Ai termini “oratio” e “preghiera”, preferisco quello di “relazione interiore” molto meno connotato in senso discorsivo, meno legato alla parola e al parlare.
L’oratio continua, la relazione interiore permanente, è l’orizzonte del monaco dalla notte del tempo e, ad oggi, è l’esperienza di chi lascia emergere la vastissima area dell’esistere oltre sé.
Non emerge una parola, non solo e non necessariamente, comunque: emerge un sentire, uno stato d’essere, una connessione, una fusione, un risiedere.
Emerge come silenzio carico d’Essere.
sentire
Reincarnazione ed evoluzione del comprendere e del sentire
Reincarnazione. Dizionario del Cerchio Ifior
Un concetto cardine dell’insegnamento delle Guide è il concetto di reincarnazione: l’essere umano non compie il suo ciclo evolutivo nel corso di una sola vita, ma abbisogna di immergersi a più riprese nel mondo fisico per poter arrivare a comprendere e, di conseguenza, ad aumentare, fino al suo completamento, quello che è il suo sentire, ovvero la sua coscienza.
Messaggio esemplificativo (1)
Ogni volta che abbiamo iniziato questo discorso abbiamo notato che in chi ascoltava le nostre parole veniva innescata la curiosità di conoscere e di sapere quali erano state le loro esperienze nel corso delle vite precedenti; da sempre abbiamo ritenuto giusto non parlarvi di queste cose perché pensiamo che il sapere che cosa si è stati non serva assolutamente a nulla, infatti il conoscerlo può appagare certamente la curiosità del momento, ma non può senz’altro arricchire interiormente l’individuo che ne viene a conoscenza, e lo scopo principale del nostro parlare è proprio quello di far crescere interiormente l’individuo.
È nostra intenzione, quindi, iniziare il discorso della reincarnazione da un punto di vista più «filosofico», se così vogliamo dire; che cosa intendiamo noi quando usiamo il termine «reincarnazione»?
Con questo termine noi intendiamo la nascita e la rinascita di una stessa individualità in vari ambienti, in epoche diverse, in momenti diversi. Nascite diverse che portano quello stesso individuo alla crescita interiore, ad una maggiore conoscenza, ad una maggiore apertura verso il mondo spirituale.
Val la pena ricordare per apprendere quello che vogliamo dirvi che l’individualità, l’individuo, colui cioè che si incarna, fin dalla sua prima incarnazione (e quindi già nel mondo minerale) porta con sé tutti gli attributi divini dei quali però non ha coscienza. Le reincarnazioni servono appunto all’individuo per prendere coscienza di questa propria divinità interiore: ecco il vero significato della reincarnazione.
La vostra religione, quella ufficiale, invece e purtroppo, ritiene che la reincarnazione non esista in questi termini, tutt’al più la si può trovare in qualche sporadico caso e magari «in via del tutto eccezionale»; inoltre, ritiene che ogni individuo abbia la possibilità di «salvare la propria anima» nel corso di una sola esistenza.
Io voglio dire, soprattutto a coloro che da più tempo seguono i nostri insegnamenti, che secondo noi, invece, in una sola vita l’individuo, nella migliore delle ipotesi, può raggiungere la consapevolezza di uno solo di quegli attributi divini che fanno parte di lui. Ho detto nella migliore delle ipotesi poiché, molto spesso, soprattutto all’inizio del cammino evolutivo, occorrono vite e vite prima di riuscire a mettersi in contatto con uno solo degli attributi divini, occorrono molte esperienze per scoprire, tanto per fare un esempio, e comprendere totalmente il vero significato del concetto di amicizia.
Quindi, vedete, se per comprendere soltanto un concetto così semplice non è sufficiente una vita, immaginate da soli quante incarnazioni siano necessarie prima di riuscire a superare il proprio egoismo! Fabius
Una delle domande che si pone spesso chi medita sulla reincarnazione è il perché del reincarnarsi in epoche, in paesi, in ambienti diversi di volta in volta; naturalmente questo non accade a caso o soltanto per necessità temporali e via dicendo. Ma questo rientra in un piano di evoluzione ben prestabilito in quanto un individuo, l’individualità che compie il suo cammino evolutivo incarnandosi più volte sul piano fisico, deve trovare ogni volta l’ambiente adatto a quello che deve sperimentare, alle esperienze che deve fare, ecco quindi che si può considerare che l’evoluzione di un individuo va in qualche modo di pari passo con quella che è l’evoluzione generale della società: infatti le prime incarnazioni di ogni individuo avvengono sempre presso razze, presso popoli che sono a livello culturale e societario molto primitivo, questo perché all’inizio dell’evoluzione le cose da comprendere da parte dell’individuo sono quelle più semplici, quelle basilari, ovvero deve arrivare a comprendere ad esempio che vi deve essere un senso di amicizia, di amicizia tribale con gli altri fratelli che vivono accanto a lui, deve arrivare a comprendere che se si fanno i figli, questi figli devono necessariamente da lui essere protetti, aiutati e sfamati e via dicendo.
Un’altra cosa è il cammino evolutivo dell’individuo. Poi allorché egli ha assimilato questi concetti basilari, ha necessità di sperimentare cose sempre più sottili, più rarefatte, più imprecisate, delle sfumature e concetti che in popolazioni primitive naturalmente potrebbe avere soltanto con difficoltà la possibilità di sperimentare; ecco che, allora, le reincarnazioni successive arriveranno in epoche successive, quando le mentalità del popolo presente sono cambiate, sono migliorate, sono più civilizzate – tra virgolette naturalmente – e offrono quindi nuovi stimoli, nuove condizioni, nuove sfumature più adatte a quella che deve essere la sua nuova comprensione, il suo nuovo tentativo di comprendere queste sfumature.
