Che cosa può allontanarti dalla realtà? Da quel risiedere stabile, privo di dubbio, neutrale?
Fondamentalmente, il credere di esserne parte; l’adesione al pensiero che afferma: esisto e partecipo della realtà degli esistenti.
sentire
L’attore, il regista, l’osservatore
Ho sempre pensato, letto e convenuto che la vita non fosse altro che un sogno, o un film, se si preferisce la metafora. Nel tempo tasselli di comprensione si sono via via costituiti e quel sapere è diventato un’evidenza.
Vivo come un sognatore consapevole, o come un attore sulla scena, vedendo simultaneamente l’attore ed il regista.
Chi sono io?
Veronica ci manda questa metafora che ci serve da stimolo per precisare qualcosa:
Chi sono io?
Chiese un giorno un giovane a un aziano. Sei quello che pensi, rispose l’anziano, te lo spiego con una piccola storia:
Un giorno, dalle mura di una città, verso il tramonto si videro sulla linea dell’orizzonte due persone che si abbracciavano.
“Sono una papà e una mamma” pensò una bambina innocente.
Vivere è sperimentare il non compreso
Comunemente affermiamo che vivere è manifestare ciò che si è, la propria natura profonda.
E’ una banalità.
La necessità di creare pensiero
Una discussione sulla condivisione e comunicazione nel web.
Da Luciana:” Non sono completamente d’accordo. Io sono una che posta molte citazioni, ma nel farlo già parlo di me e del mio vissuto. Le citazioni che posto mi rappresentano, sono sentite e non sono predicozzi ad altri; credo che al contrario facciano bene e possano stimolare altri a ricercare e riflettere.
Come vive il sentire la sua esperienza
Una guida del Cerchio Ifior parla della vita interna al sentire (corpo della coscienza) descrivendone le dinamiche, i processi, le reazioni di fronte alle difficoltà.
Scifo, Cerchio Ifior, Dall’Uno ai molti, vol1.
La manifestazione della propria umanità: il diritto a manifestarsi
Nell’inverno del 2009-2010 abbiamo fatto un percorso con un gruppo di artisti ed educatori con lo scopo di gettare le basi di una pratica educativa che integrasse tutti gli elementi costitutivi dell’essere umano: fisico, emotivo, cognitivo, spirituale.
Grazie alla disponibilità di Laura Viezzoli tutti gli incontri sono stati filmati: negli undici brani di seguito riportati si possono trovare i passaggi più importanti dei primi due incontri. Il materiale di altri tre incontri verrà selezionato e pubblicato in futuro.
1- Preparazione
Ogni volta che iniziamo un’esperienza, ogni volta che incontriamo l’altro nella forma di un gruppo, chi guida è sempre in tensione.
Noi siamo un organismo composto da tante cellule. Chi guida è come se fosse il terminale di queste cellule, è come se con il suo sentire di coscienza le tenesse allineate.
All’inizio bisogna creare una condizione in cui chi è condotto sia flessibile.
Ciò che voi potete fare è abbandonarvi, diventare fluidi, concavi.
Ci sarà tra di noi uno scambio sulla base di un sentire più vasto, qualcosa che trascende l’ego e l’identità.
Il nostro fine è che la persona possa vivere la propria personalità formata, o in formazione, e nel frattempo consapevolmente trascenderla.
Si conosce con il corpo, con l’emozione e con la mente, si comprende con la coscienza.
Quando dai nostri corpi è stata fatta l’esperienza, i risultati si iscrivono nella coscienza, e quando questo avviene è per sempre. Il nostro compito è fare in modo che le persone con cui entriamo in relazione possono vivere compiutamente la propria fisicità, emotività, cognitività, ma anche il proprio sentire di coscienza.
Al centro c’è la coscienza, il sentire.
Voi potrete essere di qualche aiuto a qualcuno se vivete innanzitutto dentro di voi la dimensione della coscienza, se i vostri pensieri, emozioni e intenzioni, sono guidati dalla coscienza.
2- I 3 diritti: diritto a manifestarsi/diritto a essere riconosciuti/diritto a trascendere.
Diritto a manifestarsi.
