La ricerca del fuoco, del senso e il prendere atto

Il solo porre la questione dell’essere mette in risalto il condizionamento dentro al quale quotidianamente viviamo: senza sosta cerchiamo senso.
Per noi vivere non è prendere atto: è provare, è conquistare, è dover essere.
Siamo dei cercatori di fuoco, di qualcosa che ci scaldi e non ci faccia sentire l’angoscia di fondo della separazione e della solitudine.
Nessuno è fino in fondo pronto per l’essere, perché tutti abbiamo qualcosa da perdere e questo comporta difficoltà e resistenze inevitabili e naturali.
Bisogna guardare il contesto in cui la vita, la nostra coscienza, ci ha collocati: perché ci ha posto la sfida dell’essere? Perché ci chiede di tenere assieme essere e divenire?

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Relazione, sacralità dell’incontro con il “mondo in sé”

[…] La via della Conoscenza afferma che solamente un essere che vive una quiete interiore può riconoscere il mondo in sé.
[…] Colui che si trova immerso in uno stato di quiete interiore vive la propria umanità in modo naturale, cioè è costantemente in contatto col mondo in sé, continuando a provare emozioni, a vivere pensieri ed a manifestare comportamenti.
Nel mondo in sé la relazione è interconnessione: si è immersi in un mondo dove tutti gli esseri sono interconnessi fra di loro senza distinzioni e senza paragoni.

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L’esperienza unitaria che sorge da divenire ed essere

Se ciò che accade è qualcosa che viene per me e, simultaneamente, un fatto che accade e basta e che non mi riguarda in quanto soggetto e artefice, come minimo esco frastornato da questa antinomia.
Come tenere assieme questi opposti? La mente dice che una scelta sarebbe opportuna: delle due, una può essere l’opzione coltivata.
E invece la mente non vede, come quasi sempre le accade, l’evidente: il divenire che si palesa è l’espressione dell’essere che ne è l’origine e dunque, nel mentre vivo i fatti che parlano a me come soggetto e artefice, posso cogliere la natura più intima di quei fatti e scoprire che essi sorgono dall’essere senza tempo e senza scopo e quello sono e testimoniano.

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Vivere nella pienezza è riconoscere ciò che già c’è

[…] Il riconoscimento, però, nasce da un vuoto interiore, cioè dall’essere svuotati e liberati di tutto quello che è contenuto nella vostra mente sotto forma di oggetti psichici che continuate a creare interpretando i fatti che accadono dentro e fuori di voi.
[…] La vostra attività mentale è vivacissima per la quantità, per la varietà e per la confusione con cui pensieri ed emozioni si affollano nella vostra testa.
Questa continua eccitazione non vi permette di incontrare una dimensione che si mostra soltanto ad un placarsi che la via della Conoscenza definisce come stato interiore, in cui il pensiero, l’emozione e l’azione non sono condizionati dalla vostra mente.

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Il pensiero non è la mente e riconosce “ciò che è”

[…] Il pensiero, libero dalla prigione della mente umana, ha una naturalità che è in sintonia con ciò che c’è e si mantiene fisso sul continuo apparire e scomparire che rende semplice ogni attimo. Mentre il pensiero, assoggettato alla vostra mente, sovrappone all’aprirsi e chiudersi della vita il tempo della continuità e del trascinamento che rende complesso il mondo intorno a voi.
Colui che non trascina con sé, nei pensieri, i fatti e gli esseri che si presentano, incontra una realtà di atti semplici. Quell’uomo diviene libero dal peso che il passato esercitava su di lui, e riconosce il suo essere disconnesso.

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