Vi è, quindi, una sorta di procedere di pari passo tra l’evoluzione dell’individuo e l’evoluzione di tutta la razza che si sta incarnando; naturalmente questo è un discorso solamente accennato, ma potete immaginare che un concetto di questo tipo avrebbe bisogno di spiegazioni molto grandi, molto complesse, tanto che si potrebbe affermare che ogni singolo cammino evolutivo di un individuo può essere un caso a sé stante e formare quindi il tema per una intera serie di incontri di discussione.
Un altro tipo di problema che di solito ci si pone è quante incarnazioni l’individuo abbia nel corso della sua evoluzione e di quanto queste incarnazioni siano intervallate temporalmente tra di loro. Bene, soffermiamoci a considerare come incarnazioni solamente quelle compiute nel corpo umano perché altrimenti andremmo troppo oltre col discorso. Possiamo dire che le incarnazioni che un individuo ha come essere umano prima di terminare il suo ciclo di nascite e di morti sono diverse centinaia. Forse questa è una cosa che non tutti riescono a comprendere: difatti se parlate con persone che pure dicono di credere alla reincarnazione e che pensano di sapere qualcosa delle loro vite passate, queste persone solitamente si limitano ad affermare di essere, che so io, delle entità che è tantissimo che si incarnano e devono avere avuto ben sette, otto, nove, dieci incarnazioni.
Bene, questo ragionamento è veramente assurdo perché in realtà ognuno di voi, ad esempio voi che siete qui presenti, siete di media evoluzione, ha alle spalle numerose vite, vissute in epoche diverse, in paesi diversi, con sessi differenti e con situazioni differenti. Questo perché specialmente all’inizio dell’incarnazione tutte le incarnazioni si succedono con molta frequenza; questo accade perché all’inizio l’individuo ha necessità di compiere il maggior numero di esperienze possibile e siccome sono tutte esperienze molto semplici, facilmente assimilabili, l’intervallo tra una vita e l’altra tende a essere ridotto.
La morale personale e il sentire che evolve
Se avette tempo, leggete quello che il Cerchio Ifior dice sulla morale.
L’esperienza dell’evoluzione del sentire è plastica, concreta, quasi fisica direi: si inscrive nei comportamenti quotidiani, nei pensieri che attraversano la mente, nella qualità e quantità delle emozioni, nelle relazioni soprattutto.
È nel rapporto con l’altro che tutto si palesa e si evidenzia: i passi compiuti e quelli da compiere, sono sotto i nostri occhi quando l’altro bussa con il suo essere, i suoi bisogni, le sue richieste, le sue paure.
Misticismo, religione, sentire
Misticismo, religione, sentire. Dizionario del Cerchio Ifior
Secondo le Guide il misticismo è uno stato di coscienza, «è», semplicemente, senza un perché e senza un percome.
Proprio per questo motivo risulta difficile definirlo con precisione. Certamente non è, per forza di cose, il parlare con aria ispirata di Dio, della Madonna, dei Santi e via dicendo: troppo spesso si sente qualcuno definirsi tendente al misticismo perché è (o si ritiene) molto religioso.
A ben vedere il misticismo con la religione non ha necessariamente un legame di qualche tipo, è più avvicinabile al senso di religiosità che l’individuo sente in sé (aldilà di qualsiasi etichetta religiosa di qualsivoglia tipo) nel momento in cui sente fluire dentro di sé l’essenza del divino.
Messaggio esemplificativo (1)
Le religioni sono molte sul vostro pianeta. Sono state molte e restano ancora molte oggi. Il Cristianesimo indubbiamente è una delle religioni più dolci che siano esistite, una delle religioni più belle, con gli insegnamenti più facili da comprendere da chiunque, proprio perché esposti, all’origine, in una forma adatta alla semplice cultura delle persone che ascoltavano. Ed è bello per questa sua semplicità. Purtroppo, ahimè, si è trasformata col tempo in una religione che di semplice non ha più nulla. Non soltanto, ma il pastore di pecore è diventato col tempo un guerriero di Dio. Avete mai pensato a questo, creature? La religione cattolica ha fatto diventare l’insegnamento di pace, di fratellanza e di amore universale qualcosa che mette, invece, in mano ai suoi fedeli delle armi per combattere, per combattere gli altri, le religioni dissidenti, per combattere (che so io) anche soltanto Satana, questa ipotetica figura che, una volta ogni tanto, in qualche mente senile, per essere gentili, si ripresenta all’umanità.
Voi direte: ci sono problemi e difetti anche nelle altre religioni! Certamente, questo è fuor di ogni dubbio. Tuttavia le altre religioni hanno un pregio che la religione cristiana attuale non è riuscita a mantenere, ovvero la semplicità. Pensate alle altre religioni che esistono, quelle quanto meno di un certo valore spirituale, e vedrete che nei secoli e nei millenni sono rimaste costanti nel loro presentarsi al mondo, non hanno mai avuto l’ansia di fare grandi proselitismi, di arrivare in qualche modo ad essere le uniche depositarie della verità.
Solo per questo, creature, e anche per il fatto che, culturalmente, è la religione più vicina a tutti voi, mi soffermo spesso a indicarvi certe cose ironico-divertenti che qua e là costellano il cammino dell’attuale cristianesimo, diciamo così, anche se ormai chiamarlo cristianesimo forse non potrebbe neppure avere più tanto senso. Scifo
Nel venirvi a parlare di Dio noi non vogliamo indurvi ad essere forzatamente mistici: il misticismo è qualche cosa che l’individuo ha al suo interno ad un certo punto della sua evoluzione. Ed è tanto facile, invece, volersi convincere a tutti i costi di essere mistici, e, quindi, dimenticarsi che la propria realtà e la propria evoluzione, di mistico non possiedono ancora quasi nulla.
