Voto e pentimento, ‘me originario’ e ‘io’ [Antai-ji11]

Kōshō Uchiyama rōshiDiscorso d’addio ad Antai-ji.
[…] Fintantoché siamo vivi, che ci pensiamo oppure no, siamo il me originario ma, nello stesso tempo, abbiamo il karma di produrre molteplici illusioni, ed è un fatto reale che non ci possiamo separare dall’idea che abbiamo di noi come io che esiste di per sé, come ente autonomo.

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Tutti e tutte le cose non sono altro da me [Antai-ji10]


Kōshō Uchiyama rōshiDiscorso d’addio ad Antai-ji.
Un termine che Dōgen nello Shōbōgenzō mette sempre in evidenza è jin: una piccola parola dai molteplici significati, perché esprime il senso di andare fino in fondo senza residui, esaurire senza lasciare niente, arrivare al non plus ultra.

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Cos’è il volto originario? [Antai-ji9]

Kōshō Uchiyama rōshiDiscorso d’addio ad Antai-ji.
C’è un kōan che parla del mio “volto originario prima nella nascita di mio padre e mia madre”: verrebbe da pensare allora che ci sia qualcosa di speciale che sarebbe questo “volto originario”, ma non è così. È semplicemente lì dove è aperta la mano del pensiero. Nessuna speciale misteriosa frontiera o sembianza.

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I sei tipi di zen da non praticare [Antai-ji8]

Kōshō Uchiyama rōshiDiscorso d’addio ad Antai-ji.
Non sono uno come quei maestri zen colonialisti che pensano basti semplicemente andare all’estero a imbonire la gente. Invece è molto importante produrre testi per far conoscere davvero agli stranieri il vero zazen. È per questo che io, durante gli ultimi dieci anni, mi sono impegnato qui ad Antai-ji a formare persone e scrivere testi.

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Guadagno è illusione, perdita è risveglio [Antai-ji7]

Kōshō Uchiyama rōshiDiscorso d’addio ad Antai-ji.
Zazen deve operare concretamente nella nostra vita quotidiana: dobbiamo mettere in pratica il motto: “guadagno è illusione, perdita è risveglio”, attuare due pratiche (la pratica del voto e la pratica del pentimento) e perseguire tre atteggiamenti mentali (una mente lieta, amorevole, magnanima).

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Zazen è il ‘Buddha Venerato’ [Antai-ji5]

Kōshō Uchiyama rōshiDiscorso d’addio ad Antai-ji.
In giapponese si indica con il termine Honzon la statua di Buddha al centro dell’altare principale di un tempio, che simbolizza l’oggetto di venerazione. Rappresenta ciò che è davvero da venerare e per noi questo è sedere in zazen aprendo la mano dei pensieri. Aprire la mano del pensiero è il valore supremo, che chiamiamo honzon, Buddha Venerato.

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La realtà della vita deve essere il valore più prezioso [Antai-ji4]

Kōshō Uchiyama rōshiDiscorso d’addio ad Antai-ji.
La pratica del buddhadharma solo per il buddhadharma è la pratica di aprire la mano del pensiero. Anche il nostro vivere e morire, di solito lo pensiamo nella nostra mente. Così man mano che s’invecchia, cresce la paura della morte. Finché si è giovani il  pensiero  di dover morire non è impellente, ma invecchiando il momento della morte si avvicina davvero e molte persone, impaurite, si chiedono “e ora che faccio?”: questo avviene perché pensano alla morte nella propria testa.

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I precetti: la liberazione momento per momento [Antai-ji3]

Kōshō Uchiyama rōshiDiscorso d’addio ad Antai-ji.
Come sapete il buddismo sottolinea soprattutto due concetti che in sanscrito sono detti rispettivamente anitya, che vuol dire “impermanenza”, “transitorietà” e pratītya-samutpāda, che  significa, detto in poche parole, che tutto ciò che viene in esistenza è prodotto di cause e condizioni, nulla si crea dal nulla né da se stesso, e niente è immodificabile. 

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Buddhadharma: la condizione di essere svegli [Antai-ji2]


Kōshō Uchiyama rōshi. Discorso d’addio ad Antai-ji.
Aprendo una volta sola la mano del pensiero, tutti i problemi si sistemano. Per quanto ci s’ingegni a mettere in ordine ogni cosa di testa propria, non ci si riesce. Infatti è la nostra mente che suscita tutti i problemi, e per questo dobbiamo aprire la mano del nostro pensiero. Ecco il significato di “lasciar cadere corpo e mente”, abbandono di corpo e mente. In quel momento tutti i problemi cessano. Vi è una breve poesia che dice:

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Cosa significa buddhadharma? [Antai-ji1]

Kōshō Uchiyama rōshi. Kyūdōsha. Il cercatore della Via. Discorso d’addio ad Antai-ji.
Dopo la morte del mio maestro Sawaki rōshi, nel 1965, sono divenuto l’abate del monastero Antai-ji. Dichiarai allora che non sarei rimasto in carica per più di dieci anni e mi sarei ritirato nel 1975. Ecco, quel giorno è giunto. Il tempo vola!

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