Essere Uno e non saperlo

Dice Samuele nel commento al post I fatti, l’oggettività, il dubbio: Ma che ne è poi di tutta la comprensione se siamo chiamati a fonderci ed a riunirci con l’Assoluto? Che ne sarà di noi? Rimarrà qualcosa, o siamo dei semplici contenitori funzionali a questi corpi spirituali che pure saranno chiamati a fondersi ed a sparire?
Che cosa ne è dei tanti Samuele che negli anni si sono succeduti? Non sono forse stati integrati nel Samuele attuale? Non è quello attuale, la risultante di tanti sentire che nel tempo si sono integrati ed ampliati?

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L’orizzonte del sentire

Ho incontrato ieri Elena, da tempo compagna nel viaggio interiore e da quell’incontro nascono queste riflessioni.
Le coscienze si muovono sospinte dagli archetipi permanenti e orientate/condizionate da quelli transitori.
L’archetipo permanente dell’amore permea una coscienza che lo realizza sulla base delle comprensioni acquisite nella forma stabilita dagli archetipi transitori, nella fattispecie nella forma della famiglia fondata sulla coppia.
L’archetipo permanente dell’unificazione* si articola nell’archetipo transitorio del monaco e del monachesimo.
Ogni spinta universale si incarna in una forma transitoria e “locale”. Questo è l’ambiente vibratorio nel quale operano le coscienze.
Ma cosa accade quando una coscienza sente sempre meno l’influsso degli archetipi transitori e sempre di più è indotta ad obbedire, a conformarsi, alla natura di quelli permanenti?
Accade un suo “estrarsi”, un “eradicarsi” dalle convenzioni, dalle regole, dalle visioni che governano il divenire e con esso il mondo.

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Imparare e contemplare

Imparare e contemplare sono due livelli differenti di esperienza: il primo apre la porta al secondo.
Imparare significa essere disposti a vivere ciò che viene, a sviluppare ed alimentare conoscenza, consapevolezza, comprensione.
Il vivere, lo sperimentare produce senza sosta l’acquisizione di tasselli di comprensione, di atomi di sentire: il processo dell’imparare non ha fine ed ogni passo amplia il sentire e struttura la comprensione propria del corpo della coscienza.
Mentre questo accade, nel ventre dell’accadere se la persona ha la giusta disposizione ed è sorretta dalle comprensioni necessarie, si può aprire la porta ad uno sperimentare nuovo e più profondo: l’azione che insegna nella sua profondità diviene l’azione che è.

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Dove vai tu? Dove vanno gli altri?

Viene un tempo in cui la direzione è interiorizzata e non hai scelta alcuna: la domanda sul dove vai perde senso perché ogni fatto ti conduce a quel che è, altra possibilità per te non esiste.
I fatti sono il tuo orizzonte, il simbolo che portano ti illumina il cammino, ti dice dove stai imparando e come lo stai facendo.
E’ un lavoro minuto, intimo e discreto, nascosto nella soggettività del tuo percorso, di ciò che impari e che a nessuno può essere rivelato: nessuno sa che cosa tu stai imparando; nessuno può sapere che cosa è per te la realtà; nessuno immagina cosa gli altri portano nella tua vita.
Nel tuo piccolo quotidiano, tu non vai da nessuna parte: ti si presentano fatti, ti plasmano, scompaiono. Niente altro.

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La fine del divenire

Una spinta lunga una vita si è esaurita e quel suo essere espressione di forze creative e formative ha trovato il suo sbocco naturale nello stare, nell’essere.
La spinta ad amare è divenuta amore minuto e feriale.
La spinta a donare si è fatta comprensione che più della vita ordinaria consapevole e unitaria non si può mettere a disposizione.
Non è mai stata nostra la pretesa di essere particolarmente utili al prossimo, ma abbiamo vissuto sotto la pressione del dono.
Cos’è? Non la volontà di donare, la consapevolezza che attraverso di noi poteva accadere, e accadeva, qualcosa che sarebbe stato funzionale al cammino interiore di qualcuno. La spinta a mettere a disposizione.

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La solitudine, ciò che non si può comunicare

Il sentire non si può comunicare.
La consapevolezza della limitazione rappresentata dall’umano, non si può comunicare.
La visione unitaria non si può comunicare, non a menti che tutto dividono e frammentano.
Il senso di estraneità e di lontananza che convivono con la compassione, questo è un paradosso incomunicabile.
La danza tra identità e coscienza, tra umano e sovrumano, le mille sfumature, i micro conflitti, l’immensità del grande che contiene il piccolo asino del non compreso, questo non è comunicabile a menti che tendono al bianco e nero e non alla molteplicità colorata.
Rimane sepolto nell’intimo proprio un mondo vasto ed articolato e con esso una solitudine irriducibile.

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L’invenzione del dio che diventa uomo

Il frutto avvelenato della mente consiste nel separare la realtà, nel dividerla e frantumarla. Il dualismo divino-umano ne è esempio eclatante.
Postulata questa separazione, che non appartiene alla realtà, ma alla lettura che le menti danno della realtà, è stato giocoforza inventare la figura del mediatore e del rivelatore, di colui che supera quella irriducibilità e riconduce ad unità – indicandone il percorso –  ciò che agli occhi della mente risulta separato.

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Nel ventre del tempo interiore

Il periodo a cavallo del solstizio d’inverno è il ventre del tempo interiore, dello stare, del risiedere, del contemplare i processi, del divenirne consapevoli e scoprire come il respiro del cosmo sia il nostro respiro.

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