Quanti uomini si nascondono dietro parole che ritengono divine o sante, e dimostrano ad ogni piè sospinto che queste parole servono loro soltanto come scusa, come paravento per giustificare quelle che sono le loro passioni.
Il vero mistico è colui che non ha bisogno di parlare, di dire, perché si sente già talmente unito a Dio che ogni suo atto, ogni sua espressione, ogni suo modo di essere, anche un suo silenzio, parlano da soli. Rodolfo
Poi, in fondo, se è vero, fratelli, che Dio esiste in tutta la realtà che vi circonda, e se è vero che misticismo significa sentire un afflato insopprimibile verso la divinità, allora bisogna anche comprendere che il mistico può anche essere semplicemente una persona che ama la vita, ama la realtà, ama i suoi simili, ama ciò che lo circonda, dalla più piccola cosa alla più grande, in quanto, amando tutte queste cose, in realtà, egli già ama Dio, egli già manifesta il suo misticismo. Billy
Se, nei secoli, nei millenni dell’uomo, tutti coloro che hanno parlato di Dio facendo spesso una grande confusione tra Dio e le religioni, se tutti costoro, dicevo, fossero stati veramente dei mistici, certamente il loro esempio sarebbe stato tale da modificare radicalmente la vostra società. Ben pochi, invece, nei secoli, sono stati coloro che veramente vivevano un vero misticismo.
Queste poche persone, questi pochi individui, questi pochi esseri che sono diventati talmente famosi da essere conosciuti dall’intera umanità, sfuggono in realtà alla comprensione di coloro che si accostano a ciò che essi sono stati.
Comprendete figli che il vero misticismo, il vero sentirsi attratti in modo quasi insopportabile dal richiamo di Dio, non può essere veramente compreso se non da chi, lui stesso, avverte lo stesso richiamo. Certo, chi osserva il vero mistico può restare colpito dalle sue parole, dalle sue espressioni, da quell’atmosfera di dolcezza che magari emana intorno a sé, tuttavia non può parteciparvi, può soltanto, come quasi sempre succede, cercare di imitarla nella speranza più che altro di essere considerato alla stessa stregua di coloro il cui giudizio gli importa.
È per questo motivo che il misticismo, in fondo, non viene mai veramente compreso ed anche coloro che cercano di studiarlo proprio per il fatto di avvicinarsi ad esso razionalmente, di comprendere razionalmente ciò che razionale, secondo la razionalità umana, non è, non potranno mai arrivare a classificarlo e a comprenderne la vera essenza. Moti
Leonard Cohen, Fabrizio De André, il sentire
Leonard Cohen se ne è andato e un’altra voce, di quelle che attraversano l’anima, non c’è più.
Dori Ghezzi lo ricorda sull’Huffington Post.
Dice Dori: Le linee parallele percorse dai grandi poeti a volte si incontrano. Forse perché Leonard Cohen, come Fabrizio De André, era nato nel futuro, fuori dal suo tempo biologico. A rendere “speciali” le canzoni di Cohen c’è forse solo lo stesso elemento imponderabile, la capacità di dare emozioni, di trasmettere idee e sentimenti che ti appartengono ma non sapevi di avere. Non basta essere bravi. A rendere “speciale” Cohen era anche quella pignoleria maniacale in concerto che “affliggeva” del pari De André e che poi significa solo uno smisurato rispetto per il tuo pubblico.
Affinità, similitudini, coscienza
Affinità. Dizionario del Cerchio Ifior
Rapporto di similitudine vibratoria con un’altra individualità.
Il termine è stato usato anche in riferimento alla medianità: per poter intervenire agli incontri tramite un medium è necessario che tra il medium e le entità che intervengono esista un buon grado di affinità, ovvero che le vibrazioni delle entità e quelle del medium abbiano delle decise assonanze in comune.
Messaggio esemplificativo (1)
Può capitare che si incontrino delle persone con cui si hanno delle affinità, con cui si sentono delle similitudini, con cui si trova un riscontro a livello di esempio morale, cioè si sentono queste persone molto vicine a se stessi; talvolta si sentono talmente vicini che si prende addirittura i termini del loro lessico, quasi il loro modo di pensare; nasce, allora, il dubbio se questa cosa è reale o se, invece, si vuole solamente assomigliare a questa persona.
In linea di massima, cercando di generalizzare il più possibile, quando succedono queste cose, se uno sente che è qualche cosa che proviene da se stesso, dalla propria interiorità e non è semplicemente un’imitazione dell’altro vi sono diversi motivi: uno dei motivi più frequenti è il fatto che la persona per cui si sente una particolare attrazione, un particolare, come direste voi giovani d’oggi, feeling, ad esempio, è che vi è stato qualche contatto in una vita precedente. Tutti noi non si nasce e non si vive una sola volta, ma vi è tutta una successione di vite in cui uno sperimenta le varie possibilità che gli vengono offerte dall’esistenza per arrivare a comprendere, al fine di ampliare la propria evoluzione interiore, la propria coscienza, fino a ritrovare quell’unità con tutta la realtà che completa poi l’evoluzione individuale.
