La solitudine, ciò che non si può comunicare

Il sentire non si può comunicare.
La consapevolezza della limitazione rappresentata dall’umano, non si può comunicare.
La visione unitaria non si può comunicare, non a menti che tutto dividono e frammentano.
Il senso di estraneità e di lontananza che convivono con la compassione, questo è un paradosso incomunicabile.
La danza tra identità e coscienza, tra umano e sovrumano, le mille sfumature, i micro conflitti, l’immensità del grande che contiene il piccolo asino del non compreso, questo non è comunicabile a menti che tendono al bianco e nero e non alla molteplicità colorata.
Rimane sepolto nell’intimo proprio un mondo vasto ed articolato e con esso una solitudine irriducibile.

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L’invenzione del dio che diventa uomo

Il frutto avvelenato della mente consiste nel separare la realtà, nel dividerla e frantumarla. Il dualismo divino-umano ne è esempio eclatante.
Postulata questa separazione, che non appartiene alla realtà, ma alla lettura che le menti danno della realtà, è stato giocoforza inventare la figura del mediatore e del rivelatore, di colui che supera quella irriducibilità e riconduce ad unità – indicandone il percorso –  ciò che agli occhi della mente risulta separato.

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Nel ventre del tempo interiore

Il periodo a cavallo del solstizio d’inverno è il ventre del tempo interiore, dello stare, del risiedere, del contemplare i processi, del divenirne consapevoli e scoprire come il respiro del cosmo sia il nostro respiro.

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