La relazione tra sentire di coscienza

Vorrei sviluppare quanto emerso nell’Essenziale di ieri.
Le menti-identità leggono i frammenti della realtà, per loro natura non colgono l’insieme ma il particolare e sono mosse da un bisogno di presenza, di manifestazione, di relazione con le loro pari.
Hanno, giustamente, l’esigenza di calare un impulso, una conoscenza, un assaggio di comprensione nella loro vita, di incarnarli, di trovare il modo per farli divenire vita nel quotidiano.

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Domanda, discepolo, maestro, realtà

E’ il sentire relativo, quello proprio degli umani e degli altri esseri viventi, che crea la realtà.
Quel sentire contiene nel suo dna un programma che lo orienta: “provengo da un sentire più limitato e sono in continuo ampliamento”.
I sentire relativi costituiscono il sentire assoluto il quale non ha quel programma, ma è la realtà compiuta, infinita ed eterna del sentire.
Il sentire assoluto non diviene e non crea, non ha domande, non cerca risposte.
Il sentire relativo, in virtù di quella sua disposizione-programma di fondo, genera il divenire e le domande, cerca le risposte.

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La tradizione e la fiducia nel cammino spirituale

Ho letto con interesse questa intervista a Raphael. Ho anche evidenziato delle parti: quelle in cui c’è piena condivisione di sguardo; quelle dove c’è perplessità e infine quelle che mi sono sembrate approssimative.
Ad esempio, trovo approssimativo quello che, in genere, dice in merito al cristianesimo.
Raphael riconosce una funzione insostituibile alla tradizione nella via spirituale: solo conoscendo l’esperienza degli altri sedimentata nel tempo, puoi sapere dove sei ora, dove è l’altro a cui magari ti affidi.

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La vita è fatta di niente

Nei gironi della bulimia dei rapporti, delle parole, degli alimenti, delle retoriche si mostra il tentativo dell’umano di riempirsi e di circondarsi di senso.
Non so quale sia il risultato: per chi scrive, in un lontano remoto, era miserevole.
Le scelte ripetute di rottura e di estrazione dalla ritualità hanno, nel tempo, svelato la natura del tentativo bulimico, la sua illusorietà, la sua vacuità.

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Quel che è trasmissibile nella via spirituale

In un cammino interiore non puoi trasmettere il sentire: è il frutto del lungo processo esistenziale del conoscere-divenire consapevoli-comprendere.
Può capitarti di condividere un sentire, di vibrare all’unisono con un sentire di ampiezza prossima alla tua, questo può accadere.
Puoi trasmettere un sapere, una visione, un paradigma: gli strumenti per affrontare sè e la vita. Questo è possibile.

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odio-amore

La radice dell’odio

E’ nell’ingiustizia, nella sopraffazione, nelle condizioni culturali e sociali l’origine dell’odio che sparge il sangue di molti su tutto il pianeta?
Non credo, questi sono fattori che possono generare frustrazione interiore e necessità di ribellione, di giustizia, di cambiamenti anche caotici e violenti, ma l’odio è un’altra cosa, un’altra esperienza.