Arriva una persona da noi, con una domanda esistenziale. Chi è questa persona? Cosa chiede a se stessa, alla vita? Cosa deve imparare e cosa deve trascendere e noi come possiamo aiutarla se possiamo farlo?
Capacità in un gruppo di vedere e riconoscere il singolo individuo.
La persona che si presenta a noi è innanzitutto coscienza, che si manifesta in un corpo, con delle emozioni e dei pensieri.
Inchinarsi di fronte all’altro e al suo mistero.
Trasformazione dell’altro e di noi stessi.
Se osservo più in profondità, entro in un ascolto più profondo di te.
Quello che vediamo manifestato nella forma come pensiero, emozione, azione, non è altro che emanazione della coscienza.
L’incontro con l’altro è il miracolo dell’incontro con la coscienza, se abbiamo chiaro questo, troveremo la via per costruire una relazione che agevoli il percorso di trasformazione dell’altro e di noi stessi.
3- Oltre gli schemi e le etichette
Mente/emozioni/corpo/ costituiscono l’Ego. L’ego è il veicolo della coscienza, la nostra identità.
L’altro è sempre un mistero. Non sappiamo quasi nulla dell’altro che giunge a noi.
Alla domanda: “Chi sei tu?”, abbiamo spesso la pretesa di dare una risposta e di definire l’altro, sulla base dei nostri schemi.
Assembliamo elementi di conoscenza relativamente alla nostra interpretazione, che è sempre soggettiva.
Se non lo riconduciamo a nessuno schema, l’incontro con l’altro sarà basato sempre sul rispetto.
“Ti conduco da qualche parte, come tu mi conduci da qualche parte”.
L’incontro con l’altro è la possibilità di conoscere noi stessi.
4- Da ego ad amore
I veicoli sono plasmati dalla coscienza e tramite essi, la coscienza apprende e si misura.
C’è un filo che è comune a tutte le vite. Tutte le individualità vanno dalla edificazione della propria egoità alla trascendenza. Il percorso è da ego ad amore
Se mi dimentico di me appare l’altro al mio sguardo.
In che cosa posso esserti utile? Semmai potessi esserti utile, sono qui. Qual è la tua necessità?
L’altro si sta trasformando, come noi.
Per sapere dov’è l’altro, è necessario sapere dove siamo noi.
Non lo sapremo mai, ma possiamo avere alcuni elementi per indagarci.
L’ ego è una emanazione della coscienza. Osservando l’ego capisco cosa la coscienza sta proponendo.
5- Coscienza come film a puntate
Cosa si intende per coscienza?
La coscienza si sviluppa come in un film a puntate e ad ogni puntata faccio un passo; più la persona vive le diverse puntate, più fa esperienza.
Si passa dall’egoità primaria alla dimensione dell’amore, dove mi dimentico di me per chiedere “ di cosa hai bisogno tu?”.
Un bambino nasce con il corpo fisico, ma gli altri corpi sono da strutturare. Nel primo settennio si struttura il corpo emotivo (che si dispiega nel secondo), nel secondo il mentale (che si dispiega nel terzo) e nel terzo la coscienza(che dal 21° anno è “allacciata” ai suoi corpi inferiori).
Le esperienze vengono registrate nella coscienza, la quale diventa sempre più complessa e si costituisce come il corpo fisico e come tutti i corpi.
Questo percorso non lo si può fare in una sola vita, ma in tante vite, cioè in tanti film e ogni volta con una nuova rappresentazione. L’ego è una rappresentazione.
L’altro si può comprendere solo se ci è chiaro che lui/lei è coscienza.
Tu chi sei? Questa tua rappresentazione di che cosa mi parla? A che punto sei? Cosa posso fare per te?
Questo è il miracolo di accompagnare qualcuno, essere compagno di viaggio.
Il miracolo dell’educatore dev’essere visto alla luce di questa consapevolezza altrimenti siamo ciechi che accompagnano ciechi.
6- Scomparire e specchiarsi
Necessità di fondare meglio la propria identità e risolvere alcune affermazioni attorno a se stessi.
La maggior parte delle persone ha qualcosa da risolvere sul piano dell’identità.