Ora, è evidente che nel corso delle varie vite si stabiliscono dei rapporti con le altre persone; dei rapporti spesso di affetto, di amicizia, di amore o altrimenti di avversione, di antipatia, di problemi. Così come ognuno di voi si reincarna, anche le altre persone si incarnano ancora, e succede che quando ci si trova incarnati nello stesso periodo, questa affinità di esistenze passate, questo nuovo incontrarsi di persone che hanno già vissuto assieme, in qualche modo viene a galla attraverso le vibrazioni emanate dalle persone.
Così vi può essere questa sensazione di attrazione, di vicinanza, di simpatia, di particolare piacere col stare con una persona, così come può esservi anche il contrario, naturalmente. Voi pensate a quante volte vi accade di incontrare una persona e «a pelle» vi diventa antipatica immediatamente, pur magari non avendo nessun motivo per giustificare questa cosa. Il più delle volte accade proprio per questo ritorno di vibrazioni comuni per esperienze trascorse assieme in vite precedenti.
Vi è però anche un’altra possibilità, che riguarda la coscienza dell’individuo: ogni individualità che s’incarna, raggiunge una certa coscienza che poi completa, aumenta, nella vita successiva.
Le varie coscienze non sono slegate tra di loro, vi è sempre un collegamento tra tutte le persone che esistono e queste coscienze, quando raggiungono certe comprensioni in comune, accade che si trovino ad entrare in contatto tra di loro anche se non se ne rendono conto. Ecco così che tu, per esempio, incontri una persona che ha molti punti in comune con te come evoluzione, come comprensione, e avviene una specie di allacciamento energetico per cui si crea un’unione con questa persona a livello di coscienza, e vi è una specie di simbiosi, diciamo così, per cui parte della coscienza dell’altro risuona anche in te e questo porta ad un trasformarsi, nella vita che vivete tutti i giorni, del vostro comportamento in similitudine a quella dell’altro. Non è un’imitazione, ma è, come si può dire, un’effusione delle comprensioni degli individui.
Molte volte accade anche di incontrare delle persone che hanno un sentire, una coscienza, più ampia, maggiore della vostra e questo porta chiaramente ad un’attrazione, perché quando voi sentite, vedete una persona e la idealizzate, pensate che possa darvi qualche cosa, chiaramente, cercate di prendere, com’è logico, da questa persona tutto quello che vi può essere utile per migliorare voi stessi.
L’importante, però, è che vi rendiate sempre conto che tutti coloro che sono incarnati, che vivono su questo pianeta, sulla vostra terra, per il fatto stesso di essere incarnati, significa che hanno ancora dei problemi, hanno ancora delle comprensioni da mettere in atto, non sono ancora perfetti. Magari, per errata comprensione, possono dichiararsi anche dei grandi maestri però, tenete sempre presente che soltanto per il fatto di essere incarnati significa che per quanto possano aver compreso, hanno ancora qualcosa da comprendere, hanno quindi ancora dei limiti.
Ora noi diciamo sempre: quando volete seguire un maestro di qualsiasi tipo, qualcuno che ritenete o che si dichiara maestro, se sentite di farlo, se sentite un’affinità verso ciò che dice o che fa questa persona, cercate di seguirlo, certamente, se veramente sentite questa spinta; però cercate anche sempre, nel contempo, di non farvi travolgere dalle vostre illusioni, cercate di essere consapevoli del fatto che quella persona può anche essere in errore senza neppure saperlo, magari. Quindi cercate di mantenere una parte di voi stessi libera ed attenta, critica verso voi stessi, ma anche verso gli altri. Georgei
1 L’Uno e i Molti, vol. XII, pag. 189 e segg.
Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata
Indice del Dizionario del Cerchio Ifior
Fare ciò che si sente
Fare ciò che si sente. Dizionario del Cerchio Ifior
«Fare ciò che si sente» è uno degli interrogativi più grossi che l’individuo si trova a dover affrontare, perché se è vero che è giusto agire seguendo il proprio sentire, è altrettanto vero che ben difficilmente, a questo livello evolutivo, si può aver la certezza che ciò che si sente provenga veramente dal proprio «sentire».
Generalmente si usa la frase «fa’ ciò che senti» quando un individuo si trova di fronte alla difficoltà di compiere delle scelte particolarmente importanti; mentre, per quanto riguarda il quotidiano e le piccole esperienze di tutti i giorni, viene quasi dato per scontato che un individuo si comporti in maniera conforme al proprio «sentire», ma in realtà non sempre è così anzi, questo non accade quasi mai a causa delle varie influenze che subiamo e ai condizionamenti cui siamo sottoposti, sia interni (l’Io) che esterni (ambiente e società).
Soltanto verso la fine delle incarnazioni, quando il quadro del sentire è quasi completamente strutturato, sarà più facile fare veramente ciò che si sente più che quello che «si pensa» di sentire o si ritiene di «dover» sentire.
Nell’attesa di arrivare a quel punto non ci resta che operare su noi stessi per permettere che le condizioni perché ciò avvenga si avverino, osservando noi stessi e il nostro comportamento e cercando, per quanto è possibile, di essere sinceri con noi stessi.
Messaggio esemplificativo
Se osserviamo un individuo qualsiasi nel corso di una giornata qualunque della sua esistenza, riusciremo a vedere come in molte occasioni, nell’arco delle l6-18 ore di veglia di una sua giornata, egli vada contro quello che invece sentirebbe di fare.
Mettiamo che sia una cupa e umida giornata autunnale, una di quelle che sicuramente non contribuiscono a farti alzare di buonumore, ecco che al momento del risveglio egli comincia a dover andare contro se stesso soffocando il desiderio di restarsene a letto al caldo invece di alzarsi per raggiungere il proprio posto di lavoro.