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incontro

Il dialogo umano, religioso e spirituale

Dice Enzo Bianchi nell’articolo pubblicato da Avvenire il 28 aprile riguardo al dialogo tra credenti e con i non credenti: ” Il dialogo dunque va praticato come via di costruzione di un mondo che crede alla forza della parola e rifiuta di affidarsi alla parola della forza.”
E’ un’affermazione più che condivisibile: dialogare, incontrare il punto di vista dell’altro, proporre il proprio, non stancarsi di esserci e di disporsi, tutto questo è il fondamento del rispetto, della pace, del dispiegarsi delle possibilità.
E’ sufficiente a creare una comunicazione autentica? No, a mio parere.
Quando una comunicazione è autentica? Quando coinvolge tutti i livelli dell’essere: l’ambito delle sensazioni, delle emozioni, del pensiero, del sentire di coscienza.
Nell’interezza dell’essere, la comunicazione diviene comunione d’essere.
Spesso, non sempre, il dialogo religioso e spirituale è dialogo tra le menti: confronto su esperienze, su visioni, su prospettive, su problematiche.
Spesso non c’è tempo, o disponibilità per andare oltre concedendosi ad una esperienza più vasta che apra sulla possibilità di una comunicazione/comunione.
Quali condizioni sarebbero necessarie? Darsi tempo, condividere giorni, vita ordinaria, prossimità. Permettersi esperienze comuni, tempi di silenzio, di fare e di stare.
Dilatare l’incontro oltre il confronto, farlo divenire il gesto di impastare delle vite: allora la preponderanza dell’elemento cognitivo lascerà, pian piano, il posto all’incontro dei sentire, all’incontro delle coscienze che in sé contiene gli aspetti emozionali e cognitivi, senza che questi prevalgano a discapito dell’unitarietà dell’esperire.
A noi sembra che il dialogo umano, religioso, spirituale autentico avvenga quando i dialoganti sono capaci di andare oltre le proprie identità e le proprie menti, per incontrarsi ad un livello più profondo dove l’io/tu viene superato e lascia lo spazio al noi che dichiara l’essere piuttosto che l’esserci.

Immagine da http://goo.gl/kOh0GO

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discernimento

“Segui il tuo sentire!”

Quello riportato nel titolo è uno dei consigli più usati e più abusati, scodellato indistintamente a persone con una elevata capacità di discernimento, come a persone che nel discernimento difettano palesemente.
In sé l’affermazione è ineccepibile: l’umano dovrebbe seguire il proprio sentire di coscienza, senza sosta dovrebbe affidarsi alla parte più profonda di sé e su essa confidare.
Domanda: quanta è la capacità dei singoli di ascoltare e discernere chiaramente e consapevolmente l’indicazione esistenziale che sorge dal sentire?
Non molto alta, spesso decisamente bassa a mio parere. Le persone seguono a volte i loro istinti primari, altre le proprie sensazioni ed emozioni, altre quello che dice la loro mente: tutto questo ha relazione con il sentire, a volte lo esprime, altre lo vela o, addirittura, lo ottunde.
Allora, come si ascolta e decodifica il sentire che affiora dalla coscienza?
1- Facendo spazio dentro di sé: lasciando che sensazioni, emozioni, pensieri non occupino tutto lo spazio della consapevolezza;
2- disponendosi ad osservare, ascoltare, accogliere ciò che emerge dal silenzio di sé, da quegli spazi che si aprono tra pensiero e pensiero, tra pensiero ed emozione;
3- distaccandosi dall’identificazione con i propri vissuti, con i propri processi, con i propri dolori;
4- dubitando radicalmente di ciò che la propria mente dice e della lettura che diamo della realtà con la quale siamo identificati;
5- dandoci tempo, non prendendo decisioni affrettate, non obbedendo a degli impulsi;
6- osservando i propri comportamenti e abituandosi a leggerli nel loro portato simbolico;
7- analizzando i propri sogni e, con tutte le prudenze del caso, interpretandone il significato simbolico relativo ai processi dell’identità come a quelli della coscienza;
8- chiedendo consiglio, facendosi accompagnare, se necessario;
9 – osservando la realtà che ci accade nel quotidiano, in famiglia, sul lavoro: ogni fatto parla di noi e ci svela nei nostri meccanismi e nelle nostre sfide esistenziali.
Alla luce di questa consapevolezza diffusa di sé, di questo sguardo profondo sui processi, la capacità di ascolto del proprio sentire sarà divenuta sufficientemente nitida da permetterci di operare un discernimento sensato e delle scelte ponderate alla luce del reale e di ciò che esistenzialmente è bene per noi.


Immagine da http://goo.gl/TWZ7oZ

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