L’altro specchia te e tu specchi l’altro.
Risuonare in un ambiente
Quando l’altro si presenta , il primo elemento è l’osservazione.
Si osserva perché dentro di noi c’è una concavità che dice “so che tu sei un mistero”.
L’umiltà di colui che osserva senza nessuna presunzione.
Se “il pifferaio magico” si dispone all’ascolto tutto l’organismo è permeato di ascolto.
Tutto fluisce più liberamente quanto più basso è il condizionamento egoico.
Se c’è troppa aspettativa e giudizio, non può esserci una sana accettazione di sé.
Se incontri qualcuno che ti lascia, impari a lavorare sull’abbandono.
L’importanza di non fuggire dalla vita,
Nella disperazione l’uomo precipita e poi nel fondo intravede una luce, una possibilità che anche se non la vedeva, c’era anche prima.
L’incontro con l’altro è la possibilità di conoscere noi stessi.
7- L’ambiente è fatto dal pifferaio, dall’organismo e da tante piccole cose.
Quando si entra in un ambiente si entra dentro un sentire di coscienza perché tutto parla del sentire di coscienza.
E’ fondamentale che lo stato emotivo di chi guida un gruppo sia quieto, che l’ambiente cognitivo sia fluido; ed è fondamentale che chi guida sappia cosa vuol dire risuonare sul piano della coscienza e non sul piano dell’ego.
Quando risediamo nel sentire di coscienza siamo in una neutralità, non c’è paura e condizionamento, ma il libero fluire della parola e del gesto di quel momento.
Viene per intuizione: l’intuizione è un affluire di una chiarezza in un istante.
A volte diciamo che quando l’ambiente non è favorevole tutto diventa più complesso, ed è vero in parte. L’ambiente complesso ci può far trovare le risposte dentro di noi.
La domanda di base è: “Come posso stare dentro di me?”
Il fare non è un problema quando c’è un giusto sentire. Quando si è in contatto con il proprio sentire si comprende di cosa l’altro ha bisogno. Se il nostro sentire risuona ad un certo livello possiamo condurci anche l’altro, se quel sentire gli appartiene.
La nostra logica non è quella del fare ma dell’essere.
Colui che indossa le vesti dell’educatore deve aver fatto esperienza della vita.
Non si tratta di condividere tecniche ma un sentire comune che utilizza varie modalità.
La relazione e tra un sentire e un altro sentire.
Per liberare un sentire dev’esserci un ego sufficientemente strutturato e fluido.
8- Giudizi e aspettative
L’ educatore come si può proporre all’altro sapendo che questo ha un’aspettativa?
L’altro ha sempre un’aspettativa e un giudizio su di noi. Si sta aspettando qualcosa da noi, ma prima sta giudicando se stesso e si aspetta qualcosa da se stesso.
Giudizio e aspettativa sono tra le catene principali dell’ego. L’altro spesso dice: “Non sono adeguato” e va a monitorare se tu sei adeguato.
E’ fondamentale che l’educatore sia oltre il giudizio e l’aspettativa: un educatore può accompagnare l’altro se ha visto come tutto ciò opera dentro di sé.
L’educatore è colui che dice: “Riconosco alcuni elementi, pian piano ti aiuterò a sciogliere quegli elementi che ti imprigionano, se e come mi sarà possibile farlo”
9- La danza dell’educare
L’organismo danza.
Nei gruppi e nelle classi, le persone e i bambini sono estremamente ricettivi e insieme si può creare una danza.
L’ego non come problema ma come rappresentazione
Nella via spirituale spesso l’ego è stato un problema. E’ necessario andare oltre questo schema.
L’ego è espressione di qualcosa che sta accadendo dentro di te, che dev’essere compreso e si manifesta come conflitto, resistenza.
L’ego non è in contrapposizione allo spirito ma è la manifestazione dello spirito.
L’ego è lo strumento per arrivare al costituirsi di una coscienza sempre più ampia.
Perché ci sia evoluzione c’è bisogno di ego, di rappresentazione e manifestazione.
L’ego è una rappresentazione della coscienza.