Primo sforzo: se avesse fatto quello che sentiva di fare non si sarebbe alzato, avrebbe continuato a dormire e forse anche a poltrire sotto le coperte del suo caldo e morbido letto, ma il senso del dovere lo ha spinto ha trovare il coraggio di alzarsi ed iniziare così la sua giornata.
Mettiamo che la nostra creatura abbia un’attività lavorativa che lo ponga in continua relazione con gli altri.
Già alzatosi di cattivo umore «perché a letto si sarebbe sicuramente stati meglio» ecco che egli, poverino, deve affrontare le persone che a lui si rivolgono, ed ancora una volta lo vediamo «costretto» a fare buon viso a cattivo gioco non attribuendo agli altri, che hanno in qualche modo bisogno di lui, la causa del suo malumore… Ancora una volta, il senso del dovere lo spinge ad essere il più cordiale e disponibile possibile nei suoi rapporti interpersonali.
Secondo sforzo: se avesse fatto quello che sentiva di fare non si sarebbe posto più di tanto il problema di essere cordiale e disponibile con gli altri e non avrebbe esitato più di tanto a mandare al diavolo coloro che gli apparivano particolarmente noiosi.
Lo troviamo, adesso, dopo aver accumulato già un po’ di tensioni a causa della «levataccia» e degli sforzi di essere (e non apparire) cordiale con gli altri, di fronte ad un caso particolarmente difficile: gli si para infatti davanti una persona (di quelle con cui ti rendi subito conto che è impossibile comunicare o instaurare un rapporto di qualsiasi tipo) che riesce in un fiato a «mandarlo in bestia» ad un punto tale che ci vuole tutta la sua forza di volontà per controllarsi nelle reazioni.
Terzo sforzo: se avesse fatto quello che si sentiva di fare non avrebbe dato sfogo alle sue reazioni in quanto non avrebbe neanche permesso a quell’individuo di esasperarlo al punto da fargli perdere la pazienza; ecco che, ancora una volta, il suo senso del dovere lo ha spinto ad accettare anche questa situazione cercando di compensarla con ciò che di positivo e gratificante gli capiterà nel corso della giornata.
E così, tra alti e bassi, trascorre la sua giornata lavorativa, accumulando al suo attivo una decina di sforzi dello stesso tipo dei precedenti, fino ad arrivare a sera, al rientro a casa, non totalmente soddisfatto, ma comunque neanche particolarmente deluso o affaticato, tuttavia con il desiderio di trascorrere una tranquilla serata facendo ciò che più gli aggrada fare. Immaginiamo ancora che il nostro individuo abbia famiglia, abbia dei figli. Ecco che lo vediamo in uno dei momenti più importanti per una famiglia: l’ora di cena, con tutti riuniti attorno al tavolo, pronti a scambiarsi le esperienze che ognuno ha avuto nel corso della giornata appena trascorsa. Immagine forse un po’ troppo patriarcale, forse anche un po’ démodé, ma perdonatemi… ognuno è figlio del proprio tempo!
Finalmente rilassato ed a proprio agio, confortato dall’idea che da lì a poco potrà finalmente dedicarsi al suo hobby preferito, in modo da finire nel modo migliore una giornata così e così, ecco che ad uno ad uno i componenti della sua famiglia, dal partner ai figli, cominciano a sciorinargli le loro problematiche, le loro quotidiane frustrazioni, ed ognuno di essi, a modo proprio, gli fa una tacita richiesta di aiuto, o quanto meno di una parola di conforto.
Penultimo sforzo: se il nostro amico avesse fatto quello che sentiva di fare, ecco che avrebbe fatto orecchi da mercante o avrebbe raccontato le sue frustrazioni quotidiane insaporendole anche un po’ in modo da deviare l’attenzione degli altri su quelli che erano stati i suoi problemi, invece ancora una volta il suo senso del dovere lo spinge a pensare che, tutto sommato, quanto da lui vissuto nelle ore precedenti era ben piccola cosa di fronte agli occhi lucidi di uno dei suoi figli che ha preso un inaspettato brutto voto a scuola, o alla frustrazione del partner che è stato aspramente rimproverato sul posto di lavoro, o all’altro figlio che, adolescente, soffre di difficoltà di comunicazione con i suoi coetanei, cosicché si sente solo e inadeguato.
E così, lo troviamo a ricercare al proprio interno una parola di conforto e di incoraggiamento per tutti… Intanto il tempo passa e l’idea di poter dedicare quel poco di tempo che gli e rimasto al proprio hobby si affievolisce sempre più… tuttavia un’altra idea fa capolino: c’è sempre la possibilità di scaricare le tensioni accumulate nel corso della giornata in un altro modo. Lo ritroviamo quindi nuovamente a letto, come lo avevamo trovato al mattino, a fianco del suo partner che, terribilmente stanco e amareggiato, gli augura una frettolosa buonanotte.
Ultimo sforzo: il nostro amico spegne la luce e si addormenta! Se avesse fatto quello che si sentiva di fare…
Ecco, mi rendo conto che gli esempi portati possono sembrare anche banali, invece non lo sono, o per lo meno non lo sono relativamente al punto in cui vi voglio portare. Non concluderò questo messaggio sciorinandovi chissà quale teoria, ma vi farò delle domande alle quali sarà vostro compito fornire una risposta. È chiaro che il non volersi alzare dal letto, il non aver voglia di essere cordiale e disponibile con tutti, etc. etc. sono movimenti dell’Io, ma lo sforzo, il costringersi a fare qualcosa che in quel momento il vostro Io non vorrebbe fare, chi lo fa? Che significato ha? Da dove proviene? Ho parlato, in ogni esempio, di «senso del dovere», ma ciò che comunemente viene chiamato in questo modo che cos’è in realtà? Potrebbe essere un «sentire» che traspare, che supera i limiti e le barriere poste dall’Io dell’individuo e che spinge ad un determinato tipo di comportamento, e che l’Io deve giustificare in qualche modo, chiamandolo appunto «senso del dovere»?
