conoscenza e consapevolezza di sé

Il sentiero propone la possibilità di stare davanti alla vita a partire da ciò che si è e da ciò che la vita è, quindi a partire dalla capacità di imparare ad accogliere se stessi, l’altro da sé e ciò che la vita propone, a volte con una carezza, altre con un ceffone.
Quindi il primo concetto chiave è imparare ad accogliere.
Accogliere non significa subire, né rassegnarsi, né sottomettersi: è una cosa completamente diversa.
Per cominciare ad accogliere è necessario imparare a sviluppare una diversa visione di sé e della vita: l’accoglienza poggia su di una diversa comprensione.
Che cosa va compreso? Il nostro modo di pensare, di provare emozioni, di agire. Come?
Osservandosi, divenendo consapevoli dei nostri pensieri, delle nostre emozioni e delle nostre azioni.
L’osservazione e la consapevolezza di sé sono i primi passaggi: osservandoci mentre accadiamo possiamo vedere i meccanismi mentali che ci governano, come le emozioni ci condizionano, come le azioni ci sfuggono di mano o non sorgono.
Se abbiamo consapevolezza della portata di ciò che sta accadendo, allora possiamo cominciare anche a prendere una distanza da quelle modalità, ma questo è possibile solo se siamo consapevoli, altrimenti siamo destinati ad essere vittime dei nostri meccanismi.
Il distacco è il secondo passaggio fondamentale: come si fa a distaccarsi da un’emozione che ci travolge o da un pensiero ossessivo, da un’ansia, o da una compulsione a compiere una certa azione?
Ti distacchi da:
-ciò di cui hai consapevolezza;
-ciò di cui sei stanco.
Non ti distacchi da ciò che non vedi e che non ti ha ancora sufficientemente stancato, ma soprattutto non puoi distaccarti da niente se non capisci come funziona la mente[1].
La mente è un organismo che si autoalimenta e si autostruttura sulla base di continui stimoli che ha bisogno di ricevere: per la mente è del tutto indifferente che uno stimolo sia costruttivo o distruttivo, entrambi la eccitano, le forniscono energia e senso di esistere.
La mente è un organismo che si nutre nello sballottamento, nel pianto come nel riso, nell’eccitazione come nell’apatia.
Se non si comprende come funziona la mente non è possibile un vero distacco dai meccanismi che ci governano.
Questo è il centro del lavoro nel sentiero contemplativo: l’osservazione della mente, la comprensione del meccanismo mentale, la stanchezza, la presa di distanza: conoscenza di sé e consapevolezza.
Quando si è imparato a distaccarsi inizia a sorgere un piccolo mondo fino ad allora nascosto, non perché non ci fosse, semplicemente non si avevano gli occhi per vederlo.
All’orizzonte comincia a configurarsi l’esperienza che può aprire alla pratica della meditazione e della contemplazione da cui verrà generata la comprensione.
La sequenza allora diventa:
-conoscenza di sé → imparando come funziona la mente
-consapevolezza → osservando la mente e disconnettendo dal suo operare
-comprensione → è la risultante del processo del vivere, sempre e in tutti gli individui: è sostenuta, facilitata e favorita dalla pratica del meditare e del contemplare


[1] Il significato del termine mente può cambiare a seconda dei contesti in cui è inserito ma generalmente con esso intendiamo l’attività del corpo mentale che condiziona quella del corpo astrale (emotivo) e quella del corpo fisico.
I tre costituiscono l’ego, o identità, o personalità, o sé inferiore, da non confondere con il termine “individualità” che indica un piano di esperienza e di comprensione più vasti di quello dell’ego: il piano della coscienza, o corpo akasico, o sé superiore, o anima.

Presentazione del sentiero

Il sentiero è, innanzitutto, un’esperienza che sta accadendo nella vita di alcune persone e quindi è una pratica, un atto di vita e certo anche un mondo concettuale, un modo di interpretare se stessi e la realtà.
Non ha la pretesa di essere una via spirituale, una delle tante vie con una sua completezza teorica, dentro una tradizione, con i suoi riti, i suoi maestri.
No, niente di tutto questo: è un piccolo sentiero a disposizione di persone che attraverso la vita, il dolore, la fatica, l’insoddisfazione – pungolati da tutto questo – sono giunti alla conclusione di vedere la propria piccolezza davanti agli occhi e hanno continuato a cercare finché, approfondendo la conoscenza di sé, hanno trovato un modo di stare davanti all’esistenza, smettendo di combattere contro se stessi e contro la vita.
Ecco, il sentiero è una possibilità per coloro che hanno cominciato ad arrendersi a se stessi e al proprio limite.
Un sentiero basato sul limite: ogni persona, ogni cosa, ogni situazione porta con sé un limite; quando il limite ci impone prima un arresto, poi una riflessione, poi un nuovo modo di vedere, in quella situazione il sentiero può incrociarci e dirci qualcosa.
Prima che questo accada è difficile che si incontri anche solo la parola contemplazione.
Prima si è lanciati verso qualcosa, si deve fare, raggiungere, in un qualche modo conquistare.
Quando la vita ci ha modellati, piallati e anche un po’ ridimensionati nelle nostre pretese, quando la nostra consapevolezza si è accresciuta, la parola contemplazione per noi può cominciare ad avere una qualche attrattiva e l’esperienza del meditare e del contemplare può diventare un’esigenza.
Quindi il primo impatto è con la consapevolezza del proprio limite; il secondo impatto è con uno svuotamento e una perdita di senso rispetto a quanto abbiamo fatto fino a quel momento, alla vita che abbiamo condotto, al punto di vista che è stato nostro: c’è uno smarrimento, avvertiamo il bisogno che accada qualcosa ma non sappiamo bene dove cercare; siamo in una sorta di terra di nessuno dove il vecchio ha perso di significato e il nuovo non si vede.
Lì può accadere che ci impattiamo con un’esperienza e una visione della vita come quella che propone il sentiero.