Osservando le dinamiche dell’ego possiamo capire tanto su di noi. Se vediamo le nostre paure, egoismi, chiusure, capiamo ciò che la nostra coscienza deve apprendere e su cosa si sta misurando.
Quindi l’ego non è un nemico, ma l’espressione di una personalità.
10- Spesso nei confronti degli altri non ci sentiamo adeguati.
Non siamo adeguati rispetto a che cosa?
Chi afferma che non è adeguato?
Perché si esprime su di sé un giudizio di non adeguatezza? Vorremmo essere ciò che non siamo.
Come si forma un ego? Con l’esperienza. E chi ci porta nell’esperienza? Chi è il regista? La coscienza ci porta nell’esperienza e poi l’esperienza torna alla coscienza. C’è un impulso di avvio e uno di ritorno. Noi cerchiamo le esperienze di cui la coscienza ha bisogno.
L’interpretazione dell’esperienza deriva dai nostri corpi ma anche dal sentire di coscienza.
Più il sentire di coscienza è vasto più l’interpretazione è vasta e viceversa.
Non sappiamo quando il percorso è finito, ma sappiamo che c’è un cantiere aperto e lo vediamo quando la vita ogni giorno ci mette di fronte le sue possibilità.
Se noi lo sappiamo possiamo vedere non degli ostacoli, ma delle opportunità.
11- Buttarsi a capofitto nella vita. Ogni stagione della vita è un’opportunità.
Ogni difficoltà ci modella. Qualsiasi ostacolo o paura è li per essere superato ed è alla nostra portata.
L’ego a volte ci fa credere che non è possibile superare l’ostacolo ma l’essere umano è in grado di affrontare e superare situazioni molto dolorose.
Mente/emozioni/corpo costituiscono l’Ego. L’ego è il veicolo della coscienza, la nostra identità.
La comprensione è quindi limitata se ci fermiamo a ciò che appare.
L’altro è sempre un mistero. Non sappiamo quasi nulla dell’altro che giunge a noi.
Alla domanda: “Chi sei tu?”, abbiamo spesso la pretesa di dare una risposta e di definire l’altro, in base ai nostri schemi.
Assembliamo elementi di conoscenza relativamente alla nostra interpretazione, che è sempre soggettiva.
Se non lo riconduciamo a nessuno schema, l’incontro con l’altro sarà basato sempre sul rispetto.
“Ti conduco da qualche parte, come tu mi conduci da qualche parte”.
Il sentire
Tratto dal volume 5 de: “L’Uno e i molti” pagg. 230-234, Cerchio Ifior
Il sentire, figli e fratelli, non è qualche cosa come voi potete immaginare che “diventa”, il sentire è qualche cosa che è, attimo per attimo, uguale a se stesso. Certamente alle parole dei Maestri voi avete l’impressione che il sentire sia un divenire, ma ricordate che fate parte del teatro delle ombre e che tutto ciò che vivete è un’illusione, e anche quest’impressione che il vostro sentire si accresca sempre di più appartiene anch’essa al mondo delle illusioni poiché il sentire, il vero sentire, non diviene ma è. Ananda
Come è difficile a questo punto riuscire veramente a comprendere quello che è il mio sentire, fratelli! Se tutto ciò che io vivo, tutto ciò che compio come esperienza è davvero illusione, allora anche il sentire che io manifesto o che penso di manifestare nel corso della vita è illusione…e questo concetto difficilmente riesco veramente a comprenderlo. Billy
Il fatto che il sentire non divenga ma sia, significa che in realtà voi avete già raggiunto tutto il massimo sentire che voi potreste raggiungere. E’ soltanto la vostra percezione, la vostra immedesimazione negli attori del teatro delle ombre che vi crea l’illusione di essere in movimento e di manifestare ora una, ora un’altra porzione di sentire.Questo, alla fine, è il compito più difficile che noi abbiamo, compito che cercheremo di perseguire nei cicli che verranno, quello di farvi veramente comprendere non soltanto con la mente, non soltanto a parole, che l’illusione la vivete veramente in tutti i momenti delle vostre vite: voi – e questo dovete arrivare a comprenderlo fino in fondo – siete già infinitamente migliori, più grandi, più pieni d’amore di come adesso vi sembri di essere; e questo non può essere che un motivo di conforto, di speranza e di certezza per tutti coloro che riescono ad afferrare e far propria la realtà e la profondità di questa verità.