Il fatto di mettere in ogni occasione, anche se a fatica, da parte se stessi e i propri bisogni, non potrebbe significare che il «sentire» si sta facendo strada, o invece pensate che quando una certa azione viene compiuta in perfetta armonia col proprio «sentire» essa debba essere necessariamente fluida e spontanea? Francesco
Il «fare ciò che si sente» viene facilmente confuso col «fare ciò che ti va di fare» e c’è anche chi può dire: «È giusto fare ciò che a uno va di fare perché in questo modo può comprendere quello che deve comprendere».
Questo è il passo a cui potrebbe arrivare la persona che segue l’insegnamento applicando – senza tener conto di tutto l’insegnamento – le cose che sono state dette nell’insegnamento filosofico e morale; però voi vi rendete conto, creature, che non sempre è veramente possibile e giusto fare ciò che si sente di fare, a prescindere dal fatto che ciò che si sente sia dovuto al sentire o, come accade di solito, all’Io. Vi deve essere, allora, una discriminante di qualche tipo a cui fare riferimento, in modo da poter adattare il proprio comportamento a quella che è la manifestazione del comportamento personale all’interno della famiglia, della società in cui uno vive.
Ovviamente, questa discriminante non può essere che l’intenzione; ma l’intenzione non è così facile da conoscere, quindi non può essere un motivo abbastanza sicuro per poter fare da discriminante nel modo di comportarsi dell’individuo; se io fossi sicuro sempre delle mie intenzioni, certamente farei sempre per il meglio quello che devo fare, giusto?
D’altra parte, se io conoscessi tutte le mie intenzioni, probabilmente non mi incarnerei neanche più, perché vorrebbe dire che ho compreso tutto quello che dovevo comprendere di me stesso e quindi della Realtà. La cosa è molto semplice: è giusto seguire gli impulsi e i comportamenti di ciò che «ci sembra» di sentire (lasciamo questa parentesi aperta) sempre che non ci si renda conto che il nostro agire «sentitamente» non sia scopertamente, evidentemente, senza ombra di dubbio, un danno per qualcun altro; ovvero il mio «fare ciò che sento» deve avere il suo limite nel «non fare dei danni agli altri». Scifo
Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pag. 123-127, Edizione privata
Il tema del Fare ciò che si sente viene riportato anche nella parte seconda del secondo volume a pagina 26, analizzato, in particolare, in relazione all’evoluzione personale.
«Fare ciò che si sente» è un concetto che investe l’individuo nella sua totalità e quindi è giusto esaminarlo dai vari punti di vista in cui può essere esaminato, ad esempio dal punto di vista dell’evoluzione, in quanto, senza dubbio, il concetto di «fare ciò che si sente» è in stretta, strettissima relazione con quella che è l’evoluzione dell’individuo.
Messaggio esemplificativo
Molte volte il «fare ciò che si sente» – come è stato detto e ripetuto – viene confuso col «fare ciò che ti va di fare» e c’è anche chi può dire: «È giusto fare ciò che a uno va di fare perché in questo modo può comprendere quello che deve comprendere». Questo è il passo a cui potrebbe arrivare la persona che segue l’Insegnamento applicando – senza tener conto di tutto l’Insegnamento – le cose che sono state dette nell’Insegnamento filosofico e morale; però voi vi rendete conto, creature, che non sempre è veramente possibile e giusto fare ciò che si sente di fare, a prescindere dal fatto che ciò che si sente sia dovuto al sentire o, come accade di solito, all’Io.
Vi deve essere, allora, una discriminante di qualche tipo a cui fare riferimento, in modo da poter adattare il proprio comportamento a quella che è la manifestazione del comportamento personale all’interno della famiglia, della società in cui uno vive.
Immagino che potreste dire che bisognerebbe conoscere l’intenzione.
Ma l’intenzione non è così facile da conoscere, quindi non può essere un motivo abbastanza sicuro per poter fare da discriminante nel modo di comportarsi dell’individuo; se io fossi sicuro sempre delle mie intenzioni, certamente farei sempre per il meglio quello che devo fare. D’altra parte, se io conoscessi tutte le mie intenzioni, probabilmente non mi incarnerei neanche più, perché vorrebbe dire che ho compreso tutto quello che dovevo comprendere di me stesso e quindi della Realtà.
La cosa è molto semplice ed era già stata accennata in precedenza: è giusto seguire gli impulsi e i comportamenti di ciò che «ci sembra» di sentire (lasciamo questa parentesi aperta) sempre che non ci si renda conto che il nostro agire «sentitamente» non sia scopertamente, evidentemente, senza ombra di dubbio, un danno per qualcun altro; ovvero il mio «fare ciò che sento» deve avere il suo limite nel «non fare dei danni agli altri».
È un po’ lo stesso concetto della libertà: dov’è che finisce la libertà dell’individuo? Esattamente dove comincia quella di un altro. Lì c’è quella parete sottile che l’individuo che vive in una società deve tener presente – condizionamenti o no, convenzioni o no – perché la propria libertà non vada a nuocere alla libertà di un altro; perché tutti quanti abbiamo diritto ad avere la stessa possibilità di libertà. Allo stesso modo, si può dire che tutti gli individui incarnati hanno teoricamente bisogno di poter esprimere ciò che sentono. Ma vi immaginate voi che mondo sarebbe se tutti veramente facessero ciò che sentono di fare? Pensate a una società agli inizi dell’evoluzione della razza, quindi di bassa evoluzione: se tutti facessero ciò che sentono di fare, ben pochi sopravvivrebbero. Questo significa che vi devono essere, comunque sia, dei freni, degli apparati di qualche tipo che possano permettere all’individuo di esprimere se stesso e ciò che sente entro, però, certi limiti, per non nuocere agli altri.
