Contemplazione: la nostra umanità è una porta

Ore e giorni prima di un intensivo, osservatorio privilegiato dell’umano e delle sue reazioni.
Con gli occhi dell’umano, con lo stare delle contemplazione viene osservato ciò che nell’interiore sorge, ciò che nell’ambiente si manifesta senza che interiore ed esteriore vivano alcuna separazione.
1- La scomparsa di qualunque atteggiamento spirituale:
– è atteggiamento spirituale l’ammantarsi di speciale;
– il connettersi ad un archetipo fatto di atmosfere, gesti, stati: una sorta di rappresentazione rituale, di comprensione di sé dentro ad un paradigma.
C’è stato nel tempo, ora non se ne vede più traccia.
2- La consapevolezza che l’umano è la porta che mette consapevolmente in rapporto/relazione più mondi di sentire:
– coscienza ed umano vengono vissuti nella loro inscindibilità;
– umano non significa identità, significa la stanza al piano terra di un palazzo;
– totale inconsistenza della danza identitaria perché non sorretta da identificazione;
– nessuno stato particolare riconducibile alla sfera mistica;
– prevalenza della attitudine/disposizione giocosa;
– piena gratuità.
3- Lucida consapevolezza che non c’è un attore in scena, che l’intero gioco è affidato ad altro:
– assenza del protagonista e del sentirsi in causa come tale;
– assenza di scopo che non sia il servizio all’accadere;
– fiducia senza condizione che ciò che deve accadere accadrà.
L’umano è una stanza senza porta e senza finestra; il palazzo è fatto di stanze senza porte e senza finestre:
l’aria fresca dell’alba le attraversa e porta con sé il canto degli usignoli.

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Un sogno lungo vent’anni

Avevo nella mente e nel sentire un gruppo di persone adulte nella comprensione, autonome nell’identità, mature nella relazione che, vivendo le loro vite e le loro sfide, fossero capaci di generare conoscenza di sé, consapevolezza, condivisione, atteggiamento contemplativo.
Avevo, e ho avuto lungo questo arco di tempo così impegnativo e vitale, nella mente e nel sentire la consapevolezza di una possibilità: che persone laiche, lontane dalle religioni e dalle appartenenze percorressero una via originale, semplice, in continua revisione e approfondimento, scoprendo e vivendo in sé la dimensione archetipa del monaco, di colui/ei che si carica il proprio essere sulle spalle e va incontro all’unità dell’essere e dell’esistere.
Ho avuto nella mente e nel sentire la possibilità di edificare una comunità nel sentire che fosse testimonianza visibile di un’altra vita, di un’altra declinazione dell’umano.
Tutto questo nel tempo ha preso una forma e oggi un organismo comincia ad avere una vita sua, sembra potersi alimentare di una forza propria, non indotta.
Il sognatore intravvede ora la possibilità di riposarsi dal sogno.
E’ stanco, il cammino è stato faticoso, i veli negli occhi dell’umano molti; alla fine del suo sogno una commozione lo pervade, lascia che la stanchezza possa fare il suo corso.

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Quanto possiamo scegliere in realtà?

Afferma Rudolf Bultmann che la predicazione di Gesù “richiama l’uomo alla sua posizione di essere di fronte a Dio e alla presenza di Dio a lui, gli indica il suo presente come l’ora della decisione per Dio.” (Teologia del nuovo testamento, Queriniana, pag.30)
Il presente come l’ora della decisione per Dio: è così dal nostro punto di vista?
Perché, se non decidiamo per Dio per chi decidiamo? Per mammona?
Non essendo il mondo diviso tra mammona e Dio forse non siamo tenuti ad alcuna decisione, a nessuna scelta essendo il mondo niente altro che aspetto dell’Uno che mai è divenuto due.
Nel presente l’umano sceglie qualcosa?
Nella sostanza, la possibilità di scelta è molto relativa. Ogni persona opera ciò che gli è possibile operare e anche quando una certa cosa che potrebbe fare, non viene fatta, questo accade perché quella cosa non è stata sufficientemente compresa: non essendo compresa nella sua compiutezza esiste un certo tasso di libero arbitrio, si può fare o no.
Se è compresa senza riserve non rimane alcun margine di libero arbitrio, quella è.
Nell’ignoranza rilevante o parziale la decisione dell’umano ha un certo margine, nella comprensione no.
La persona che ha compreso la realtà unitaria dell’esistente non ha alcuna possibilità di scelta e può vivere, eseguire, incarnare, solo “la volontà di Dio”.
Ma l’umano che ha una comprensione parziale, su un dato fatto, tra cosa sceglie in realtà?
Tra due o più opzioni relative che le sue comprensioni gli permettono di avere: non sceglie tra Dio e mammona, tuttalpiù sceglie tra una azione con un certo tasso di egoismo, ad esempio, e un’altra con un’altro tasso di egoismo.
Le comprensioni vengono conseguite solo attraverso le esperienze; non perché ce lo dicono, ce lo suggeriscono, ce lo impongono: solo sperimentando l’umano impara e comprende.
Se dunque le esperienze sono indispensabili e irrinunciabili e se vengono compiute proprio perché, in alcuni ambiti dell’essere, non c’è comprensione adeguata, perché caricare sulle esperienze la responsabilità, il peso della decisione per Dio, o contro di Lui?
Noi pensiamo che le esperienze siano solo esperienze e che mai l’umano è chiamato a decidere alcunché in merito a Dio, essendo egli niente altro che aspetto della Sua coscienza.

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