All’interno della favola che avete esaminato questa sera c’è un unico personaggio che ha abbracciato il suo sentire e giustamente, creature, lo avete individuato anche voi indicandolo come l’anziano marito della donna malata. (1)
Oh, quante parole avete usato nel corso della discussione!, eppure, miei cari, ancora una volta c’è qualche cosa che non avete notato, qualcosa che nell’infinita sottigliezza del fratello Ananda vi è sfuggito. Certamente quell’uomo, quell’anziano tremante, ha raggiunto la pienezza del suo sentire e lo dimostra il fatto che spontaneamente egli è come è, ed è a un punto tale che il suo amore abbraccia il sentire dell’altra persona, si immedesima in essa e compie quell’atto consapevole che tutti gli altri, distratti dalle attrazioni dell’illusione circostante, compivano in modo approssimativo o sbadato, egoistico, prendendo cioè il chicco d’uva per la sua compagna.
Ma è qua che si manifesta il vero sentire, che va oltre quel sentire così come voi lo concepite solitamente, poiché colui che veramente ha raggiunto il sentire, certo, agisce spontaneamente come voi dicevate però il suo sentire diventa a misura dell’altro; e dover diventare a misura dell’altro significa che questa spontaneità deve essere indirizzata in modo tale che il proprio sentire, la propria spontaneità servano d’aiuto all’altra persona; altrimenti sempre e comunque l’uomo veramente evoluto non farebbe altro che dare e donare agli altri. Cosa è che si nota in quelle poche parole che descrivono l’immagine di Ananda?
Dopo aver preso il chicco d’uva l’uomo si ferma un attimo, una frazione di secondo; in quella frazione di secondo egli compie un adeguamento al suo sentire, alle necessità del sentire dell’altro, e la necessità del sentire dell’altro è tale per cui il suo sentire gli dice che egli deve si dar mostra alla persona amata ma anche a tutti gli altri che sono attorno che un atto d’amore è facile compierlo anche soltanto dando un chicco d’uva, tuttavia l’insegnamento non può fermarsi a questo punto ma deve andare oltre e deve mostrare alla compagna che richiede con egoismo che egli certamente va incontro ai suoi desideri, e non soltanto, ma fa più di quanto essa richieda in modo tale che, sbucciando il chicco d’uva e togliendone i semi, la donna noti questo atto, si renda conto che le è stato dato più di quanto ha chiesto e in quel momento abbia la possibilità di meditare più a lungo e con maggiore attenzione su se stessa.
Riuscite a capire il concetto? Ecco quindi che il Maestro come dicevate voi non sempre soltanto può dare la carezza o la gioia, ma il suo comportamento nei confronti di chi ancora deve crescere è tale che il suo sentire, rivolgendosi verso l’altro, percepisce quali sono i suoi bisogni evolutivi e di crescita, e quindi agisca in conformazione a ciò di cui l’altro ha bisogno, che non è quello che l’altro chiede!
Quasi mai voi chiedete ciò di cui avete veramente bisogno, troppe maschere vi mettete per farlo! Molto spesso avete bisogno di una parola dura, molto spesso avete bisogno di un attimo di sofferenza per fermarvi ed osservare con attenzione ciò che state facendo, dicendo e compiendo, ed ecco allora che il Maestro anche in questi casi, come atto d’amore vi darà ciò che veramente dovreste richiedere. Scifo
Riportiamo il testo della favola di Ananda oggetto della discussione di cui si parla:
Favola del chicco d’uva
Un giorno Krsna suonò lo zufolo per chiamare i suoi servitori affinchè gli eseguissero un compito particolare, ma il suono restò senza risposta perché tutti i suoi servitori erano già lontani per agire secondo i suoi desideri.