Ora, questi freni, nei casi di bassa evoluzione, sono evidentemente, principalmente, costituiti da cosa? Dalle norme sociali e dalle norme giuridiche e – perché no? – persino dalle norme religiose che, proprio in questa condizione di evoluzione dell’individuo trovano la giustificazione della loro esistenza.
Voi, attualmente, specialmente i più giovani fra quelli incarnati, siete tentati a fare di ogni erba un fascio e mettere da parte come obsoleti, inutili, o persino fastidiosi o dannosi i condizionamenti sociali, le norme sociali, le religioni; però tenete presente che tutti questi fattori che attualmente, per qualche motivo, hanno perso parte della loro valenza e della loro positività, sono nati, necessariamente, sotto la spinta di determinati impulsi provenienti direttamente da Chi tutto il Disegno ha creato, per far sì che l’evoluzione potesse svolgersi, per far sì che esistessero determinate condizioni in cui l’individuo, malgrado la sua bassa evoluzione, non finisse in massa per costituire un blocco dell’evoluzione dell’intera razza; tant’è vero che, specialmente nei primi tempi dell’incarnazione della razza, vi è un grande affluire di incarnazioni di individui di evoluzione superiore che possano dare corpo a quelle leggi etiche, morali e sociali, a quei comandamenti necessari e indispensabili affinché quello che ho detto prima si avveri, affinché l’evoluzione cioè della nuova razza che si sta incarnando possa comunque andare avanti senza subire interruzioni. Siete d’accordo su questo?
Quando si passa a un’evoluzione superiore – non ancora la più alta evoluzione, ma un’evoluzione media, quella che si suppone abbiate tutti voi – le cose indubbiamente si fanno molto più complicate: l’Io è più sottile, è più rarefatto, non ragiona più per grandi movimenti, ma ragiona per sfumature; il suo egoismo non è più così (nella maggioranza dei casi) evidente, sfacciato, arrogante, ma molte volte diventa furbo, insinuante, cerca di ottenere quello che gli interessa magari con l’inganno o facendo finta di volere qualcos’altro; quindi la discriminante di cui parlavamo non può più essere applicata molto facilmente, ma deve essere applicata consapevolmente dall’individuo allorché si rende conto – e, con l’evoluzione che possiede a questo punto, può rendersene conto – che il suo comportamento può nuocere agli altri e ciò non va bene.
È in questo punto, in questa linea mediana dell’evoluzione della razza, che l’individuo deve fare il passo che lo porta ad avvicinarsi agli altri, che lo porta a considerare che il pianeta non è tutto suo ma appartiene a tutti quelli che lo popolano, e che con tutte queste persone lo deve condividere, e che, quindi, a quel punto, deve trovare un elemento di equilibrio tale che permetta non soltanto a sé ma anche agli altri di poter esplicare ciò che sente e i propri desideri di libertà personale.
Vi è poi l’individuo evoluto, quello che è a un passo dall’abbandono della famosa «ruota delle nascite e delle morti», colui che tutto ha ormai compreso, o quasi tutto; gli mancano soltanto quelle due o tre sfumature per arrivare finalmente ad abbandonare l’incarnazione: non avrà bisogno di applicare discriminanti perché, automaticamente, grazie alla sua comprensione, al sentire che fluisce, farà ciò che sente; ma non più ciò che sente l’Io, bensì ciò che sente la sua coscienza.
Si troverà in un mondo di persone dall’evoluzione molto inferiore, dalla comprensione magari molto inferiore, e quindi nella condizione di dover essere d’esempio e, indirettamente, col proprio esempio, da maestro agli altri, e quindi cercherà di farlo nella migliore maniera possibile.
L’individuo dall’alta evoluzione, direte voi, «non si pone neppure il problema»… ma siete davvero sicuri di quanto state dicendo? Se il suo sentire è aver imparato il «non rubare», siete davvero sicuri che il suo sentire, comunque sia, fluirà in maniera tale che egli non penserà nemmeno di tenersi quei soldi?
Dovete ricordare che l’individuo incarnato, per quanto evoluto sia, è incarnato perché qualcosina deve ancora comprendere, sta facendo una sua vita che, magari , per … che so io … esigenze karmiche contempla, per fare un esempio, un figlio cieco che, con un’operazione adatta, potrebbe riacquistare la vista. La valigetta contiene 20 milioni, e – guarda caso – è proprio la cifra che potrebbe far recuperare la vista al figlio dell’uomo evoluto, il quale, d’altra parte, poiché non ha un grosso Io, non è riuscito a diventare un Berlusconi, ma è magari semplicemente un impiegato postale, che con difficoltà riesce a sbarcare il lunario e quindi difficilmente può trovare 20 milioni in più per pagare l’operazione agli occhi a suo figlio. Potrebbe essere una situazione normale, questa, no? Ma l’individuo è evoluto e allora, secondo voi, come reagisce di fronte a questa possibilità che l’esistenza gli mette davanti di avere i 20 milioni a disposizione? Qual è il suo senso del sentire: quello che gli dice che deve aiutare il figlio a riprendere la vista o quello che gli dice: «Non posso aiutare mio figlio a riprendere la vista usando i soldi di un altro»?