Ritenne allora che era giunto il momento di ammettere un altro essere umano tra i suoi deva e si informò, allora, di quali fossero le persone più piene di amore sulla terra. Gli vennero consigliati un fratello e una sorella che vivevano assieme al vecchissimo padre e alla vecchia madre, bisbetica e gravemente malata di stomaco e i quali, tuttavia, mostravano a tutti la loro grande pazienza e il loro grande amore nei confronti dei genitori.
Sorridendo, Krsna suonò tre volte lo zufolo e al terzo suono egli ebbe l’aspetto di un ricco zio dei due fratello che viveva in terre lontane e che da molti anni non vedevano. Suonò lo zufolo ancora tre volte e al terzo suono fu davanti l’uscio della casa dei due fratelli, a cui bussò. Il fratello maschio gli venne ad aprire e, riconosciutolo, gli fece grandi feste, facendolo entrare nella casa e chiamando a gran voce la sorella. Finito il momento delle reciproche felicitazioni si sedettero a parlare nella stessa stanza in cui il vecchio padre stava seduto, quieto, su di una seggiola, accanto al letto dove la madre giaceva.
Krsna cominciò a narrare delle terre che aveva, dei suoi possedimenti, delle sue mandrie e i due fratelli ascoltavano rapiti dalla descrizione di tali meraviglie. “Ho sete, figli miei, ho sete… oh, quanta sete che ho, datemi un bicchiere d’acqua – incominciò a lamentarsi la vecchia in modo petulante – non ne posso più, ah che sete!”.
Krsna intanto spiegava le stoffe meravigliose che le sue lavoranti producevano intessendo le fibre più pregiate e dai colori più delicati. “Quanta sete che ho – continuava intanto la vecchia – datemi un bicchiere d’acqua prima che io muoia, un po’ d’acqua, un po’ d’acqua…”.
Il figlio prese la caraffa posata sul tavolo, riempì un bicchiere e, attento a quanto continuava a raccontare Krsna, diede il bicchiere alla vecchia madre.
“Figlio mio, ho detto acqua, non vino! Dammi l’acqua, il vino non posso berlo!” si lamentò la vecchia, e continuò su quel tono fino a quando non ebbe il bicchiere d’acqua.
Krsna descrisse la sua casa dalle mille meraviglie e dal grande parco fiorito.
“Un chicco d’uva – riprese la vecchia – prima di morire vorrei un chicco d’uva, un bel chicco d’uva dolce!” e, intanto, Krsna descriveva le fontane aggraziate, le vesti eleganti delle sue figlie, e le statue e.. “Non chiedo altro un chicco d’uva, figli miei, – strepitava la vecchia – non è poi molto, un chicco d’uva! La figlia prese il cesto dell’uva che era sul tavolo e lo appoggiò ai piedi della vecchia, sul letto, ritornando poi accanto a Krsna che continuava a raccontare. “Ma è lontana – si lamentò la vecchia – non ci arrivo, il chicco d’uva dolce è troppo lontano.. insisteva con voce robusta e capricciosa.
“Insomma, basta che allunghi la mano e la puoi prendere!” esclamò la figlia senza distogliere lo sguardo e l’ascolto dallo zio affascinante.
Il vecchio padre, lento lento e tremolante, si alzò dalla sedia e, piano piano, si avvicinò al cesto d’uva. Da un grappolo staccò un chicco e avvicinò la mano tremante verso il viso della moglie. Poi la sua mano esitò, si fermò e tornò indietro. Con le dita malsicure e incespicanti il vecchio tolse la buccia al chicco d’uva, gli tolse i semi poi lo mise tra le labbra della moglie.
Krsna suonò lo zufolo e il tempo si fermò. Guardò i quattro esseri umani immobili nella stanza maliziosamente.
Suonò una prima volta lo zufolo e il figlio divenne cieco ad entrambi gli occhi. Suonò una seconda volta lo zufolo e la figlia ebbe le mani rattrappite per sempre. Suonò una terza volta lo zufolo e la vecchia, pur restando gravemente malata, ebbe altri trent’anni di vita. Suonò una quarta volta e il vecchio ritornò giovane ed ebbe l’immortalità.
Poi Krsna lo prese per mano e lo condusse con sé, beneamato tra i suoi servitori. Ananda