Non c’è dubbio che la scelta finale non possa che essere di non appropriarsi di quel denaro, però pensate che non abbia dubbi? Pensate che per un attimo non lo possa cogliere il pensiero «Questi soldi mi fanno comodo e li tengo»? Quindi vedete, creature, che anche con un’alta evoluzione, allorché si possiede un Io, anche la persona evoluta per un attimo può avere il dubbio di commettere qualche cosa che va contro la sua comprensione. Certamente poi, alla fine, com’è nella logica della Realtà, la comprensione raggiunta ha la meglio sulle pulsioni dell’Io perché, la spinta della vibrazione emanata dall’akasico è tale che l’Io soccombe, per forza di cose, a questa spinta che arriva piuttosto pura, piuttosto pulita alla coscienza dell’individuo incarnato.
Ricordate che, comunque sia, l’individuo incarnato un Io, lo possiede, deve possederlo per forza perché, se non possedesse un Io, non potrebbe neanche riuscire a barcamenarsi, a vivere all’interno della società e a contatto con gli altri. Non possedere l’Io significa non mostrare un carattere, una personalità, non essere capaci di interagire con gli altri; l’Io è necessario, comunque sia, finché si è incarnati, perché costituisce un mezzo di interazione con la realtà fisica in cui ci si trova a vivere l’esperienza.
Quindi, come vedete, anche applicare la discriminante in molti casi non è facile; tant’è vero che, come ho detto, questa discriminante può essere usata soltanto quando si ha già un certo livello evolutivo. L’importante è cercare di capire quand’è giusto fare ciò che si sente e quando non è giusto e cercare di esaminare con attenzione le conseguenze sugli altri del proprio comportamento; mettere da parte per un attimo le conseguenze su se stessi e poi cercare di comportarsi nel modo migliore per far soffrire l’altro (o l’altra) il meno possibile.
Certo, questo vorrà dire prendersi la responsabilità di agire, ed è questo che spaventa l’individuo più di ogni altra cosa. Per l’Io, la cosa migliore sarebbe poter sempre andare avanti nella stessa vita, avendo un rapporto – vero o falso che sia, ma un rapporto da mostrare agli altri – far finta che questo rapporto sia bellissimo, che la propria vita sia meravigliosa, che tutti gli amici siano persone stupende, che i figli siano gratificanti, che la vita che stanno conducendo stia dando loro tutto il massimo che può dare; mentre, guardando con attenzione, magari non è così. Quello che è importante – ripeto – è essere attenti a queste cose e cercare di comprendere quando veramente è giusto seguire ciò che si sente, cercando di non farsi mascherare o travisare da quelli che sono i desideri dell’Io … che, pur non esistendo, però è un gran rompiscatole!
Qua c’è un altro problema, che sottintende una cattiva comprensione del concetto di Io: voi pensate che l’Io sia il demonio; niente di più sbagliato. L’Io non è né buono né cattivo; l’Io semplicemente esiste come risultante delle varie forze che arrivano all’individuo. Questo non significa che qualsiasi cosa l’Io vi induca a fare sia sbagliata. Questo forse non riuscite a capire! Voi partite dal preconcetto che, comunque sia, quello che l’Io fa è demoniaco e va combattuto; non è così!
Ci sono due aspetti da considerare in questa situazione: intanto molte cose costruite dall’uomo nel corso della sua storia, molte delle cose più meravigliose e più belle, più piene d’amore e via dicendo, sono state costruite sotto la spinta dell’Io; secondariamente, dovete considerare che quello che è importante da riconoscersi è quella che è la vostra motivazione, è la motivazione dell’Io, non l’azione; perché l’azione in se stessa può avere degli effetti positivi, può essere giusta, può essere utile per altre persone, può anche aiutarle, ciò non toglie che, per quanto la vostra azione possa aiutare un’altra persona, se fatta per motivi egoistici, – che so io … per essere in qualche modo considerato «importante» – la vostra azione ha aiutato l’altro ma voi dovete vedere qualche cosa perché l’azione che avete compiuto in quella maniera comunque era sbagliata; ma non sbagliata per l’altro, che riceve l’effetto della vostra azione: è sbagliata per la vostra coscienza, per voi stessi, perché c’era qualcosa che dovevate comprendere.
Per quanto riguarda, poi, l’ipotesi che il fatto di bloccare l’Io vi possa portare a dei problemi all’interno dell’individuo, nel corpo fisico o negli altri vari corpi, ci tengo a sottolineare che i vostri corpi sono pieni di problemi, tutti i giorni, in continuazione, per quello che compite, sia che seguiate l’Io, sia che non lo seguiate, e i vostri problemi nascono dal fatto che le vostre comprensioni non sono ancora abbastanza ampie e che, quando arrivano alla coscienza di voi incarnati, il vostro Io li usa per ottenere magari ciò che più desidera ottenere, entrando in contrasto con queste vibrazioni; ed è questo contrasto quello che provoca i problemi, non il fatto di bloccare l’Io. Scifo
Indice del Dizionario del Cerchio Ifior
Il lutto della mente nella via spirituale
Mi dice un’amica e sorella in questo cammino, di come le sia cambiato l’umore da quando pratica senza sosta la disconnessione, il ritorno a zero, al presente che accade: la pervade uno stato di neutralità con l’umore mai acceso, ma piuttosto colorato da una lieve malinconia e apatia.
E’ una condizione che ben conoscono le persone che hanno una lunga confidenza con la via interiore e spirituale e che accomuna tutti coloro che coltivano senza sosta la consapevolezza del presente e, con essa, l’incessante disconnessione dal contenuto mentale ed emozionale e dall’identificazione con ciò che accade.